Per comprendere questa terza controversia, sulla resurrezione, bisogna sapere che i sadducei, il gruppo religioso formato dalle grandi famiglie sacerdotali di Gerusalemme, negavano ogni forma di sopravvivenza dell’uomo alla morte. ci può sorprendere, trattandosi di sacerdoti,
Controversia sulla resurrezione: il testo
12 18Vennero da lui alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano dicendo: 19«Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 20C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. 21Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo ugualmente, 22e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. 23Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
24Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? 25Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. 26Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosé, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? 27Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».
La controversia sulla resurrezione: il motivo
La terza controversia (12,18-27) di Gesù con un gruppo religioso a Gerusalemme è addirittura di natura caricaturale. Riguarda infatti la dottrina della resurrezione, che i sadducei negano e irridono, e per far ciò la mettono in ridicolo inventando una storiella su una donna che ha avuto sette mariti e che non saprebbe, con la resurrezione, a chi andare in moglie.
Ma Gesù prende sul serio la domanda, anzi è particolarmente duro nella sua risposta, in cui rinfaccia ai sadducei di misconoscere le Scritture e di negare la potenza di Dio. La concezione che essi ridicolizzano è quella, grossolanamente materialistica, di una vita eterna che sia un’estensione della vita terrena, mentre la vita gloriosa, afferma Gesù, è simile a quella degli angeli dei cieli.
Non siamo angeli
Attenzione, la vita risorta è “simile” a quella degli angeli, non identica: oggi si stanno confondendo dimensioni di esistenza che sono invece completamente distinte.
Contro l’odierna tendenza diffusa ad «angelizzare» tutto, è necessario precisare che gli esseri umani non si trasformano, con la morte, in angeli. La corporeità è una componente inalienabile del nostro essere uomini, per cui la fede che professiamo è quella della resurrezione della carne, non l’immortalità di un’anima disincarnata. La corporeità risorta sarà trasfigurata, gloriosa, non più appesantita da coordinate spazio-temporali, ma sarà una vera corporeità con la nostra identità personale completa.
Gli angeli non sono e non saranno mai uomini buoni spiritualizzati, i diavoli non sono e non saranno mai uomini malvagi dannati. Gli angeli, come pure gli angeli caduti, sono creati come puri spiriti e la costituente corporea è loro completamente estranea.
La resurrezione della carne
Gli uomini, invece, sono creati come persone costituite da anima e corpo, in cui il dato corporeo è essenziale e irrinunciabile per la loro identità. È vero che la morte può anche rappresentare la liberazione da una condizione infelice e che l’anima continua a vivere in eterno, ma è anche vero, biblicamente, che la morte resta una drammatica lacerazione che strappa dolorosamente alla persona una sua dimensione essenziale, il corpo. Ci sarà infatti la resurrezione, che sarà resurrezione della carne, ovvero di tutta la persona, anima e corpo insieme, ricomposta nell’unità vivente voluta da Dio. Un corpo glorioso, come quello del Cristo trasfigurato e risorto; un corpo non più condizionato dai bisogni dello spazio e del tempo, ma un corpo vero e unico, il nostro.
Altro errore che possiamo riscontrare è ritenere che con la morte chi godrà della visione beatifica non riconoscerà i suoi cari e non ne sarà riconosciuto, ma sarà assorbito solo in Dio. Leggiamo bene i dati biblici. Il fatto che Gesù risorto non venga riconosciuto immediatamente dai discepoli, ma solo dopo che lui ha stabilito un rapporto con loro, non dipende da una sua non riconoscibilità, ma dalla cecità spirituale dei discepoli che guardano ma non riconoscono perché non hanno fede, finché non si aprono gli occhi dello spirito. In lui, ritroveremo pienamente e senza più ombre la nostra umanità, in quel Corpo di Cristo in cui tutte le nostre differenze si porranno in comunione mantenendo le proprie identità, in un rapporto di puro amore con Colui che è Carità e con coloro che ci sono stati, nella vita, compagni di viaggio.
La prova scritturale
Quanto alla sopravvivenza dell’uomo oltre l’esistenza terrena, Gesù la dimostra ai sadducei, che non credono ai Profeti e agli altri Scritti biblici, muovendosi esclusivamente sul loro terreno, ossia con un argomento ricavato dalla Torah: Dio si manifesta a Mosè come il Dio dei viventi, perché non «è stato» il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, ma «è» il Dio di coloro che vivono in lui (cfr. Es 3,15).