Lettura continua della Bibbia. Osea: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio»

«Dall’Egitto ho chiamato mio figlio»
Il profeta Osea di Pinturicchio – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3789087

L’ultima parte del libro di Osea (9,10-14,9) è dedicata particolarmente a mettere in contrasto il passato d’Israele con il suo presente.

12 Seminate il seme di giustizia,

raccogliete il raccolto di bontà,

coltivate un nuovo terreno.

È tempo di cercare il Signore

finché venga a far piovere sopra di voi la giustizia.

13 Perché avete arato l’empietà, raccolta l’iniquità,

mangiato il frutto della menzogna?

Perché tu hai confidato nei tuoi carri

e nel numero dei tuoi cavalieri… (Os 10,11 ss.).

«Dall’Egitto ho chiamato mio figlio»

L’immagine più tenera è quella che presenta Israele come un figlio nell’intimità familiare:

11, 1 Israele era giovane e io lo amai

e dall’Egitto io chiamai mio figlio.

2 Io li ho chiamati

ma essi si sono allontanati da me;

hanno sacrificato ai Baal

e agli idoli hanno bruciato l’incenso.

3 Io ho insegnato i primi passi ad Efraim,

me li prendevo sulle braccia;

Ma essi non si sono resi conto

che ero io ad aver cura di loro.

4 con legami pieni di umanità li attiravo,

con vincoli amorosi;

per loro ero come chi leva il giogo dal collo;

mi piegavo su di lui per dargli il cibo.

5 Egli ritornerà in terra d’Egitto e Assur sarà il suo re,

perché hanno ricusato di tornare a me!

6 La spada porterà il lutto nelle sue città,

sterminerà i suoi figli, li divorerà per i loro perversi consigli!

7 Il mio popolo è malato d’infedeltà!

Essi invocano Baal, ma costui non li rialzerà!

8 Come ti posso abbandonare, Efraim,

lasciarti in balìa di altri, Israele?

Come posso trattarti come Admà,

considerarti come Zeboìm?

Si sconvolge dentro di me il mio cuore

e le mie viscere si riscaldano tutte.

9 Non sfogherò il bollore della mia ira,

non distruggerò più Efraim,

perché io sono Dio e non un uomo,

sono il Santo in mezzo a te che non ama distruggere!

10 Essi seguiranno il Signore; egli ruggirà come un leone;

sì, egli ruggirà e accorreranno i figli dall’occidente.

11 Accorreranno come un uccello dall’Egitto

e come una colomba dal paese d’Assiria

e li farò abitare nelle loro case. Oracolo del Signore.

Esegesi di Osea 11,1-11

Questo capitolo presenta un testo molto corrotto, tuttavia mostra una intrinseca unità letteraria per lo stile e per le idee e si può far risalire ad Osea stesso.

Il tema del cap. 11 è simile al tema del cap. 2, in quanto esprime i vincoli di intimità fra Dio e Israele, questa volta in chiave genitoriale-filiale.

Il capitolo si può suddividere in tre parti:

  1. Lamento di Dio per il tradimento del suo popolo, e minaccia di castigo (vv. 1-6)
  2. Commozione di Dio e promessa di perdono (vv. 7-9)
  3. Ritorno dall’esilio (vv. 10-11).

a.- Vv. 1-6: ingratitudine di Israele

Tipico di Osea è il tema della giovinezza di Israele al tempo dell’esodo e del deserto, poi ripreso da Geremia ed Ezechiele.

Originario di Osea è pure il tema dell’amore di Dio, amore gratuito, motivo e causa di elezione: questo tema sarà fatto proprio dalla corrente deuteronomica e da altri profeti.

Il tema di Israele come figlio diverrà comunissimo in tutto l’Antico Testamento (Isaia, Geremia, Deuteronomio, DeuteroIsaia, Salmi).

Ma Israele non ha conosciuto che Dio aveva cura di lui, perciò tornerà (SHÛB) in Egitto perché non ha voluto tornare (SHÛB) al Signore (11,5). In Osea l’accenno al castigo è una costante di tutta la profezia: come devastazione del territorio, eccidio ed esilio del popolo. Ma non è questa per Dio l’ultima verità: c’è ancora una parola di speranza.

Per Osea la storia dell’elezione divina inizia con l’Esodo dall’Egitto, contrassegnato dall’amore paterno di Dio.

Già in Es 4,22 s. si trova l’immagine della paternità di Dio verso il suo popolo:

«E dirai al faraone: “Così ha detto il Signore: Israele è il mio figlio primogenito. Ti avevo detto: Manda mio figlio, perché mi serva, e non hai voluto mandarlo via…”».

Poi la ritroveremo in altri testi (Dt 32,6: «Questo rendete al Signore, popolo stolto e insipiente? Non è lui tuo padre, che ti ha creato? lui che ti ha fatto e sostenuto?» Is 1,2: «Ho allevato e fatto crescere figli, ma essi si sono ribellati contro di me»; ecc.

