Briciole di storia alvernina (127). Dino Campana: un poeta alla Verna

Dino Campana alla Verna
Foto di A. Ferrini. Fonte immagine: https://www.ilbelcasentino.it/CHIUSI_DELLA_VERNA_G/CHIUSI-DELLA-VERNA-732.jpg

Tra i visitatori illustri del secondo decennio del secolo, salgono Johannes Joergensen, Lorenzo Perosi, e si segnala il poeta Dino Campana, per le meravigliose impressioni registrate alla Verna…

17 settembre 1912: Torna a visitare la Verna Johannes Joergensen.

1913; Visita la Verna il Maestro Lorenzo Perosi (VdV LXIII, 1989, n. 4).

Viene stampato il Sonetto che si trova affisso all‟orologio di Sacrestia (Cronaca a. 1913 memoria).

6-7 maggio 1913: È alla Verna il Card. Maffi (Album L. 49).

1913: Il lanificio cessa di lavorare; nel 1914 viene venduto tutto il macchinario (Guida p. 256).

1914: Dino Campana alla Verna

Foto di Perrington98 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=129864835

Dino Campana pubblica una pagina mirabile sulla sua visita alla Verna nei suoi Canti Orfici (La Verna, ed. L’Abete, La Paz 1998, p. 18 ss.; Mondadori, Milano 1972, p. 27). Ne riportiamo un ampio estratto (i titoli sono miei):

«Io vidi dalle solitudini mistiche staccarsi una tortora e volar distesa verso le valli immensamente aperte. Il paesaggio cristiano segnato di croci inclinate dal vento ne fu vivificato misteriosamente. Volava senza fine sull’ali distese, leggera come una barca sul mare. Addio colomba, addio! Le altissime colonne di roccia della Verna si levavano a picco grigie nel crepuscolo, tutt’intorno rinchiuse nella foresta cupa…

Sulle stoppie interminabili sempre più alte si alzavano le torri naturali di roccia che reggevano la casetta conventuale rilucente di dardi di luce nei vetri occidui.

Si levava la fortezza dello spirito

Dino Campana alla Verna
Foto di Giorgio Galeotti – Opera propria, CC BY 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=58584669

Si levava la fortezza dello spirito, le enormi rocce gettate in cataste da una legge violenta verso il cielo, pacificate dalla natura prima che l’aveva coperta di verdi selve purificate poi da uno spirito d’amore infinito: la meta che aveva pacificato gli urti dell’ideale che avevano fatto strazio, a cui erano sacre pure estreme commozioni della mia vita…

Antri profondi, fessure rocciose dove una scaletta di pietra si sprofonda in un’ombra senza memoria, ripidi colossali bassorilievi di colonne nel vivo sasso: e nella chiesa l’angiolo, purità dolce che il giglio divide e la Vergine eletta, e un cirro azzurreggia nel cielo e un’anfora classica rinchiude la terra e i gigli: che appare nello scorcio giusto in cui appare il sogno, nella nuvola bianca della sua bellezza che posa un istante il ginocchio a terra, lassù così presso al cielo…

Il canto alla natura

Foto di Di Geobia – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16122600

Il corridoio, alitato dal gelo degli antri, si veste tutto della leggenda Francescana. Il santo appare come l’ombra di Cristo… La sua rinuncia è semplice e dolce: dalla sua solitudine intona il canto alla natura con fede: Frate Sole, Suor Acqua, Frate Lupo. Un caro santo italiano. Ora hanno rivestito la sua cappella scavata nella viva roccia. Corre tutt’intorno un tavolato di noce dove con malinconia potente un frate da Bibbiena intarsiò mezze figure di santi monaci.

La semplicità bizzarra del disegno bianco risalta quando l’oro del tramonto tenta versarsi dall’invetriata prossima nella penombra della cappella. Acquistano allora quei sommari disegni un fascino bizzarro e nostalgico. Bianchi sul tono ricco del noce sembrano rilevarsi i profili ieratici dal breve paesaggio claustrale da cui sorgono decollati, figure di una santità fatta spirito, linee rigide enigmatiche di grandi anime ignote. Un frate decrepito nella tarda ora si trascina nella penombra dell’altare, silenzioso nel saio villoso, e prega le preghiere d’ottanta anni d’amore. 

Fuori il tramonto s’intorbida. Strie minacciose di ferro si gravano sui monti prospicienti lontane. Il sogno è al termine e l’anima improvvisamente sola cerca un appoggio una fede nella triste ora. Lontano si vedono lentamente sommergersi le vedette mistiche e guerriere dei castelli del Casentino” (p. 18 ss.).

Esco: il piazzale è deserto. Seggo sul muricciolo. Figure vagano, facelle vagano e si spengono: i frati si congedano dai pellegrini. Un alito continuo e leggero soffia dalla selva in alto, ma non si ode né il frusciare della massa oscura né il suo fluire per gli antri. Una campana dalla chiesetta francescana tintinna nella tristezza del chiostro: e pare il giorno dall’ombra, il giorno piagner che si muore».

La Verna e il mondo della cultura

Commenta, a proposito del rapporto tra la Verna e il mondo della cultura, il P. Francesco Mattesini:

“Le stimmate di san Francesco sono le stimmate di Cristo e, insieme, le stimmate dell’umanità. Donde l’attenzione a questo ‘monte eccelso’, che si esprime, imprimendosi,  con i segni della Passione, dentro e fuori di noi, riservata in questi ultimi tempi da alcune tra le più note figure della cultura italiana, e non soltanto italiana, è veramente notevole. Senza la Verna, penso di non esagerare, non possiamo fare, per intero, la storia del cattolicesimo moderno e contemporaneo in questo nostro Paese”[1].


[1] MATTESINI P. FRANCESCO, Una stazione sacra dell’umanità in Provincia Toscana dei Frati Minori, Giovanni Paolo II alla Verna, Firenze 1993, 86-90, p. 86.