La solennità del Corpus Domini, il cui fulcro è l’Eucaristia, è una delle più grandi feste del mondo cattolico. Le dedico il 700° articolo pubblicato su questo blog, Il Regno di Aslan, opportunamente, perché Aslan, come sapete, è il Cristo di Narnia, Salvatore di tutti.
La solennità del Corpus Domini fu istituita ad Orvieto da papa Urbano IV, con la bolla Transiturus dell’11 agosto 1264, dopo aver riconosciuto il miracolo eucaristico di Bolsena. Lo stesso papa incaricò Tommaso d’Aquino di comporre l’officio della solennità. Il Doctor Angelicus risiedeva in quell’anno ad Orvieto, ove insegnava teologia nello Studium. Secondo la tradizione, proprio per la profondità e accuratezza teologica dell’officio composto per il Corpus Domini, Gesù per bocca di un crocifisso gli avrebbe detto: «Bene scripsisti de me, Thoma». L’inno principale del Corpus Domini, cantato nella processione e nei Vespri, è il Pange lingua, la cui parte finale, il Tantum Ergo, è la più nota.
Il “Memoriale”
Che l’Eucaristia sia chiamata “memoriale” non tragga in inganno: il significato della parola “memoriale” non è quello di riportare alla mente o di rievocare nel cuore, ma quello ebraico, assai più forte, di rivivere. La liturgia rende attuale, per chi la celebra, il mistero celebrato; non nel senso di ripeterlo – l’evento salvifico si è compiuto una volta per tutte – ma nel senso di portare il credente dentro l’evento stesso. Nella celebrazione pasquale ebraica si dice: «In ogni generazione ognuno deve considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto, perché il Signore stesso non ha liberato soltanto i nostri padri, ma anche noi insieme con loro» (Haggadah di Pesach) (un articolo QUI).
Ecco, il memoriale eucaristico porta i credenti nel Cenacolo, ai piedi della Croce, davanti al Risorto: questa è la fede della Chiesa cattolica, ortodossa e anglicana (della Chiesa Alta). Il Luteranesimo riconosce la Presenza reale di Cristo, non nella forma della transustanziazione (trasformazione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del Corpo e del Sangue del Signore) ma nella forma della consustanziazione (compresenza della sostanza del pane e del vino con la sostanza del Corpo e Sangue di Gesù).
Una scena del Gesù di Nazareth di Zeffirelli QUI.
La Presenza reale
«Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: ”Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti”» (Marco 14,22-24).
Prima di andare avanti, chiarisco che quel «molti» per i quali è versato il sangue del Signore non vuol dire «molti sì, alcuni no» come potrebbe sembrare, ma, conformemente al senso ebraico della parola rabbîm, indica una grande quantità, senza differenziare fra totalità e maggioranza. Il senso preciso è «moltitudine», senza che si ponga un problema teologico di salvezza per molti ma non per tutti.
Non è solo un simbolismo
Per escludere che si tratti di puro simbolismo, basti dire che la formula dell’Ultima Cena deve essere interpretata con il realismo del discorso eucaristico di Gv 6,51- 58:
«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. La mia carne infatti è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda».
Quando anche i discepoli se ne scandalizzano, Gesù non ritratta, non li corregge con una frase del tipo «Ma no, io parlavo in modo simbolico», anzi è disposto a lasciarli andar via ribadendo che le sue parole vengono dallo spirito (Gv 6,61-69).
Ovviamente, si tratta di un nutrimento sacramentale, mistico, e non biologico.
Immagini eucaristiche
Il pellicano
Il simbolo eucaristico del pellicano, non biblico, ma molto diffuso nel Medio Evo, deriva da una credenza popolare secondo la quale questo animale, nel suo grande amore per i piccoli, quando non ha cibo con cui sfamarli, si apre il petto con il becco e li nutre con il suo sangue.
Già S. Agostino commentava: «Può darsi che questo sia vero, può darsi sia falso; tuttavia se è vero, vedete come ciò si adatta a Colui che con il suo sangue ci ha dato la vita» (Enarr. in Ps. 101).
Seconda una variante anch’essa diffusa, un serpente, approfittando dell’assenza del padre, uccide i piccoli spargendo nel nido il suo veleno, ma quando il pellicano dopo tre giorni ritorna, si trafigge il petto dal quale sgorga il sangue che ridà la vita ai figli. È ovvio il significato eucaristico che ne deriva per il sangue con cui il pellicano ridà la vita ai piccoli e li nutre.
Dante chiama Cristo «il nostro Pellicano» (Par. XXV,113), sulla linea dell’inno liturgico «Adoro te devote» tradizionalmente attribuito a S. Tommaso d’Aquino (che l’avrebbe composto nel 1264, per l’introduzione della solennità liturgica del Corpus Domini, insieme – come abbiamo detto -al Pange lingua, al Sacris solemniis e al Verbum supernum prodiens) in cui è presente l’invocazione «Pie Pellicane, Jesu Domine».
La leggenda deriva probabilmente dal movimento che il pellicano fa appoggiando il grande becco al petto per rigurgitare il cibo e nutrirne i piccoli.
Il pane e i pesci
Il pane è simbolo eucaristico diretto perché è la materia in cui il Cristo si rende realmente presente nel sacramento dell’altare (transustanziazione). L’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci l’ha unito ovviamente all’immagine del pesce, il cui nome, in greco, forma con le proprie lettere I CH TH Y S le iniziali della frase «Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore»: Iesous Christos Theou Yios Soter.