
Un tema scottante nella Bibbia riguarda il problema della sofferenza del giusto. Anche nel libro di Rut questo problema affiora, abbastanza vistosamente. La sventura si abbatte su una intera famiglia, e le due donne superstiti rimangono prive di tutto se non dell’affetto reciproco. Di chi è la colpa?
Certamente, una risposta non viene data e neppure il narratore ci si prova. Noemi sa che la sua vita, e quella degli altri, è nelle mani di Dio: è Dio che dà il pane (1,6); è Dio che può dare bontà e serenità (1,8-9); la mano del Signore, però, è rivolta contro di lei (1,13). È l’Onnipotente che l’ha amareggiata, tanto da volersi rinominare Mara (1,20), l’ha svuotata, l’ha resa infelice.
Noemi considera Dio come la fonte dei suoi problemi, ma non recrimina, non lo accusa, come non incolpa né se stessa né Rut. E proprio l’imperscrutabile Dio, che le causa o le permette la sofferenza, capovolgerà le sue sorti.
C’è una sorta di ironia nascosta nel racconto: tutto sembra avvenire per caso… Ma che questo caso non avvenga per caso risulta evidente dalla logica della narrazione. Per caso Rut si trova spigolare proprio nel campo di Booz. Per caso il go’el più diretto passa proprio dal luogo dove si trova Booz… Sembra che per caso la grave situazione delle due vedove trovi una soluzione. Evidentemente, dietro questo caso c’è Qualcuno.
Dio e l’azione umana
La bontà delle persone ripaga in parte l’amarezza del bisogno: quella di Rut verso Noemi; quella di Booz verso Rut. Ma anche l’accortezza con cui si affrontano le difficoltà giova a risolvere i problemi: Noemi coglie al balzo quel caso che ha condotto Rut a spigolare nel campo del loro go’el, attribuendolo alla benevolenza (anche qui, lo chesed) di Dio che si rivela misericordioso sia verso i viventi che verso i defunti (dando la possibilità di suscitare loro una discendenza).
Gli eventi risolutori avvengono perché diretti a buon fine dalla volontà amorevole di Dio, ma si servono dei protagonisti umani, della loro umanità, ma anche della loro capacità di resistenza. Rut non si arrende ad un dolore sterile, la sceglie autonomamente un modo per sostentare sé e la suocera. Denota, in ogni circostanza, una fattiva audacia. Noemi sfrutta a loro vantaggio la situazione che si è creata, consigliando la nuora con l’accortezza dell’Agnese manzoniana. Booz interviene con generosità nell’aiutare le donne, e decide infine di accettare la loro proposta. Il Signore ha fornito agli esseri umani queste capacità, mettendoli in grado di tracciare la propria strada. Il libro di Rut incoraggia a suo modo i lettori ad avere speranza anche di fronte alla povertà, all’esilio ed a tutte le sfide della vita.
Questa sorta di idillio campagnolo vuol mostrare come venga ricompensata la fiducia riposta in Dio anche da parte di una persona che assommava in sé tutte le possibili caratteristiche che all’epoca portavano all’emarginazione: donna, vedova senza figli, senza mezzi di sostentamento (tutto quello che le rimane è solamente la suocera), straniera e pagana e moabita per giunta!
Rut e l’alterità riconosciuta
Jacqueline Des Rochettes così conclude un suo interessantissimo piccolo saggio sull’alterità personificata di Rut (Rut: l’alterità identificata in “Parola Spirito e Vita” 27, 69-84) sottolineando
“come sia attuale la lettura di Rut in tempi di rigetto del forestiero, di timore del migrante, di disprezzo del bianco verso il nero, di guerre nazionaliste, di tensione fratricida fra l’integrista e il progressista, di sospetto fra le religioni occidentali e orientali… Auguriamoci di vedere un giorno l’alterità identificata come è avvenuto per Rut” (p. 84).