
Dire “David” significherà dire, sempre, “piccolezza”: sempre, anche quando sarà un grande re. Perché piccolo ci è presentato quando si affaccia alla vita di corte, e piccolo resterà sempre nel suo cuore al di là delle forze militari, delle ricchezze e delle donne e dei figli che avrà.
David si affaccia alla storia con un’aura di piccolezza: piccola è Betlemme rispetto alle grandi città, piccolo è il ragazzo, ultimo dopo sette fratelli, piccolo e umile è il ruolo che gioca nella sua stessa famiglia (è al pascolo a proteggere le greggi dai predatori), piccolo e umile è il ruolo con cui si presenta all’attendamento militare del re – vivandiere per i suoi fratelli maggiori che sono, invece, combattenti. Piccolo sarà ancor più quando sparirà dentro l’armatura del possente Saul, tanto che se ne dovrà liberare come da un impiccio. Le cose grandi non fanno per lui. Piccolo resterà quando, da re, dovrà custodire non più le pecore del padre, ma il popolo di Dio…
David e Golia: piccolezza contro grandezza

Questa cifra della piccolezza, che contrassegna la figura di David, non è nuova nella S. Scrittura. La troviamo nella scelta dei fratelli minori a scapito del ruolo dei fratelli maggiori (Isacco e non Ismaele; Giacobbe e non Esaù, Giuseppe e Giuda e non Ruben, Simeone, Levi; Mosè e non Aronne). La riscontriamo nelle proteste di piccolezza e di umiltà da parte dei chiamati nei racconti di vocazione (Gedeone; lo stesso Saul), nella scelta dei piccoli (Samuele), nella vocazione delle donne sterili a generare grandi personaggi (Sara, Rebecca, Rachele; la madre di Sansone; la madre di Samuele).
Per questo Golia il gigante piomba a terra come una pietra abbattuto da una piccola pietra, la piccola pietra scagliata da David il piccolo. Da allora, la figura di David campeggia come quella di un gigante nella Bibbia, almeno al pari di Abramo e di Mosè: perché piccola è la sua statura, ma grande è la sua fede.