Dante e la Misericordia di Dio…
È con pena che continuo a scrivere sul mio blog mentre le notizie di guerra provengono dall’Ucraina; e intanto aspettiamo (ma sarà sufficiente l’attesa?) che si dissipino le tenebre che gravano sulla mente e sul cuore dei responsabili. Quanto bisogno abbiamo, tutti, di Misericordia!
La visione di Dante
Certamente, ad un primo approccio la visione di Dante sembra tutto tranne che improntata alla Misericordia divina: l’inferno è stracolmo.
[L’inferno di Dante, film del 1911. Film completo: QUI].
Eppure, questo stesso inferno, luogo di dannazione eterna, proclama di essere un atto di misericordia. Infatti sulla sua porta, subito dopo «Per me si va nella città dolente, / per me si va nell’etterno dolore, / per me si va tra la perduta gente. / Giustizia mosse il mio alto Fattore», e prima di «Lasciate ogni speranza o voi che entrate», porta scritto anche «Fecemi la divina Potestate, la somma Sapienza e ’l primo Amore». È mai possibile? Questo terrificante status infernale è compatibile con un atto di Amore divino? Può davvero essere, come proclama, un capolavoro d’arte del Dio trinitario?
Von Balthasar, nel suo saggio Gloria (III. Stili laicali, Jaca Book 2017), riconosce che per Dante il passaggio dell’Inferno è il trascendimento dell’Io angusto e peccaminoso, dell’eros, verso il Tu e verso l’amore che è agape; e riconosce pure (nel saggio Sperare per tutti citerà in proposito C.S. Lewis) che in definitiva non si tratta di un atto estrinseco di condanna, ma che il dannato si danna da solo: «la divina giustizia li sprona / sì che la tema si volge in disio» (Inf. III,124-126).
Dante e la Misericordia di Dio. Un Amore pietrificato?
L’Amore, qui, si fa giustizia, una giustizia dovuta verso l’uomo e verso l’ordine morale. «Ma se l’Inferno è un’opera d’arte dell’amore», così Von Balthasar critica Dante, «lo è d’un amore irrigidito e pietrificato, del quale è rimasto solo la “forma”» di pura giustizia e verità (Stili laicali, 76).
Per questo gelo etico, scrive von Balthasar, il viaggio di Dante all’Inferno è una sorta di visita ad un museo (o ad uno zoo): una rassegna di personaggi e di condanne. Non c’è compassione. Anzi, nel basso Inferno, dove la condanna è più dura, la compassione del visitatore verso i dannati sarebbe ribellione a Dio, per cui questo è il principio da seguire, afferma Virgilio:
«Qui vive la pietà quand’è ben morta;
chi è più scellerato che colui
che al giudicio divin passion comporta?» (Inf. XX,28-30).
Dante mostrerà di aver bene imparato questa lezione quando, tra le anime più nere dei traditori confitti nel ghiaccio, tratta crudelmente Bocca degli Abati nell’intento di farsi dire il suo nome («Allor lo presi per la cuticagna…»: Inf. XXXII, 97), o, peggio ancora, quando, dopo aver promesso al traditore frate Alberigo di togliergli dal viso le lacrime gelate in cambio della rivelazione del suo nome, mancherà alla parola data, in quanto «cortesia fu lui essere villano» (Inf. XXXIII, 150).
Di questa mancanza di compassione, scrive von Balthasar, non si deve attribuire la responsabilità a Dante: «il vero colpevole è il sistema trasmesso» (Stili laicali, 79). Colpa del Medioevo, dunque.
Dante non segue le orme di Cristo?
L’amore, allora, si risolve tutto nella giustizia? Il viaggio di Dante all’Inferno sulle orme di Virgilio non seguirebbe quelle di Cristo? Anzi, anche nel Purgatorio prevarrebbe il processo di sanazione etica e non l’imitazione di Cristo e il confronto con la sua croce, così come Von Balthasar sostiene (Ivi, 89)?
A parer mio, Von Balthasar, pur essendo un acuto lettore ed estimatore di Dante, si lascia sfuggire la logica profonda del poema dantesco.
In primo luogo, Dante incarna nei personaggi (molto realisticamente, a dire il vero) i peccati ed i vizi che stigmatizza. Certamente neppure Dante, con tutta la sua superbia, ha preteso di proclamare dogmaticamente che Bonifacio VIII è indubitabilmente all’inferno, e con lui Farinata e Ugolino della Gherardesca, mentre lo scomunicato Manfredi, morto in contumacia di Santa Madre Chiesa, è indubitabilmente salvo, e con lui Provenzan Salvani, o Folchetto di Marsiglia, o Arrigo VII. Anche se estremamente vive e personalizzate, si tratta di tipologie che incarnano le idee etiche del poeta: «esempi», insomma. La condanna o l’assoluzione di Dante non pretendono certo di essere quelle del Signore. Rispecchia il pensiero di Dante la possibilità che anche al peccatore più nero, pentito in extremis, si siano aperte le porte del Paradiso. E infatti…
La Misericordia di Dio assedia l’uomo
In secondo luogo, indicativa al riguardo, più che l’Inferno, è quella parte della Commedia che Dante dedica all’antipurgatorio, dove attendono di salire la santa Montagna dalle sette balze le anime di coloro che si sono pentiti all’ultimo momento.
I peccati di costoro non sono stati meno gravi di quelli della anime più nere dell’inferno; ma all’ultimo momento hanno aperto uno spiraglio alla misericordia di Dio. Confessa Manfredi, capo dei ghibellini italiani e morto scomunicato nella battaglia di Benevento (1266): «Orribil furon li peccati miei; / ma la bontà infinita ha si gran braccia / che prende ciò che si rivolge a lei» (Purg. III, 120- 122). E questo perché, afferma Dante per bocca di Manfredi? Perché «io mi rendei, piangendo, a quei che volontier perdona» (Ivi, 118- 119).
La misericordia di Dio preme per tutta la vita, assedia, persino, l’uomo, ma in definitiva rispetta la sua volontà.
Guido e Bonconte da Montefeltro
Assai significativa è la vicenda di Bonconte da Montefeltro, figlio di Guido che già Dante, per il suo gusto del parallelismo (in questo caso antitetico), ha messo all’inferno.
Il parallelismo rovesciato è perfetto: Guido da Montefeltro, condottiero ghibellino scomunicato ma convertito e divenuto frate minore, viene spedito da Dante nella bolgia dei consiglieri fraudolenti, perché, ingannevolmente sicuro di sé, è ricaduto nel suo peccato; la vicenda tragicomica è narrata nel canto XVII. Il figlio Bonconte, al contrario, muore scomunicato, ma, pentito in extremis, col nome di Maria sulle labbra, è salvo («per una lagrimetta che ’l mi toglie», protesta inutilmente, con dispregio, il diavolo venuto per lui: canto V del Purgatorio).
Non il giudizio dell’uomo, quindi, ma l’insondabile misericordia di Dio regna sovrana sulla nostra storia, come dimostrerà la salvezza di pagani quali Traiano e Rifeo. Certamente, col concorso della nostra libera volontà. Qui si inserisce per Dante il cammino di purificazione del pellegrino. La Misericordia di Dio dà sempre una chance.
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