Viaggio nella Bibbia. Deborah e Giaele, due donne che non indietreggiano

Deborah e Baraq. Alessandro Tiarini, 1619

Nel nostro cammino biblico nel mondo della sofferenza, ci incontriamo con la categoria della guerra di difesa e con due figure particolari di donne, Deborah e Giaele. Siamo nel libro dei Giudici.

La guerra di difesa    

I Giudici non sono magistrati, ma liberatori. Sono carismatici: amministrano il popolo, anche, ma soprattutto combattono per riscattarlo dai nemici. Lo schema che si ripete continuamente nel racconto è questo:

  1. Gli israeliti fanno ciò che è male agli occhi del Signore, seguendo i Baal e le Astarti.
  2. Il Signore li mette nelle mani dei nemici.
  3. Gli israeliti vengono oppressi
  4. e gridano al Signore
  5. che suscita un giudice per liberare il popolo.
  6. Il nemico è sconfitto e Israele ha pace per alcuni anni.

La sofferenza delle varie tribù di Israele (siamo nei secoli XII – XI, nella fase tribale, prima che Israele si unisca in un regno) è quindi spiegata con il loro peccato, a causa del quale piomba il castigo. Il castigo, però, serve a richiamare il popolo a Dio.

Il libro dei Giudici

Il titolo ebraico Shôfetîm è perfettamente reso con Kritái (Kritái) in greco e Iudices = Giudici in latino. Il vocabolo ebraico deriva dalla stessa radice del verbo SHAFHAT con il significato di far trionfare il diritto operando una liberazione. Il suo senso giuridico (“amministrare”) è evidentissimo, ma è connesso con un altro significato politico-militare riferito al mezzo bellico come strumento efficace per ristabilire la giustizia. La funzione del giudice, infatti, è espressa anche da un secondo termine, Môshîa‘ = salvatore, liberatore, dalla radice del verbo JASHA‘, al perfetto Hôshîa‘ = salvare.

Un terzo elemento è quello religioso: l’investitura a giudice è determinata da una chiamata di Dio mediante il suo Spirito.

Per il solito artificio semitico, i giudici di cui si parla nel libro sono 12 (numero che indica la totalità del popolo), suddivisi in 6 maggiori e 6 minori a seconda dell’ampiezza delle notizie che si hanno su di loro. Nessuno di loro ha esercitato il suo ufficio al modo degli altri o nel medesimo gruppo. Il giudice è essenzialmente un condottiero occasionale o una specie di dittatore suscitato da Dio per liberare una o più tribù dai nemici. Ma insieme a condottieri, troviamo una profetessa, un nazireo, un usurpatore e vari capi pacifici. I cosiddetti giudici minori corrispondono forse meglio alla figura di amministratori della giustizia; tutti i “giudici” possono forse essere compresi nel senso lato di persone che guidano il popolo e lo tolgono dalle difficoltà.

I giudici minori sono

  1. SAMGAR (contro i filistei)
  2. TOLA (di Issacar)
  3. IAIR (del Galaad)
  4. IBSAN (di Betlemme)
  5. ELON (di Zabulon)
  6. ABDON (di Sichem).

I giudici maggiori sono

  1. OTNIEL di Qenaz contro gli aramei
  2. EUD di Beniamino contro i moabiti
  3. DEBORAH di Neftali contro i cananei
  4. GEDEONE di Manasse contro i madianiti
  5. IEFTE di Gad contro gli ammoniti
  6. SANSONE di Dan contro i filistei.

L’elezione è carismatica in certi casi, ma la carica dura tutta la vita (40 anni = la durata di una generazione, oppure 20 anni, oppure 80 anni). L’evoluzione ultima della giudicatura sarà la monarchia.

Deborah (cap. 4-5)

1250 ca. Miniatura francese, Barak e Deborah in battaglia, Man. 638 Bibbia Maciejovski, Pierpont Morgan Library, New York

Uno degli episodi più famosi resta, nei cap. 4-5, quello che ha per protagonista una profetessa, Deborah, che incita il condottiero Baraq alla vittoria contro Sisara capo dell’esercito di Canaan, e vedendo la sua incertezza lo ammonisce che Dio metterà il suo nemico nelle mani di una donna (Giaele). La vittoria è celebrata da Deborah con un canto epico.

Giudice, profeta e madre

Gdc 4,4 presenta Debora indicandone tre caratteristiche: profetessa, sposa e giudice. Il nome, Deborah, significa «Ape»: un nome pacifico, casalingo, produttivo. Un nome materno: nel Preconio pasquale, il cero che simboleggia Cristo viene definito «frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce; pur diviso in tante fiammelle non estingue il suo vivo splendore, ma si accresce nel consumarsi della cera che l’ape madre ha prodotto per alimentare questa preziosa lampada». 

