Viaggio nella Bibbia. Il corpo a corpo di Giacobbe nell’ebraismo (Genesi 32)

Corpo a corpo
La lotta con l’angelo. Di Livio Retti (1692 – 1751) – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30118426

Prima di incontrarsi (che potrebbe essere anche uno scontrarsi) con Esaù, Giacobbe ha una strana esperienza di scontro, un corpo a corpo notturno con uno sconosciuto. Da questa fatica – ben diversa dalla visione confortante della scala che congiunge la terra al cielo – Giacobbe esce fisicamente segnato, claudicante, ma diviene finalmente Israele, padre di un popolo. Cosa comprendere in tutto questo?

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Chi è il lottatore?

Il primo problema è se si sia trattato di una lotta accaduta nel mondo reale, quello dei sensi (come riteneva Nachmanide), oppure in quello nel sogno (come pensava Maimonide). Questa domanda si può anche lasciare senza risposta, perché è irrilevante quanto al significato dell’episodio. Più importante è invece l’interrogativo sull’identità dell’uomo con cui lottò Giacobbe e sul significato di questa lotta.

Interpretazioni rabbiniche

Il testo usa il termine ish, “uomo”, ma appare chiaro che si tratti di un essere soprannaturale. Generalizzando, possiamo dire che per i rabbini l’avversario di Giacobbe è decisamente un angelo. Secondo rabbi Tarfon, un maestro della fine del I secolo, si trattò di Michele, uno dei capi delle schiere angeliche. La sua fretta, all’alba, era dovuta al fatto che doveva unirsi agli altri angeli per cantare con loro la lode di Dio.

Maggioritaria è l’interpretazione che identifica l’uomo con l’angelo custode di Esaù. Nel giudaismo, l’angelo custode è lo spirito che personifica la spiritualità e la cultura di una nazione. Negli scritti rabbinici ogni popolo ha il proprio angelo, che intercede per lui davanti a Dio. Quest’uomo era dunque l’angelo protettore di Esaù (capostipite del futuro popolo degli edomiti o idumei, nemici storici degli israeliti), che tentava di far fallire la missione di Giacobbe. Questa lotta, che è una lotta tra i due fratelli per la primogenitura, doveva servire a fare chiarezza su cosa significasse aver ricevuto la benedizione di Isacco e cosa significasse doverla realizzare, anche nei rapporti con le altre nazioni. Infatti Giacobbe, rendendosi conto di aver lottato con un essere celeste, non voleva lasciarlo andare, e lo lasciò solo in cambio di una benedizione che sancisse il suo diritto alla benedizione del padre che in origine spettava al fratello. Questa lotta lascerà un segno su Giacobbe, ma alla fine verrà l’aurora, con essa giungerà la liberazione, e Giacobbe arriverà integro (Gn 33,18) a destinazione. Il simbolismo riguarda il popolo ebraico, che di Israele è figlio. Ma c’è un’altra spiegazione più sottile.

Un combattimento interiore

In sostanza, prima di incontrare il fratello Esaù in persona, Giacobbe ha dovuto confrontarsi interiormente con ciò che rappresentava per lui la figura di Esaù, che è in un certo senso l’altra parte di se stesso, la parte mondana, quella oscura, interessata solo ai beni materiali. È soltanto dopo aver vinto il desiderio di divenire Esaù che Giacobbe, rimasto claudicante, può andare incontro al fratello come ad un essere essenzialmente diverso da lui, e rappacificarsi con esso.

Una proibizione alimentare

Si nota qui una stranezza, se si pensa alla solennità del momento. È questo il momento in cui Giacobbe viene investito come padre del popolo col nome di Israele, eppure è legato ad una proibizione. Ogni festa che ricordi un evento avrà come caratteristica il consumo di cibi particolari, ad esempio l’agnello e le erbe amare e il pane azzimo per la Pasqua… ma qui, invece, a ricordo dell’evento si ha un divieto. Cosa abbastanza strana, che richiede un approfondimento.

Lo Zohar, la Summa della tradizione spirituale cabalistica, descrive il combattimento di Giacobbe come la lotta costante tra l’uomo e il suo aspetto più oscuro. L’uomo può sopraffare le sue tendenze negative, se ne ha la volontà. Con l’arrivo del mattino dunque l’angelo si affretta, poiché col dissolversi della notte avrebbe perso il suo potere. Perciò egli ferisce Giacobbe colpendolo alla coscia, nel punto sensibile dal quale scaturisce il desiderio, l’inclinazione al male. È questo, infatti, il solo punto in il desiderio è forte a tal punto che anche i più grandi rischiano di restare senza forze: è quello che si chiama il ghid hanasheh, il nervo sciatico. Il suo risveglio farebbe dimenticare i pensieri razionali e le preoccupazioni religiose: infatti, nashah vuol dire proprio “dimenticare”. L’unico modo per vincere questa battaglia è starne il più possibile lontani: per questo motivo in Israele si evita completamente di mangiare il ghid, per non dimenticare il proprio retaggio etico e religioso.