Viaggio nella Bibbia. David impara la misericordia (1 Sm 23-24)

David si avvicina a Saul di nascosto e gli taglia un lembo del mantello

David, nella sua sofferenza, impara la misericordia.

Saul ormai, nella sua paranoia, sembra dedicarsi quasi unicamente alla propria battaglia personale contro David. David invece, pur essendo in fuga, braccato dal re, continua a difendere il popolo dai Filistei. Dove si forma un vuoto, un altro occupa il posto.

Saul ottiene così il risultato opposto a quello che cerca: rafforza la stima che il popolo nutre per il giovane che egli vede come antagonista. Combattendo un fantasma che si è creato, manca ai suoi doveri e fa sì che un altro li assolva. Salvare Israele dai Filistei era la missione originaria di Saul, per questo era stato unto. Ma ormai è David che la sta compiendo, dimostrando di essere il vero re.

Siamo in pieno paradosso. David ha liberato la città di Keila dai filistei, ma Saul muove contro di lui – non contro il vero nemico – e lo costringe di nuovo alla fuga nel deserto. Colpisce il fatto che Saul, con tutta la sua imponenza, l’alta statura e il potere a disposizione, abbia paura non del vero nemico, ma di colui che lo aiuterebbe a regnare.

Saul nella grotta

«E Saul prese tremila uomini scelti da tutto Israele e andò a cercare David e i suoi uomini di fronte alle rocce delle Capre selvatiche. E giunse ai recinti delle pecore, lungo la strada, e lì c’era una grotta. Saul vi entrò per coprirsi i piedi, e David e i suoi uomini se ne stavano in fondo alla grotta» (1 Samuele 24,2-3).

L’espressione «coprirsi i piedi» indica eufemisticamente la soddisfazione di un bisogno naturale, quindi un momento di particolare vulnerabilità. Gli uomini di David vedono la situazione come un segno della volontà divina, un’occasione per liberarsi facilmente dal persecutore (24,4). Ma David si avvicina silenziosamente a Saul senza ucciderlo. Si limita a tagliare un lembo del suo mantello, a riprova di quanto Saul fosse stato alla sua mercé, se avesse voluto. Tuttavia David sembra pentirsi anche di questo gesto per il rispetto che porta a Saul e alla sua carica di Unto del Signore:

«Ma dopo ciò a David batté il cuore, perché aveva tagliato il lembo del mantello di Saul. E disse ai suoi uomini: “Mi guardi il Signore dal fare questa cosa al mio signore, all’unto del Signore, dallo stendere la mia mano contro di lui, perché è l’unto del Signore”» (24,5-6).

Era successo, precedentemente, quando Samuele aveva annunciato a Saul il ripudio da parte di Dio, che il re avesse afferrato il mantello del profeta per trattenerlo e lo avesse, invece, strappato. Un incidente che il profeta legge come un segno, un presagio.

«Come Samuele si voltò per andarsene, Saul afferrò il lembo del suo mantello, ed esso si strappò. E Samuele gli disse: “Il Signore oggi ha strappato da te il regno d’Israele e lo ha dato a un altro, che è migliore di te”» (15,27-28).

Forse senza saperlo, David, «migliore di Saul», compie lo stesso gesto nei confronti del re, confermando così inconsapevolmente l’imminente adempimento delle parole di Samuele. Ma si pente anche di questo.

Una esperienza di sofferenza che apre alla misericordia

Il capitolo prosegue con un commovente dialogo tra David e Saul. David dichiara e dimostra al sovrano di non avere alcun intento malevolo nei suoi confronti; Saul lo chiamerà “figlio mio” con affetto e riconoscerà apertamente la sua rettitudine. Anzi, lo dichiarerà anche degno del regno…

Davide infatti dice a Saul:

«Mi fu suggerito di ucciderti, ma io ho avuto pietà di te e ho detto: “Non stenderò la mano sul mio signore, perché egli è il consacrato del Signore”. Guarda, padre mio, il lembo del tuo mantello nella mia mano» (24,12).

Entrano in gioco nell’animo di David due sentimenti che ne guidano la condotta: il rispetto e la benevolenza.

Rispetto perché David sa bene di essere in presenza del consacrato del Signore. Quindi ne onora il ministero anche se svolto malamente a causa delle paure che nutre e dei fantasmi che insegue.

Benevolenza perché David  prova compassione per il nemico indifeso, l’uomo fragile che è nelle sue mani. David ha sperimentato la misericordia del Signore e quella degli uomini, primo fra tutti Gionata che gli ha permesso di scampare dalle ire del padre. Perciò diviene capace di provare a sua volta misericordia per gli altri. Non è certo un caso che la parola chesed, traducibile con benevolenza, amore, misericordia, ricorra con frequenza proprio nella storia di Davide. Risuona poi ben 127 volte nel Salterio su 245 ricorrenze  totali che il vocabolo  presenta nell’Antico Testamento: una percentuale enorme. L’attribuzione tradizionale a David di molti salmi, anche se non sostenibile dal punto di vista letterario, trova una sorta di conferma concettuale  (in quanto modello di riferimento) nella frequenza in essi del termine che esprime la misericordia.

La sofferenza, in qualche modo, purifica David dal suo personale orgoglio e ne fa un uomo che ha sperimentato il patire, quindi che è capace di comprendere il patire degli altri. La sofferenza di Saul, invece, è distruttiva degli altri, perché Saul è un uomo centrato su se stesso.

Benevolenza chiama benevolenza: tra David e Saul sembrerebbe esserci una sincera riconciliazione, ma il racconto si conclude con una nuova separazione: «E Saul andò a casa sua, e David e i suoi uomini salirono alla roccaforte» (24,22). La frase ci fa comprendere che in realtà David e Saul percorrono ancora strade separate.