
In questo capitolo leggiamo il terzo dei discorsi petrini (dopo 2,14ss.; 3,12ss.), ma questa volta Pietro e Giovanni si trovano davanti alle massime autorità di Israele, che Luca elenca dettagliatamente e che in alcuni casi si prende cura di citare per nome.
Pietro e Giovanni davanti alle autorità
Il momento è solenne: Pietro e Giovanni si trovano davanti alle massime autorità religiose. Il dominio romano consentiva libertà religiosa, purché non si intaccasse l’autorità imperiale; di fatto, esisteva una connivenza politica fra le grandi famiglie sacerdotali e il governo romano.
- Il sommo sacerdote era Caifa (fra il 18 e il 37 d.C.), ma il suocero di questi, Anna, sommo sacerdote fra il 6 e il 15 d.C., rimosso dalla carica dai romani, manteneva ancora una forte influenza (cfr. Gv 18,12-14). Il citato Giovanni potrebbe essere Gionata, figlio di Anna e successore di Caifa; di Alessandro non esiste altra notizia.
- I sacerdoti rappresentavano la casta degli esecutori dei sacrifici nel tempio di Gerusalemme.
- I sadducei erano l’élite sacerdotale di Gerusalemme, e si contendevano con i farisei la maggioranza nel Sinedrio. Qui intervengono provocati dalla predicazione, che gli apostoli facevano, della resurrezione, che essi invece non ammettevano, riconoscendo come S. Scrittura solo il Pentateuco e non i successivi sviluppi della Rivelazione.
- Gli scribi costituivano l’autorità giuridica di Israele: esperti della Legge, erano il punto di riferimento per tutti nella interpretazione della Torah.
- Il Tempio aveva le proprie guardie, con funzioni di vigilanza e sicurezza: qui interviene addirittura il loro comandante, data l’importanza della questione. A questo punto, infatti, i credenti in Gesù Cristo sono cinquemila…
Non sono dunque solo quei cinquemila credenti ad essere coinvolti nell’evento del Cristo: tutto il popolo di Israele, attraverso i suoi capi, è interpellato a prendere posizione.