Con i cap. 13-14 del libro dei Numeri avviene un vero e proprio giro di boa, il dietrofront di Israele che, rifiutandosi di obbedire al comando di Dio, viene ricacciato indietro, nel deserto, dove peregrinerà per un totale di 40 anni. Il numero 40, naturalmente, è simbolico, indicando un’attesa che per grazia di Dio terminerà con un evento di salvezza.
Il primo dietrofront di Israele (cap. 13)
Un primo dietrofront di Israele avviene quando il popolo, spaventato dal resoconto degli esploratori inviati nella terra di Canaan, volge le spalle al Signore rifiutando di entrare a prendere possesso della terra.
Tutta la Palestina viene esplorata da 12 uomini scelti, uno per ogni tribù che avrà la terra, esclusa quindi la tribù di Levi che rimarrà votata a Dio solo. Caleb rappresenta la tribù di Giuda, Giosuè quella di Efraim; il testo ci informa che Giosuè viene adesso chiamato, da Mosè, Osea (“Salvezza”), che è solo una variante grafica o meglio una forma abbreviata dello stesso nome Y(e)hôshûʿa (Il Signore è salvezza).
È la stagione estiva, quando l’uva, in quel clima, inizia a maturare. La terra viene trovata tanto fertile che per trasportare un grappolo di quella prima uva è necessario farlo in due ponendolo su di una stanga, con melograne e fichi. Il resoconto che fanno gli esploratori è di una grande abbondanza in una terra in cui scorre latte e miele, tuttavia… quanto riguarda gli abitanti è spaventoso. Popoli forti, città fortificate, e persino… i giganti!
Non occorre altro per terrorizzare il popolo di Israele. Nonostante le rassicurazioni di Caleb, la comunità insorge e si rifiuta.
Secondo dietrofront di Israele (cap. 14)
Nuovamente si alza il lamento con il rimpianto di non essere rimasti in Egitto; anzi, questa volta si cerca di prendere l’iniziativa di tornare nella terra della schiavitù al seguito di un nuovo capo.
Il popolo cammina ed avanza – e si ferma – di mormorazione in mormorazione e di lamentela in lamentela. Certo che Mosè, dopo aver accettato il servizio di guida del popolo contro la sua volontà, è costretto anche troppe volte a pentirsene di fronte alle critiche e alle ribellioni del popolo, sia in Egitto sia nel deserto in più occasioni: la mancanza di acqua e di cibo, la creazione del vitello d’oro, adesso il rifiuto di entrare nella terra di Canaan, cui seguirà la protesta di Kore e della gente riuscirà a trascinare dalla propria parte…
Soltanto Giosuè e Caleb si mettono dalla parte di Mosè e del Signore, stracciandosi le vesti in segno di dolore per quanto sta accadendo. Ma il popolo cerca persino di lapidarli… quando appare la Gloria del Signore.
L’intercessione di Mosè
È nuovamente Mosè a frapporsi tra l’ira di Dio e il suo popolo, benché il Signore gli prometta, distruggendo Israele, di trarre un nuovo popolo da lui. Si rivolge a Dio parlandogli con l’ardimento dell’amico che abbiamo già trovato in Abramo.
Gli argomenti di Mosè
Lo blandisce abilmente con l’argomentazione secondo cui la sconfitta di Israele sarebbe vista, dagli altri popoli, come la sconfitta e l’inettitudine del loro Dio.
Gli ricorda arditamente i suoi stessi attributi, rivelati dopo l’episodio del vitello d’oro: la lentezza all’ira e la benevolenza (chesed). Lento all’ira (’erek ’appayim) suona in ebraico in modo abbastanza buffo, perché alla lettera si traduce Lungo di naso. Questa curiosa espressione, che compare 56 volte nella Bibbia, deriva dall’osservazione del mondo animale, in cui si nota che gli animali che hanno maggiore distanza fra gli occhi e le narici (gli erbivori) sono anche quelli più pazienti. È, insomma, come se l’ira si accendesse in mezzo agli occhi (che sono il tramite fra la persona e il mondo esterno) e poi scendesse lungo il volto fino ad esplodere dalla bocca. Se il tragitto è lungo, l’ira ha modo di sbollire prima di venire manifestata. E il “naso” di Dio è molto, molto lungo… Il Signore, infatti, perdona.
Non dobbiamo credere che le parole di Mosè facciano cambiare idea al Signore. In Dio non può esserci un simile mutamento come nell’uomo. Il dialogo di Mosè con Lui è un accorgimento letterario per mostrare come in Dio la misericordia e il perdono prevalgano su un giusto castigo.
Dietrofront!
Ma nessuno dei ribelli metterà piede nella terra promessa: di tutta quella generazione che si è rivelata incredula fino in fondo nonostante tutte le prove di amore e di potenza che Dio ha dato loro, solo Giosuè e Caleb, che hanno creduto in Lui, vi avranno accesso.
Dietrofront, dunque, per Israele: deve tornare nel deserto per 40 anni, uno per ogni giorno di inutile esplorazione della terra di Canaan! E coloro che a questo punto tenteranno vanamente di entrare nella terra saranno fatti a pezzi da amaleciti e cananei.