Viaggio nella Bibbia. Vittime di violenza: Dinah (Genesi 34)

Il rapimento di Dinah. Di James Tissot – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7878802

Prima di proseguire la saga dei patriarchi (Genesi 12-50) con la storia di Giuseppe figlio di Giacobbe (Genesi 39-50), voglio fermarmi su due episodi di ingiustizia e di violenza ai danni di due giovani donne: Dinah figlia di Giacobbe (Genesi 34) e Tamar nuora di Giuda (Genesi 38). Essendo entrambe storie di violenza al femminile, presentano oggi un interesse di particolare attualità.

Sichem e Dinah (Genesi 34)

Sichem, principe della città omonima, si innamora di Dina, figlia di Giacobbe, e la rapisce. Consuma, dunque, un atto di violenza, almeno dal punto di vista della famiglia della fanciulla, anche se subito dopo la chiede in sposa: La rapì e giacque con lei, e la umiliò; la sua anima si unì a Dina figlia di Giacobbe, amò la fanciulla e parlò al suo cuore (Gn 34,2-3). Questo suo amore conseguente alla violenza contraddice fortemente alla dinamica psicologica di Amnon figlio di David, che dopo aver violentato Tamar sua sorellastra inizia ad odiarla e la caccia fuori di casa (2 Sam 13,15). Ma per Sichem, a quanto pare, non si era trattato di un capriccio.

Il padre di Sichem acconsente alle nozze e chiede la fanciulla in sposa per suo figlio, comportandosi come se Dinah fosse rimasta nel frattempo con la sua famiglia, e senza accennare minimamente al rapimento e alle scuse dovute.

Queste contraddizioni suggeriscono che la storia sia stata rivisitata nel tempo. In una versione più antica, Sichem vede la ragazza, se ne innamora e la chiede in moglie. È stata avanzata l’ipotesi che il particolare dello stupro sia stato aggiunto in una fase successiva per giustificare la strage che realmente i fratelli di Dina avevano commesso con inganno e crudeltà. Senza l’episodio dello stupro, come si poteva ammettere che Simeone e Levi si fossero rivelati così sanguinari dopo la richiesta e l’accettazione di un matrimonio?

Lo strato più antico: una semplice storia di amore

La versione più arcaica parlava di un giovane nobile locale che si era a tal punto infatuato della figlia di Giacobbe da accettare ogni condizione pur di poterla sposare. Significativa l’espressione usata, «l’anima di Sichem si unì» a lei. La frase «si unì a lei» è usata nella storia dei progenitori per spiegare perché gli uomini lasciano le loro famiglie per unirsi alle loro mogli: 

«Perciò l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24 ).

L’uso di questa espressione implica già che Sichem sarà disposto a lasciare la sua famiglia d’origine e farsi assimilare sino a diventare ebreo. Infatti, invece di fissare un prezzo per la sposa, i figli di Giacobbe avevano premesso un impedimento fondamentale: era loro proibito far sposare la propria sorella con un uomo incirconciso.  Sichem, tuttavia, non si lascia scoraggiare e si fa subito circoncidere, rimuovendo così l’impedimento. La narrazione di base sembra semplicemente aver descritto un pacifico matrimonio misto tra Israeliti e Sichemiti. Il giovane Sichem, prendendo il nome dalla città omonima, rappresenta gli abitanti non ebrei del paese.

Secondo strato: l’intera città di Sichem si converte

La storia originale si concludeva con la circoncisione del solo Sichem, ma chi ha rivisitato successivamente questa tradizione ne fu insoddisfatto e volle implicare che l’intera città si fosse convertita all’ebraismo.

Il padre di Sichem, Hamor, fa così l’offerta di apertura, suggerendo che se accetta il matrimonio la famiglia della sposa potrà vivere liberamente in mezzo a loro; i fratelli di Dinah addirittura propongono che i figli di Giacobbe e i Sichemiti si uniscano e diventino un solo popolo. Questa volta non sono solo l’uomo e la donna, Sichem e Dinah, a diventare una carne sola, ma gli Israeliti e i Sichemiti in quanto popoli. Hamor e Sichem accettano immediatamente la condizione. Di fatto, in questo modo, Sichem si trasforma in una città israelita (vv. 20–22.24).

In questa fase Dinah è ancora a casa con la sua famiglia e non trattenuta a Sichem, altrimenti la spavalderia dei fratelli costituirebbe un’assurdità. Il narratore aveva precedentemente detto che Sichem aveva «parlato al cuore della fanciulla», cioè aveva fatto appello alla sua volontà. Invece, nessuno della famiglia di Dinah ha chiesto il suo parere: ci torneremo sopra.

Piccole aggiunte completano il racconto, si mette in scena Giacobbe, si menziona il prezzo della sposa; Sichem usa addirittura la frase «Fammi trovare grazia ai tuoi occhi», la stessa frase usata da Giacobbe quando porta ad Esaù il suo dono propiziatorio (Gen 33,15). Sichem, prima ancora della sua circoncisione, si comporta già da buon ebreo. Ma la cosa, purtroppo, non finisce qui.

(Continua)