
Torniamo alla pura tradizione Jahvista con il racconto della costruzione di quella che chiamiamo la torre di Babele. Questo episodio, famosissimo, vuole mostrare quale sia la sorte di una civiltà costruita senza Dio, o al di fuori di Dio, soppiantando cioè Dio con le ambizioni umane: è il peccato dei progenitori che ritorna.
Gli uomini che si organizzano per costruire una civiltà fuori del disegno divino non ne ricavano altro che il frantumarsi della comunione: la lingua esprime il cuore, e su queste basi il cuore dell’umanità non sarà mai più unito. Il disegno originario di comunione, per quanto sia nell’uomo, è irrimediabilmente spezzato. Tutta la storia dell’uomo è la storia di una fraternità continuamente tradita e infranta e qui trova il suo culmine.
Il senso dell’episodio
Con il nascere della costruzione della torre di Babele si chiude la prefazione alla storia d’Israele, spiegando così la moltitudine delle lingue, fenomeno difficile da conciliare con la fede in un Dio unico, unico Padre di tutti gli uomini. Questa moltitudine di lingue viene spiegata con un ennesimo peccato degli uomini. Qui la natura, opera di Dio, vede contrapporsi ad essa la città, opera dell’uomo. Babele è la figura della falsa unità, perseguita fra gli uomini per fini di potere, indipendentemente da Dio.
Il racconto biblico della costruzione della torre di Babele è costituito da appena 9 versetti, ma è denso di significato. L’episodio, ponendosi a conclusione della “preistoria” biblica, rappresenta come il ponte fra la premessa universalistica della storia della salvezza e la storia di Israele. L’orizzonte storico di ampiezza universale si restringe alla Mesopotamia, e di qui passerà alla storia di una famiglia, di una tribù, di un popolo.
La torre di Babele e la storia

Il racconto della costruzione della torre di Babele presenta elementi etnologici che riconducono alla storia rispecchiando il passaggio al neolitico (uso di mattoni e bitumi). La torre di Babele viene, così, messa in relazione con la storia.
Il popolo costruttore della torre viene detto provenire dall’Oriente rispetto alla Mesopotamia, e questa notizia permette di collegarlo ai sumeri. La civiltà sumero-babilonese, compresa fra la fine del IV e il principio del III millennio (circa 3000 a.C.), è detta appunto civiltà del mattone, perché il suo sviluppo è caratterizzato dall’uso dei mattoni (seccati al sole, o cotti nel fuoco) come materiale da costruzione, cementato con il bitume di cui possedevano abbondanti giacimenti.
Con questo metodo di costruzione i babilonesi avevano innalzato gigantesche ziggurat ovvero torri a gradinata, per lo più a sette piani sovrapposti restringentisi rispetto al piano sottostante, rivestiti di smalto e dedicati ai sette pianeti dello zodiaco.
Babilonia, nell’età di Hammurabi (1728-1686 a.C.), era il centro del mondo allora conosciuto, cui affluivano vari popoli di varie lingue, ed era oggetto di immagini leggendarie, iperboliche.
La struttura
Una ziggurat colossale si ergeva a Babilonia, e avrebbe dovuto avere le seguenti caratteristiche:
Gradino | Dimensioni m.2 | Colore | Dedicato a |
Primo Secondo Terzo Quarto Quinto Sesto Settimo | 90 X 90 78 X 78 60 X 60 51 X 51 42 X 42 33 X 33 24 X 21 | Nero Arancione Rosso Oro Giallo chiaro Turchino Argento | Saturno Giove Marte Sole Venere Mercurio Luna |
L’ultimo piano era costituito da un sacello vuoto, di maiolica azzurra, ove una donna avrebbe riposato in attesa del dio: in particolare, questa ierogamia (unione con un dio) era in orrore agli ebrei.
L’altezza complessiva avrebbe dovuto essere di circa 91 metri. In realtà, questa torre, continuamente rimaneggiata, non fu mai completata, per motivi a noi sconosciuti.
Il tempio a Babilonia veniva detto E-sag-il = Tempio che innalza il capo, e la sua torre E-temen-an-ki = Tempio basamento del cielo e della terra. L’archeologia moderna ne conosce 33, distribuite in ben 27 città.
Secondo alcune testimonianze storiche sarebbe stato Hammurabi a costruirla nel II millennio a.C., poi l’assiro Sennacherib nel 689 a.C. l’avrebbe rasa al suolo. Invece la torre fu successivamente ristrutturata a più mandate da suo figlio Esarhaddon, dal suo successore Assurbanipal, e dai re caldei Nabopolassar e Nabucodonosor II. Una storia infinita.