Vangelo secondo Marco. A Gerusalemme: le controversie (Mc 11,27-12,37)

Controversie: l'autorità di Gesù
Parabola dei vignaioli omicidi. Codex Aureus Epternacensis – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=155244

Inizia qui una serie di controversie in cui Gesù viene affrontato da vari gruppi di avversari o provocatori. La prima verte sull’autorità di Gesù.

Controversie. L’autorità di Gesù (Mc 11,27-33)

Ecco la prima delle controversie. Alcuni esponenti del sinedrio (composto da sommi sacerdoti, scribi e anziani) interrogano Gesù sulla sua autorità: donde proviene (11,27-33)? Gesù ribatte con una controdomanda: l’autorità di Giovanni, il Battista, da dove veniva?

Gli interlocutori si trovano in al dilemma senza uscita in cui Gesù ha posto i suoi ipocriti avversari. Riconoscendo che il battesimo di Giovanni veniva dal Cielo si sarebbero confessati incoerenti: perché, infatti, non l’hanno accolto? Negando il battesimo di Giovanni si sarebbero messi contro la folla. La loro stessa falsa coscienza e ambiguità li riduce al silenzio.

La parabola dei vignaioli omicidi: una lettura della storia di Israele

Nella serie di controversie si inserisce la parabola che segue (12,1-12), quella dei vignaioli omicidi, mette in luce il loro comportamento di pastori ribelli al Signore, che hanno spinto la loro ribellione fino alla persecuzione e morte dei profeti, in passato. La loro ribellione continuerà e la spingeranno fino alla morte del Figlio. In questo modo segneranno la loro fine, mentre Gesù, la pietra scartata, diverrà la chiave di volta della casa del Signore (Salmo 118). Gesù qui dichiara, sotto il velo della parabola, la sua qualità di Figlio, in un contesto di forte opposizione che non degenera immediatamente nella morte solo per paura della folla. Ecco la necessità, che si afferma tra i capi, di togliere di mezzo Gesù senza farsi notare.

Il tributo a Cesare (Mc 12,13-17)

Il tributo a Cesare. Di James Tissot – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10957525

Il tributo a Cesare: una questione che ha dato luogo addirittura a un detto proverbiale, Dare a Cesare ciò che è di Cesare

Il tributo a Cesare: la risposta di Gesù

La seconda controversia (Mc 12,13-17) è suscitata da farisei ed erodiani, questi ultimi sostenitori del potere monarchico e quindi del dominio romano che lo avvalla. La domanda, mirata ad intessere un tranello, inizia con un atto di captatio benevolentiae, una lusinga che viene rivolta al Maestro sulla sua schiettezza senza compromessi. Ma la questione posta sembra senza uscita: dichiarare la liceità del tributo all’invasore romano renderebbe Gesù passibile di accusa di collaborazionismo, negarla equivarrebbe a farne un ribelle. Pro o contro Cesare?

Ma Gesù trova sempre la terza via che per gli avversari risulta inconcepibile: la moneta che porta l’effigie di Cesare appartiene a Cesare cioè alla sfera dello Stato cui anche il credente, come cittadino, appartiene, e verso cui ha dei doveri, perciò a Cesare la moneta deve essere resa (questo è il verbo usato). A Dio invece ciò che appartiene a Dio, ovvero la vita intera. Il denaro del tributo è pertanto una restituzione all’amministratore dello Stato.

Gesù usa un linguaggio allusivo che provoca alla comprensione ma non forza; propone, non impone.

Controversie: la resurrezione (12,18-27)

Controversie: la resurrezione
Il Paradiso. Di Di Giovanni di Paolo (1398-1482) – CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=127013562

Per comprendere questa terza controversia, sulla resurrezione, bisogna sapere che i sadducei, il gruppo religioso formato dalle grandi famiglie sacerdotali di Gerusalemme, negavano ogni forma di sopravvivenza dell’uomo alla morte. ci può sorprendere, trattandosi di sacerdoti,

La controversia sulla resurrezione: il motivo

La terza controversia (12,18-27) di Gesù con un gruppo religioso a Gerusalemme è addirittura di natura caricaturale. Riguarda infatti la dottrina della resurrezione, che i sadducei negano e irridono, e per far ciò la mettono in ridicolo inventando una storiella su una donna che ha avuto sette mariti e che non saprebbe, con la resurrezione, a chi andare in moglie.

Ma Gesù prende sul serio la domanda, anzi è particolarmente duro nella sua risposta, in cui rinfaccia ai sadducei di misconoscere le Scritture e di negare la potenza di Dio. La concezione che essi ridicolizzano è quella, grossolanamente materialistica, di una vita eterna che sia un’estensione della vita terrena, mentre la vita gloriosa, afferma Gesù, è simile a quella degli angeli dei cieli.

Non siamo angeli

Attenzione, la vita risorta è “simile” a quella degli angeli, non identica: oggi si stanno confondendo dimensioni di esistenza che sono invece completamente distinte.

Contro l’odierna tendenza diffusa ad «angelizzare» tutto, è necessario precisare che gli esseri umani non si trasformano, con la morte, in angeli. La corporeità è una componente inalienabile del nostro essere uomini, per cui la fede che professiamo è quella della resurrezione della carne, non l’immortalità di un’anima disincarnata. La corporeità risorta sarà trasfigurata, gloriosa, non più appesantita da coordinate spazio-temporali, ma sarà una vera corporeità con la nostra identità personale completa.

