Cancel Culture: Crociata contro la Croce

Croce di vetta. Monte Dubasso. Di F Ceragioli – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=33920209

Crociata contro la Croce. Ma non è il Crocifisso nelle aule scolastiche, questa volta, ad essere preso di mira. Questa volta si tratta delle croci innalzate sulle vette dei monti, che accolgono gli alpinisti mentre salgono con fatica ad affacciarsi su un panorama meraviglioso, il panorama della Creazione. Sono un segno di incoraggiamento, un conforto nella stanchezza, un ricordo per coloro che non sono più, un abbraccio di consolazione… Eh, ma se uno non è credente? Se non è cristiano? La croce è divisiva oltre che anacronistica!

Questo in sostanza sostiene Lo Scarpone, il portale del Club Alpino Italiano, in un articolo del 13 giugno scorso a firma di Pietro Lacasella: «La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha senso innalzarne di nuove? Probabilmente la risposta è no». Ecco l’articolo in questione.

CROCI DI VETTA: SBAGLIATO RIMUOVERLE, ANACRONISTICO ISTALLARNE DI NUOVE

«L’evidenza della morte e il conseguente timore condizionano il pensiero e le azioni dell’uomo da migliaia di anni. 
A questa inquietante certezza abbiamo sempre cercato di ovviare, perché aggirare gli ostacoli è una caratteristica intrinseca alla nostra specie (così come crearne).

La paura del deperimento fisico ha trovato dunque sollievo nella speranza dell’immortalità spirituale, ma anche nel tentativo di lasciare sulla terra un segno del nostro passaggio. Le religioni – nelle loro più differenti declinazioni – così come le innumerevoli sfumature culturali sono in parte una risposta all’angoscia causata dai terreni ancora inesplorati della morte.

Nel simbolo della croce di vetta troviamo riassunte sia la speranza di vita eterna, sia la necessità di lasciare sulla terra, in un luogo emblematico e visibile, una testimonianza della nostra esistenza individuale ma, soprattutto, sociale. D’altronde l’uomo ha sempre cercato di plasmare il paesaggio a partire dalla propria concezione del mondo, dalla propria cultura.

Ma la società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove? 

Probabilmente la risposta è no

Innanzitutto perché l’Italia si sta rapidamente convertendo in uno Stato a trazione laica, territori montani compresi. Pertanto la croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale.

In secondo luogo perché la montagna è un elemento paesaggistico che, per ovvie ragioni, da sempre si carica sulle spalle una gravosa valenza simbolica, capace di influenzare il pensiero collettivo: il messaggio trasmesso dai rilievi non dovrebbe più riflettere il periodo compreso tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del secolo successivo (arco temporale nel quale furono installate la maggior parte delle croci di vetta), ma dev’essere riadattato sulle caratteristiche e sulle necessità di un presente che non ha più bisogno di eclatanti dimostrazioni di fede, ma di maggiore apertura e sobrietà.

Perciò, se da un lato sono inappropriate le campagne di rimozione, perché porterebbero alla cancellazione di una traccia del nostro percorso culturale, dall’altro si rivela anacronistico l’innalzamento di nuove croci e, più in generale, di nuovi e ingombranti simboli sulle cime alpine: sarebbe forse più appropriato intendere le vette come un territorio neutro, capace di avvicinare culture magari distanti, ma dotate di uguale dignità».

Fonte: https://www.loscarpone.cai.it/dettaglio/croci-di-vetta-sbagliato-rimuoverle-anacronistico-istallarne-di-nuove/

La croce è anacronistica e divisiva?

Croce di vetta sul Cervino. Autore foto: Gac. https://it.wikipedia.org/wiki/File:Cervino-croce_sulla_vetta.Jpg#file

Insomma, le croci sarebbero «anacronistiche» e «divisive»: non si coniugano più con «un presente caratterizzato da un dialogo interculturale, che va ampliandosi, e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali». «La croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale». Oltretutto, si sostiene, il presente «non ha più bisogno di eclatanti dimostrazioni di fede, ma di maggiore apertura e sobrietà». Le guide di Alagna in provincia di Vercelli hanno già cominciato a rimuovere le croci di vetta per ammassarle in un memoriale.

Oltre che nell’articolo sullo Scarpone, questa proposta è stata lanciata in un incontro tenuto all’Università Cattolica di Milano per la presentazione di un libro dedicato al legame tra montagna e religione: la prospettiva, sembrava spiegare il Cai, «ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’installazione di nuovi simboli sulle cime». Questa è stata presentata come una tesi condivisa dal Cai, che considera l’installazione di nuove croci con «lo stesso metro che il sodalizio ha adottato con i rifugi e con le vie ferrate, prendendosi cura delle strutture esistenti e, al contempo, dichiarandosi contrario alla realizzazione di nuovi innesti».

Un presente di dialogo interculturale

«Lo Scarpone» scrive quindi il 23 giugno:

«Ci sono argomenti che, più di altri, spaccano in due la sensibilità degli appassionati di montagna, senza lasciare spazio alle mezze misure. Uno di questi è rappresentato dalle croci di vetta. 

