
Genesi 18,1 ss.: mentre Abramo si trova sulla soglia della tenda, e da lì si precipita ad accogliere gli stranieri che transitano nel suo spazio, ed accogliendo loro è Dio che accoglie (lo straniero, secondo Lévinas, è «l’Epifania del volto di Dio»), Sara rimane all’interno, nascosta col suo ironico scetticismo, ben diversa, come vedremo, da Deborah e Giaele, donne di azione.
Sara partorirà, novantenne, il figlio della promessa, e sarà nonostante tutto dalla sua tenacia che passerà il futuro del popolo di Dio. Il diverso atteggiamento dei due progenitori di Israele esprime il diverso ruolo: l’uomo affronta la sfera pubblica, offrendo accoglienza; la donna, al chiuso della tenda, la prepara.
Ma non sempre le cose vanno così.
Deborah esce dagli schemi

Giudici 4-5: Deborah, profetessa e giudice, giudica il suo popolo seduta sotto una palma. Pur svolgendo ella una funzione pubblica, di giudice e di profeta, il suo atteggiamento è quello di stare seduta, statica, nel raccoglimento datole dalla protezione dell’albero.
Se ne distaccherà però, ed entrerà in movimento e in azione, quando il condottiero Baraq le chiederà di dargli coraggio accompagnandolo in guerra. La donna allora esce dallo schema della staticità ed entra nella sfera pubblica dell’azione; e, per una sorta di legge di contrappasso, il nemico cadrà non nelle mani del forte condottiero («Baraq» significa «fulmine», in contrapposizione a «Deborah» che significa «ape»), ma nelle mani di una debole donna.
Entra in scena Giaele
Infatti non c’è solo Deborah a determinare le sorti del conflitto. Il generale nemico Sisara, fuggendo a piedi dalla battaglia perduta, cerca rifugio nella tenda di un suo alleato, marito di Giaele, ma questa, abbandonando anche lei l’intimità della tenda e la posizione statica per andargli incontro, lo accoglierà e lo ucciderà a tradimento.
Il giudizio morale su questo atto proditorio non può che essere severo; ma Dio scrive diritto sulle nostre righe storte, e la storia della salvezza passa anche attraverso le storture degli uomini e delle donne. Deborah, chiamando se stessa «madre in Israele» (Gdc 5,7), si attribuisce un titolo fino ad allora inedito per una donna, cioè quello di una maternità, di una custodia e di una tutela per il suo popolo che era ambito esclusivamente maschile.
È significativo che nella tradizione ebraica siano annoverati 48 profeti maschi ma anche 7 profetesse: Sara moglie di Abramo, Miriam sorella di Mosè, Debora che è anche giudice, Anna madre di Samuele, Abigail futura moglie di Davide, Hulda, Ester la regina. Tre di queste sono chiamate «profetesse» dal testo biblico (Miriam, Debora, Hulda), le altre sono considerate tali dalla tradizione rabbinica. Sarà interessante vedere il perché.