
Mosè davanti al faraone è come l’ambasciatore di un grande sovrano davanti ad un re vassallo. Ma il faraone non lo sa. Chi è il Signore? Non lo conosco. Così afferma il faraone. Conoscere, biblicamente, non significa sapere chi è una persona; conoscere significa esserci in rapporto vivo, ed anche amare. Un Dio per sentito dire non è il Signore cui dare fede, obbedienza e amore. Perciò l’intervento di Mosè davanti al faraone ottiene solo una recrudescenza delle condizioni di Israele, ancora più oppresso. Di conseguenza, ottiene anche la ribellione dei capi del popolo nei suoi confronti:
«Il Signore proceda contro di voi e giudichi; perché ci avete resi odiosi agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi ministri, mettendo loro in mano la spada per ucciderci!» (5,21).
L’ingratitudine e il fallimento mettono alla prova la fede di Mosè. «Mio Signore, perché hai maltrattato questo popolo? Perché dunque mi hai inviato? Da quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo nome, egli ha fatto del male a questo popolo e tu non hai per nulla liberato il tuo popolo!» (5,22-23).
Non solo Israele ha di che soffrire, ma anche Mosè che una volta di più vede il fallimento della sua azione, non ostante adesso sappia che il Signore è con lui. Anzi: sperimenta l’astio del popolo che voleva liberare e del quale ha invece aumentato la pena.
Di nuovo davanti al faraone
Mosè non demorde, perché Dio lo incita a proseguire nelle sue richieste. «Ma io indurirò il cuore del faraone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d’Egitto (7,3)».
Qui ci troviamo di fronte ad una difficoltà enorme di comprensione del senso del testo. Ma come, è Dio che ha indurito il cuore del faraone, e poi lo punirà travolgendolo nel Mar Rosso? Che colpa ne ha il faraone? E la sofferenza di Israele è determinata dall’azione divina?
Dobbiamo dare alcuni chiarimenti. Innanzi tutto, il cuore biblicamente non è la sede dei sentimenti, ma dei pensieri. I sentimenti risiedono più giù, nelle viscere. I pensieri albergano nel cuore, dove avviene la comprensione della realtà e quindi dove si decide quel che vogliamo fare.
Avere il cuore duro non vuol dire essere cattivi; vuol dire non capire ed ostinarsi nelle decisioni prese. Ma è Dio che indurisce il cuore?
Attenzione: Spoiler!
Noi diremmo «Dio permise che il faraone indurisse il cuore». La volontà divina di cui qui si parla non è la decisione positiva di compiere una azione, ma la volontà di permissione con cui Dio lascia che una cosa accada. È pur sempre volontà, ma di accettazione della libertà di scelta dell’uomo. Dio è causa prima di tutte le cose, perché se Egli non le volesse o non le permettesse non potrebbero sussistere o accadere. Quindi tutto è riconducibile a Lui; ma fra Lui e gli eventi c’è la libera scelta umana, che Egli permette.
Non attribuiamo dunque a Dio responsabilità che Egli ha affidato a noi. Dio non prestabilisce ciò che farà il faraone, ma lo conosce fin dall’eternità e ne anticipa le azioni. Per fare un esempio banale, se vediamo un film per la seconda volta sappiamo già che cosa succede in esso e come va a finire, ma non siamo noi che lo determiniamo, anche se siamo in grado di anticiparne le scene a chi non lo aveva ancora visto. È quello che oggi si chiama spoiler. Ecco, Dio potrebbe «spoilerare» – come si dice oggi – la vita di ogni uomo. Così fa per gli eventi dell’Esodo. Li prevede, non li determina. Ma intanto, successi non ce ne sono, solo nuove umiliazioni.
Cinema e Midrash
Mentre trattiamo questo argomento, ci farà compagnia il kolossal «I Dieci Comandamenti» di Cecil B. DeMille (1956). Ovviamente, gli scarni dati biblici non bastano a fare un film. A parte imprese come quella del «Vangelo secondo Matteo» di Pasolini, che rappresenta Gesù seguendo il solo racconto matteano, o le possibilità offerte da narrazioni molto dettagliate come la storia di Giuseppe figlio prediletto di Giacobbe, in genere un film necessita di una novellizzazione del racconto biblico, ovvero che il racconto di base, quello scritturale, sia rimpinguato di elementi extra-biblici che gli diano maggiore consistenza visiva e forza di rappresentazione psicologica.
Ecco che, per l’Antico Testamento, entra in campo il midrash da cui i film seri di argomento veterotestamentario ricavano, con la consulenza rabbinica, molti elementi. Difficile spiegare che cosa sia il midrash, in quanto di tratta di un genere letterario che non conosce paralleli nella nostra letteratura.
Il termine deriva dal verbo «darash» che significa «cercare», indica quindi la ricerca; se applicato alla Bibbia, designa la ricerca di significati e di valori di un testo da trasmettere mediante una narrazione che arricchisce di particolari il testo biblico – particolari che non devono essere presi alla lettera quasi pretendessero di avere un valore storico, ma devono essere interpretati con riguardo al senso simbolico spirituale.
Particolari midrashici
Ad esempio, per l’argomento di cui stiamo parlando adesso, nel film «I Dieci Comandamenti» viene dal midrash il nome della figlia del faraone che adotta Mosè, Bithia = «figlia di Dio»: è una pagana, ma è una persona giusta, per cui Dio la salva insieme al popolo di Israele. Molto bello il particolare midrashico di Mosè chiamato da Dio nel roveto ardente nel momento in cui da buon pastore si prende cura di un agnellino smarrito: poiché ha saputo dedicarsi con tanto amore al gregge, è ritenuto degno di guidare il popolo di Dio (vedere articolo precedente QUI).
Viene dal midrash anche la decisione del faraone di sterminare i primogeniti degli ebrei, che si ritorce per contrappasso contro i primogeniti degli egizi nella notte di Pasqua. Ma per far comprendere come il midrash non sia estraneo alle Scritture cristiane, ricordo che in 1Cor 10,4 Paolo parla stranamente di una roccia che accompagnava Israele nel deserto per dissetarlo, «e quella roccia era il Cristo»: particolare che Paolo ricava certo non dal testo biblico (dove non si parla assolutamente di rocce ambulanti), ma dal midrash, all’epoca solo orale; così pure, il particolare giovanneo del sangue ed acqua che sgorgano dal cuore trafitto di Cristo ha uno stretto parallelo col midrash della roccia percossa con incredulità da Mosè: la prima volta la roccia emette sangue, la seconda volta, finalmente, acqua. Come vedete, anche il midrash, pur rimanendo extra biblico, ci dà un suo contributo anche per capire meglio certi testi scritturistici.