Ogni notizia legata a una croce porta alla rapida formazione di schieramenti netti, distinti, precisi. Tale dinamica purtroppo intorbidisce il dibattito, trasformandolo in alterco; in un battibecco su cui, purtroppo, non pochi tendono a speculare.

Per fortuna, da questa visione dicotomica, che si sviluppa per contrasti, ogni tanto emergono interessanti e necessarie sfumature intermedie, capaci di osservare il tema con sguardo oggettivo, svincolato da ferree ideologie e pronto a contestualizzare il fenomeno. È proprio ciò che è avvenuto ieri, giovedì 22 giugno, durante un convegno organizzato all’Università Cattolica di Milano. L’iniziativa era infatti volta a riflettere sulle tematiche proposte nel libro Croci di vetta in Appennino di Ines Millesimi.
Al convegno – a cui hanno partecipato Monsignor Melchor José Sànchez de Toca y Alameda (relatore del Dicastero delle Cause dei Santi), lo scrittore Marco Albino Ferrari in rappresentanza del CAI e il professore di diritto dell’Università Cattolica Marco Valentini – si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso; una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime.
Tesi, questa, condivisa pienamente dal Club Alpino Italiano. Il CAI guarda infatti con rispetto le croci esistenti, ma non solo: si preoccupa del loro stato ed eventualmente, in caso di necessità, si occupa della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli, …). Questo perché – è giusto evidenziarlo una volta di più – rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza.
Ed è proprio il presente, un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il CAI a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne. 
Che poi, a ben guardare, è lo stesso metro che il sodalizio ha adottato con i rifugi e con le vie ferrate, prendendosi cura delle strutture esistenti e, al contempo, dichiarandosi contrario alla realizzazione di nuovi innesti.
Sarebbe interessante se, per una volta, il dibattito riuscisse a smarcarsi dalla logica del tifo per abbracciare il desiderio di ascoltare, comprendere e riflettere. Una necessità di dialogo che di sicuro alzerebbe il livello del dibattito».

Articolo di Pietro Lacasella, https://www.loscarpone.cai.it/dettaglio/croci-di-vetta-qual-%C3%A8-la-posizione-del-cai/

Una grana per il Cai

Marc Chagall, Resurrezione (1937 circa). Fonte immagine: https://wikioo.org/it/paintings.php?refarticle=8XYH8G&titlepainting=Resurrezione&artistname=Marc+Chagall

Salvo subito attirare una correzione:

«Il Presidente generale del Club alpino italiano Antonio Montani, in riferimento a quanto pubblicato oggi dalle agenzie di stampa, intende chiarire la posizione del Cai.

Non abbiamo mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale. Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro. Personalmente, come credo tutti quelli che hanno salito il Cervino, non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce. 

Voglio scusarmi personalmente con il Ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro Ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto».

(Articolo del 25 giugno 2023, https://www.loscarpone.cai.it/dettaglio/croci-di-vetta-il-presidente-generale-montani-chiarisce-la-posizione-del-club-alpino-italiano/)

Questo perché il mondo politico italiano di linea governativa, nel frattempo, era insorto. Era interventuto persino  il Ministro degli Esteri Antonio Tajani:

«Esiste un minimo comune denominatore che lega tutta l’Europa ed è il cristianesimo. Da Roma a Berlino, da Parigi a Lisbona, da Madrid ad Atene e fino ai Paesi baltici troveremo sempre una Croce. Difendiamo i nostri valori, la nostra identità, le nostre radici».

E il ministero del Turismo, nella persona di Daniela Santanchè:

«Resto basita dalla decisione del Cai di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al Ministero. Non avrei mai accettato una simile decisione che va contro i nostri principi, la nostra cultura, l’identità del territorio, il suo rispetto. Un territorio si tutela fin dalle sue identità e le identità delle nostre comunità è fatta di simboli che custodiscono nel tempo la storia e valori. Invito il presidente del Cai a rivedere la sua decisione».

Vi risparmio le reazioni degli altri.

Chiamato in causa, il presidente del Cai ha proceduto a innescare la retromarcia:

«Voglio scusarmi personalmente con il ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto».

In conclusione, l’opinione personale di uno era stata presentata come l’idea condivisa di tutti, o almeno di una maggioranza. Non è la prima volta che questo accade: anche la festa per la nascita di una bambina celebrata in un piccolo comune trentino (145 abitanti), in un periodo di completa denatalizzazione, fu trasformata da un consigliere comunale referente dell’Unione Atei in un vero e proprio battesimo civile. È rassicurante che l’opinione sbandierata dai media non rappresenti il pensiero comune del Cai.

Il riconoscimento della Croce, infatti, oltre a rappresentare un valore storico e culturale, può non essere condiviso da tutti in una dimensione di fede, oggi meno che mai, ma certamente parla di condivisione di sofferenze e di speranze, di riscatto degli umili, di vittoria della vita sulla morte e di pace, se Marc Chagal, pittore ebreo, non trovò di meglio che l’immagine del Crocifisso per rappresentare il dolore del suo popolo.

Che la croce sia scandalo e stoltezza non è da mettere in dubbio. Che ci si possa riconoscere tutti in essa come feriti dalla storia e bisognosi di speranza, pure. Le sue braccia aperte sono segno di una misericordia che ci è offerta: anche. Che poi questo si veda in un’ottica di fede, è un altro discorso.