Molte traduzioni bibliche moderne sottotitolano Genesi 34 “Lo stupro di Dinah”, e molte critiche femministe insorgono protestando contro l’episodio narrato e la società e la cultura che lo ha prodotto. Tuttavia, il racconto non afferma mai che Dinah sia stata oggetto di violenza, e neppure nota le sue reazioni. Quella di Dinah, in questo racconto, è la voce che non c’è.
Un verbo difficile
«Sichem, figlio di Hamor l’Eveo, principe del paese, la vide, la prese, si giacque con lei e la oppresse [?]» (Gen 34,2).
Quel verbo finale è difficile da tradurre, e forse non si dovrebbe rendere con la parola “stuprò”.
La Bibbia conosce il concetto di stupro come atto aggressivo caratterizzato dalla mancanza di consenso; ad esempio, il libro di Samuele descrive la violenza fatta dal figlio di Davide, Amnon, verso la sorellastra Tamar. La mancanza di consenso di Tamar è chiara, mentre è assente nella storia di Dinah:
«Ma lei [Tamar] gli disse: “No, fratello. Non mi fare violenza. Tali cose non si fanno in Israele! Non fare una cosa così vile! Dove porterò la mia vergogna? E tu, sarai come tutti gli scellerati in Israele!…”. Ma lui non le diede ascolto…» (2 Sam 13,12-14)
I due episodi rappresentano una situazione diversa. Il fatto che il verbo ʿinnah si trovi in entrambi i casi non dimostra che, se Tamar è stata violentata, anche Dina deve essere stata violentata.
La parola ʿ innah è usata in molti passi biblici in modi che non possono essere tradotti come “stupro”.
- Nel rapporto tra Dio e Israele. Dt 8,2 afferma che Dio fa vagare Israele nel deserto per quarant’anni per metterlo alla prova: «Ricordati del lungo cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per farti provare le prove che avevi nel cuore e per sapere se tu avresti osservato o no i suoi comandamenti». Chiaramente, in questo versetto non c’è alcuna connotazione sessuale e si riferisce solo alle difficoltà che Israele deve affrontare.
- Nello Yom HaKippur. Quando il Levitico descrive la pratica del Giorno dell’Espiazione, usa tre volte la stessa frase, “וְעִנִּיתֶם אֶת נַפְשֹׁתֵיכֶם” (Lev 16:31; 23:27, 32), ossia qualcosa come “vi affliggerete”; non è possibile alcuna interpretazione sessuale.
- Sara e Agar: Sara maltratta Agar, che fugge (Gn 16,6).
- Deuteronomio 22 esamina due casi di esercizio del sesso con una fanciulla promessa sposa. Se la cosa avviene in città, si presume che la ragazza abbia acconsentito, perché se avesse gridato per protestare qualcuno l’avrebbe sentita, perciò subirà la stessa pena capitale dell’uomo. ʿ Innah qui non può significare stupro, perché si parla di atto consenziente. Se invece lo stesso atto avviene fuori città, la ragazza è presunta innocente perché anche gridando nessuno avrebbe sentito la sua protesta, e quindi solo l’uomo deve essere giustiziato. Che si tratti di stupro è chiaro non solo dal contesto, ma dall’uso del verbo חזק (fare forza: Dt 22,25). Questo stesso verbo (חזק) è usato per descrivere l’incontro di Tamar con Amnon, ma non quello di Sichem con Dinah. Quindi, sembra chiaro che l’espressione biblica per stupro sia ויחזק וישכב, “sopraffare e giacere con”, non ʿ innah .
Se questa parola non significa “stupro” nei passi citati, non possiamo semplicemente affermare che significhi stupro neanche negli altri.
ʿInnah : degradare
Quindi cosa significa ʿ innah e cosa è successo esattamente a Dinah, nella narrazione? Deuteronomio 22 e Genesi 16 suggeriscono che ʿ innah denoti un movimento verso il basso in senso sociale, nel senso di “degradare” o “umiliare”, o abbassare lo status di una persona. Questo degrado non è correlato al consenso o meno della donna e, pertanto, non implica il concetto di violenza.
Il testo non dice mai che Dinah fu costretta, e non dice nemmeno che lo fece volontariamente. Semplicemente, questo non interessa al narratore; Dinah stessa non dice una sola parola nella storia, è solo un pretesto. Perché la voce di Dinah è la voce che non c’è? Non conta nulla nella società perché è una donna? Non è precisamente così.
Dobbiamo innanzi tutto dimenticare il concetto di individualismo e di autonomia dell’individuo: nella società antica, anche quella biblica, l’individuo valeva in quanto appartenente ad un gruppo sociale (famiglie, clan e tribù). Il consenso o meno di Dinah non era dunque importante; ma il fatto che l’unione dei due abbia avuto luogo senza il consenso della sua famiglia al matrimonio significa che Dinah è stata comunque degradata, indipendentemente dal fatto che abbia acconsentito o meno. Questa degradazione non è fisica, ma di status sociale.
Lo status di Dinah è stato abbassato da quello di una ragazza da marito nella casa di suo padre (in grado di far ottenere alla famiglia il prezzo di una vergine, e di essere di massima utilità per le alleanze matrimoniali con altri gruppi di parentela), a quello di una donna nella casa di uno sconosciuto, non più utile ai suoi parenti. Non ci sono, per il narratore, implicazioni psicologiche ed emotive. Non tanto perché è una donna, quanto perché come individuo non conta.
Pertanto, nonostante le proteste e il sostegno del moderno femminismo, questa storia non riguarda lo stupro di Dinah. Riguarda l’abbassamento del suo status sociale ed economico. Le alleanze matrimoniali, e non l’individuo, erano i mattoni dell’antica società israelita. I fratelli di Dinah si vendicano per l’umiliazione del loro clan, non per la violenza fatta ad una sorella.