Gli angeli non sono e non saranno mai uomini buoni spiritualizzati, i diavoli non sono e non saranno mai uomini malvagi dannati. Gli angeli, come pure gli angeli caduti, sono creati come puri spiriti e la costituente corporea è loro completamente estranea.

La resurrezione della carne

Gli uomini, invece, sono creati come persone costituite da anima e corpo, in cui il dato corporeo è essenziale e irrinunciabile per la loro identità. È vero che la morte può anche rappresentare la liberazione da una condizione infelice e che l’anima continua a vivere in eterno, ma è anche vero, biblicamente, che la morte resta una drammatica lacerazione che strappa dolorosamente alla persona una sua dimensione essenziale, il corpo. Ci sarà infatti la resurrezione, che sarà resurrezione della carne, ovvero di tutta la persona, anima e corpo insieme, ricomposta nell’unità vivente voluta da Dio. Un corpo glorioso, come quello del Cristo trasfigurato e risorto; un corpo non più condizionato dai bisogni dello spazio e del tempo, ma un corpo vero e unico, il nostro.

Altro errore che possiamo riscontrare è ritenere che con la morte chi godrà della visione beatifica non riconoscerà i suoi cari e non ne sarà riconosciuto, ma sarà assorbito solo in Dio. Leggiamo bene i dati biblici. Il fatto che Gesù risorto non venga riconosciuto immediatamente dai discepoli, ma solo dopo che lui ha stabilito un rapporto con loro, non dipende da una sua non riconoscibilità, ma dalla cecità spirituale dei discepoli che guardano ma non riconoscono perché non hanno fede, finché non si aprono gli occhi dello spirito. In lui, ritroveremo pienamente e senza più ombre la nostra umanità, in quel Corpo di Cristo in cui tutte le nostre differenze si porranno in comunione mantenendo le proprie identità, in un rapporto di puro amore con Colui che è Carità e con coloro che ci sono stati, nella vita, compagni di viaggio.

La prova scritturale

Quanto alla sopravvivenza dell’uomo oltre l’esistenza terrena, Gesù la dimostra ai sadducei, che non credono ai Profeti e agli altri Scritti biblici, muovendosi esclusivamente sul loro terreno, ossia con un argomento ricavato dalla Torah: Dio si manifesta a Mosè come il Dio dei viventi, perché non «è stato» il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, ma «è» il Dio di coloro che vivono in lui (cfr. Es 3,15).

Controversie: il primo comandamento (12,28-34)

Il primo comandamento
Controversia a Gerusalemme. Di James Tissot (1886-1894) – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10195994

La quarta controversia non sembra iniziata con malanimo, per tendere un tranello, ma in buona fede, da parte di uno scriba che cerca sinceramente Dio. La sua domanda è sincera: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».

Il primo comandamento

Un quarto confronto è quello di Gesù con gli scribi, gli studiosi della Legge, alcuni dei quali veramente innamorati della Torah. Uno di loro infatti si avvicina a Gesù spinto da sincero interesse (12,28-34), per porgli una domanda capitale: su 613 precetti, qual è quello fondamentale, che dà il senso a tutti gli altri?

La questione era realmente dibattuta nelle scuole rabbiniche, perché nella massa di centinaia di precetti bisognava pur capire quale fosse il cuore unificante della Legge.

In realtà i precetti più grandi sono due e vanno di pari passo, l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Gesù non inventa niente, qui; i due precetti rispecchiano la legge mosaica, Dt 6,4-5 e Lev 19,18, come ben sapevano i rabbini. Lo scriba avverte in questo tutta la sua affinità con Gesù e vi riscontra un’altra citazione, Os 6,6 («Misericordia voglio, e non sacrifici»). Gesù, a sua volta, sente vicino colui che l’ha interrogato. Ma chi è in mala fede non osa più tentarlo.

Controversie: il Figlio di Davide (Mc 12,35-37)

Controversie: il Figlio di Davide
Profezia di Natan sul Figlio di David. Miniatore Giovannino de Grassi – Libro d’Ore di Giangaleazzo Visconti, duca di Milano. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25419218

Quello di Figlio di Davide è, tradizionalmente, titolo del Messia. Il Messia atteso da Israele, infatti – almeno per coloro che condividevano questo tipo di attesa, che non era comune a tutto il popolo -, era un trionfatore di stirpe regale. Ma adesso è Gesù a introdurre dubbi imbastendo una controversia: se nel salmo 110 Davide chiama «mio Signore» il Messia suo discendente, che valore si deve dare a questa affermazione?

Cristo figlio di Davide: la controversia (Mc 12,35-37)

Infine è Gesù a provocare una controversia nel tempio: come si deve interpretare Sal 110,1? La traduzione italiana, Disse il Signore al mio Signore, non permette di coglierne il significato, alla lettera, il testo recita: «Oracolo di Jhwh al mio Signore [adonî]». Colui che compone il salmo nella tradizione ebraica è il re Davide. Colui che pronuncia l’oracolo è Dio, e l’oracolo è rivolto al Messia venturo, che Davide chiama «mio Signore». Ma se il salmista chiama Signore il Messia venturo, suo discendente, come può essere, il Messia venturo, semplicemente «figlio di Davide», se Davide stesso lo chiama «mio Signore»?

In questa forma di domanda che rimane senza risposta, Gesù rompe con la concezione tradizionale del Messia / Cristo come semplice figlio di Davide.

Non c’è contrapposizione fra questa concezione e quella di un Messia / Cristo superiore allo stesso Davide, ma c’è un superamento: la discendenza davidica proviene da una origine puramente umana, la signoria del Messia su Davide viene da Dio.