Mt 2,15 applica questo testo al ritorno di Gesù dall’Egitto, dandone il sensus plenior («Questo affinché si adempisse quanto fu annunciato dal Signore per mezzo del profeta che dice: Dall’Egitto ho richiamato mio figlio»). Israele è figura , in questo modo, della filiazione divina di Gesù.

A tanto amore paterno corrisponde, da parte di Israele, l’ingratitudine, e l’allontanamento verso gli idoli. Eppure il Signore ha insegnato a camminare a Israele (Efraim è una delle tribù più importanti), accogliendolo fra le sue braccia, ma il popolo non ha riconosciuto che questa tenerezza veniva dal suo Dio; il Signore ha guidato Israele con lacci di amore e lo ha liberato dal giogo (qualche critico pensa all’immagine del contadino che conduce al pascolo con tenerezza il suo bestiame, cfr. Os 10,11), si è curvato su di lui per nutrirlo. Perciò Israele tornerà in schiavitù (di cui l’Egitto è immagine) e sarà dominato dall’Assiria (rappresentata dal dio Assur), perché non è tornato a Dio e la spada lo sterminerà.

b.- Vv. 7-9: l’amore di JHWH

Il v. 7 è molto corrotto e ogni traduzione è ipotetica. Alcuni esempi:

«Il mio popolo…   degli infelici per avermi abbandonato;

  invocano Baal, ma costui non li rialzerà» (versione ed. Paoline);

«è duro a convertirsi;  chiamato a guardare in alto

  nessuno sa sollevare lo sguardo» (versione CEI);

«è attaccato alla ribellione contro di Me [oppure: ha bisogno della mia indulgenza],

i profeti l’hanno richiamato all’alto, ma egli non si è elevato» (Giuseppe Laras, ed. Marietti 1964).

Il senso generale è che il popolo ha abbandonato il Signore e che non sa rialzarsi. Ma Dio conserva ancora tutta la tenerezza per il suo popolo ribelle, che non vuole abbandonare alla schiavitù, che non vuole trattare come le città colpevoli della Pentapoli distrutta da Dio (Gn 14,2) al tempo di Abramo.

Il cuore è la sede della decisionalità, le viscere sono la sede più profonda dei sentimenti: commosso profondamente dall’amore, Dio non sfogherà la sua ira, perché trascende l’uomo, è il Santo (qadosh) per eccellenza e si identifica con la misericordia (cfr. Es 34,6-7: «Dio di pietà e misericordia, lento all’ira e ricco di grazia e verità, che conserva grazia per mille generazioni»). Osea usa qui uno dei suoi antropomorfismi più belli e sorprendenti: Dio si trova nel più umano conflitto di sentimenti fra la compassione e l’ira, ma al tempo stesso non è come l’uomo, è padrone assoluto di se stesso e non permetterà la fine di Israele.

c.- Il ritorno (vv. 10-11)

Questi ultimi due versetti annunciano la restaurazione del popolo d’Israele, che accorrerà dai quattro venti al richiamo del Signore forte come un ruggito (cfr. Am 1,2, ma qui il contesto è positivo) (la menzione dell’Occidente = Miyyam cioè dal Mare, è probabilmente un’aggiunta post-esilica). Le immagini degli uccelli migratori e della colomba per esprimere il ritorno degli esuli si trovano anche in altri testi profetici (Is 60,8 s.: «Chi sono quelli che volano come nubi e come colombe verso le loro colombaie? Sì, le isole mi attendono e le navi di Tarsis in primo luogo, per portare i tuoi figli da lontano…»).

La promessa di restaurazione torna nel resto del libro:

Io sono il Signore,

tuo Dio fin dal paese d’Egitto.

Ti farò ancora abitare sotto le tende

come ai giorni del convegno (12,10):

la storia di Israele ricomincia dalla sua giovinezza nel deserto.

Parola di speranza

Con 14,5-9, un brano di liturgia penitenziale, una parola di speranza, si chiude il libro (il versetto successivo è l’aggiunta sapienziale di un discepolo):

14,5 Io guarirò il loro traviamento, li amerò con trasporto;

perché la mia collera si è ritirata da loro.

6 Sarò come la rugiada per Israele,

egli germoglierà come un giglio,

getterà le sue radici come un pioppo,

7 i suoi germogli si estenderanno lontano;

la sua magnificenza sarà come quella dell’olivo,

il suo profumo come quello del Libano.

8 Torneranno a sedersi alla mia ombra,

coltiveranno il frumento e faranno fiorire la vigna

che avrà la fama del vino del Libano.

9 Efraim che ha ancora in comune con gli idoli?

Io lo esaudisco e a lui provvedo.

Io sono come un cipresso verdeggiante;

è grazie a me che in te si trovi frutto!”.

Ritorna, per Israele, l’ Io di Dio: solo Lui è la sua vita, il centro di ogni esistenza credente.