Contestazione di una omelia. La dimensione passiva del munus e l’ultima udienza

Dimensione passiva del munus
Immagine da me realizzata con AI tramite www.deepai.org

Riprendo l’autorevolissimo intervento del prof. Violi per quanto concerne la dimensione “passiva” del munus petrino, quella mantenuta dal papa dimissionario Benedetto XVI.

«Quando viene meno l’esercizio attivo del munus mediante le parole e le opere, quando cessa l’ufficio ecclesiastico e i poteri annessi, rimane la vita che continua ad appartenere all’opera di Dio nella sua dimensione “passiva”. L’aggettivo, vissuto alla luce della partecipazione al munus stesso di Gesù, non descrive una passività, ma indica piuttosto una partecipazione attiva alla passione di Cristo come risposta fedele a una missione che chiede di completare nella carne, mediante la preghiera e la sofferenza, quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24), sull’esempio del buon Pastore che avendo tutto il potere nelle sue mani depose le vesti, non dismettendo in questo modo, ma portando a compimento il suo munus a servizio degli uomini, cioè la nostra salvezza».

La dimensione “passiva” del munus

Nel papa dimissionario, quindi, il munus permane. Ne cessa la dimensione attiva, costituita dall’ufficio ecclesiastico e dai poteri che esso comporta. Ne resta la dimensione passiva, che va compresa non come mera passività nel senso corrente della parola, ma come partecipazione attiva alla Passione di Cristo. Del munus petrino, Ratzinger ha mantenuto questo, la preghiera e la sofferenza offerte a servizio degli uomini. Altro che dividere schizofrenicamente munus e ministerium! Ribadisco, per chiarezza: la perdita dell’ufficio non causa la perdita della partecipazione esistenziale del rinunciante al munus, ma lascia vacante la sede apostolica, che sarà occupata dal nuovo eletto, il nuovo Sommo Pontefice, consegnandogli la pienezza del munus e del suo esercizio.

L’ultima udienza

Secondo Farè, nella sua Declaratio Benedetto XVI avrebbe rinunciato al ministerium e non al munus cessando di esercitare il ruolo di Papa. Lo confermerebbero, secondo Farè, anche le sue parole nell’ultima udienza generale del 27 febbraio 2013. Le riporto, perché anche queste sono assai chiare.

L’ultima udienza: il testo

«In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa. Ho fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi.

Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata…

Per sempre nella preghiera

Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata, a una vita di viaggi, incontri, ricevimenti, conferenze eccetera. Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio.

La preghiera per l’elezione del nuovo Papa

Ringrazio tutti e ciascuno anche per il rispetto e la comprensione con cui avete accolto questa decisione così importante. Io continuerò ad accompagnare il cammino della Chiesa con la preghiera e la riflessione, con quella dedizione al Signore e alla sua Sposa che ho cercato di vivere fino ad ora ogni giorno e che vorrei vivere sempre. Vi chiedo di ricordarmi davanti a Dio, e soprattutto di pregare per i Cardinali, chiamati ad un compito così rilevante, e per il nuovo Successore dell’Apostolo Pietro: il Signore lo accompagni con la luce e la forza del suo Spirito».

Il commento del prof. Violi

La rinuncia di Benedetto XVI, come ribadito nell’ultima udienza del 27 febbraio 2013, teneva conto del fatto che  “da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore”: cioè, «all’esercizio di quei ministeri legati al munus che non richiedono l’esercizio del potere annesso all’ufficio. Avvalorano questa interpretazione le parole pronunciate da Benedetto XVI nella sua ultima udienza, o declaratio secunda. Con la consacrazione episcopale e l’accettazione della legittima elezione, la vita stessa del Vescovo di Roma appartiene totalmente all’opera di Dio. Come Gesù, l’Unigenito del Padre, per giovare a molti uscì dal seno del Padre, così “chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata”».

Testimonianze: Navarro-Valls

Un ulteriore, utile commento viene dalle parole di Joaquín Navarro-Valls, lo storico portavoce di Giovanni Paolo II e anche del primo periodo di Benedetto XVI, nell’autobiografia A passo d’uomo: «Il Papa in quanto tale non va mai del tutto in vacanza. Perché l’istituzione che egli porta con sé non lo abbandona mai, essendo impressa per sempre dentro di lui e permanendo scolpita nel suo interno dall’inizio del mandato sino alla fine della sua vita. Essere Papa è come avere un tatuaggio impresso definitivamente e indelebilmente nell’anima».

Mons. Georg Ganswein

Attingiamo direttamente al segretario particolare di Ratzinger, don Georg, per entrare nel vissuto del Papa dimissionario in quel momento così delicato della sua vita.

«In realtà, Benedetto volle semplicemente comunicare in uno stile elegante la rinuncia a ciò che gli era stato conferito tramite l’elezione e la sua accettazione, utilizzando due sinonimi. Forse un Papa canonista avrebbe utilizzato unicamente munus. Ma Benedetto, essendo di formazione un teologo, mise anche in questo caso in campo la propria competenza: per lui, la parola munus era stata un’applicazione del Concilio Vaticano II con l’obiettivo di spiegare più precisamente il concetto dei tria munera, cioè la partecipazione di tutti i fedeli alla triplice funzione di Cristo, sacerdotale, profetica e regale.

… Traducendo dal latino la Dichiarazione, qualcuno ha forzato interpretazioni diverse. Ma nessuno di noi, neanche il canonista Bertone, ritenne possibili equivoci reali.
In ogni caso, percependo qualche segnale di osservazioni in tal senso, nell’udienza generale del 27 febbraio Benedetto XVI chiarì ad abundantiam, utilizzando appositamente la parola “officio” con cui il Codice di Diritto canonico traduce in italiano il termine “munus”: “Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro”» (p. 277).

Io personalmente a questo punto faccio anche notare come Benedetto XVI, alla vigilia della cessazione del suo Pontificato, raccomandi di pregare per i cardinali che andranno in conclave e per il nuovo Successore dell’apostolo Pietro.

Pensate che questo sia sufficiente? No: Farè ha da trovare ulteriori contorsioni.