 Il nome di Deborah, d’altra parte, è composto dalle tre lettere DBR, radicali del verbo dabar, parlare, e del sostantivo dabar, il quale significa sia parola che cosa: una «parola che diviene fatto». L’ape ronza ma opera e produce. Deborah parla e opera, con la sua parola e con le sue azioni raccoglie il popolo dandogli unità e identità. Il testo la presenta inoltre come eshet Lappidoth, che può significare «moglie di Lappidoth», ma anche «donna del fuoco» (Lappidoth significa infatti «fiaccole»), donna impetuosa, fiammeggiante, vicina al Dio che si rivela in mezzo alla tempesta.

 Gdc 5,7 le farà pronunciare queste  parole profetiche:

«fin da quando sorsi io, Deborah,

sorsi [come] madre in Israele».

Deborah, che siede sotto «il palmeto di Deborah» per amministrare la giustizia, sorge come il sole, si alza per salvare Israele, madre in Israele. Questo titolo inusuale la equipara, ben oltre la concezione corrente della maternità esclusivamente intesa come maternità fisica, ai patriarchi.

Pure inusuale è l’esercizio della profezia da parte di donne, eppure la tradizione giudaica conosce 7 donne col titolo di profetessa: Sara – MyriamDeborah– Anna – Abigail – Hulda Ester [in corsivo quelle che ricevono il titolo di profetessa dal testo biblico], persone che hanno letto la volontà di Dio nei fatti della vita.

L’Ape e il Fulmine

Baraq, che è il capo delle truppe (il suo nome significa Fulmine: un vero e proprio fulmine di guerra, che ha paura del nemico!), prende coraggio solo dalla fede di Deborah e scendendo dal monte Tabor sconfigge l’esercito di Sisara, ma Sisara stesso cadrà per mano di una donna non israelita, Giaele (significato del nome: «Capra di montagna»), moglie di un Qenita.

 L’azione normale della donna si svolge al coperto: Deborah giudica sotto la sua palma, Giaele si muove dentro la sua tenda. La storia della salvezza le spinge all’aperto: Deborah si alza e marcia con Baraq, Giaele esce incontro a Sisara.

 Alla gloria delle loro azioni corrisponde l’umiliazione dei due uomini. È una storia alla rovescia, dove vincono i deboli che credono nella forza di Dio.

Giaele

Però… Quali sono i buoni e i cattivi secondo gli schemi comuni? L’agiografo non esprime giudizi morali, presenta i fatti in quanto danno una risposta di salvezza a Israele. L’azione di Deborah che va in battaglia è una normale azione frontale guerresca. Ma il gesto di Giaele che tradisce la fiducia di un alleato nel momento del bisogno e della debolezza, anzi tradisce la fiducia di un ospite senza sospetti, è orribile, al di là di ogni considerazione di carattere culturale.

Eticamente non può che essere condannata; eppure, Giaele è nella Bibbia la prima ad essere dichiarata Benedetta fra le donne (Gdc 5,24)! Perché ha piantato un picchetto da tenda nella tempia di un alleato di suo marito? Sì, tale è la crudezza di questi antichi costumi. Anche la prostituta Rahab aveva tradito la sua città nascondendo gli esploratori mandati a Gerico da Giosuè; ma almeno non aveva versato sangue. Eppure Dio si serve anche di azioni abominevoli per mandare avanti la storia della salvezza…

Nel cap. 5 il racconto è ripetuto in forma poetica, con un cantico (cantico di Deborah) che è una delle pagine più antiche della S. Scrittura, se non addirittura la più antica, contemporanea com’è agli avvenimenti. In questo componimento emergono immagini molto efficaci e stringenti, come quella della madre di Sisara che lo attende inutilmente alla finestra, confortandosi con il pensiero che il ritardo è dovuto alla spartizione della preda; ma – il lettore lo sa – sta attendendo un figlio che non torna…

Una storia di decadimento e di risalita

Anche qui ritroviamo tanta sofferenza degli uni, i nemici, una sofferenza inflitta che è funzionale alla salvezza degli altri, gli eletti.

Quanto siamo lontani dalla linea di salvezza che ancora si intravedeva nella saga dei patriarchi! Anzi, il sacrificio di Abramo e Isacco prefigura il dono che il Padre farà del Figlio, e la consegna di Giuseppe alla schiavitù prefigura la consegna di Gesù alla sua salvifica Passione.

Si potrebbe dire che, rispetto a queste due figure luminose, l’umanità ha continuato a decadere dalle intenzioni di fraternità del piano divino sprofondando in un abisso di ferimenti e annientamenti reciproci. La salvezza di Israele costa cara. Bisognerà fare molta strada per tornare ad una fraternità redenta in cui il Fratello di tutti offrirà non il sangue degli avversari, ma la propria vita per la salvezza dei molti. È un cammino in salita: un cammino che porta all’innalzamento sulla croce.