Contestazione di un’omelia

Contestazione di un'omelia
Immagine da me realizzata con AI tramite www.deepai.org

Ma un fedele cattolico può contestare un’omelia? Sì, se questa va contro l’unità della fede cattolica. Una cosa è esprimere delle perplessità su alcuni punti dell’interpretazione della dottrina, e una cosa è dichiarare che il Papa è un usurpatore. In questo caso, la contestazione di un’omelia è un dovere.
C’è infatti una piccola minoranza delirante e chiassosa che si fa scudo di folli interpretazioni della Declaratio di papa Ratzinger per demolire la validità dell’elezione di papa Francesco. A questa minoranza rumorosa si aggiunge adesso anche Giorgio Maria Farè, sacerdote carmelitano, che ha pronunciato una omelia di ben un’ora e 29 minuti per dimostrare (secondo lui) che papa Francesco non è il papa.
A questa omelia voglio rispondere contestandola e demolendola punto per punto.
Rifacendosi alla predicazione forte di S. Giovanni Battista, Giorgio Farè chiede il coraggio di dire sempre le cose con verità, proprio come affermava papa Francesco il 15 dicembre 2016. Interrogatosi negli ultimi anni circa l’attuale situazione della Chiesa, mentre conseguiva il dottorato in Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana, Farè ha avuto un punto di svolta, domandandosi se doveva adattarsi all’insegnamento pontificio, fatto secondo lui di compromessi e mezze verità.

L’usurpatore

Sempre secondo Farè, “da oltre 11 anni sul Soglio di Pietro siede un uomo riconosciuto come papa dalla maggioranza ma che tuttavia non è il papa legittimo“. I primi dubbi gli sono sorti, dice, leggendo le pubblicazioni di don Alessandro Maria Minutella, del giornalista Andrea Cionci, e di don Fernando Maria Cornet.
Il Minutella è stato il primo che ha portato all’attenzione del grande pubblico la sua idea che Benedetto XVI non si fosse mai realmente dimesso. Di conseguenza, sempre secondo lui, l’elezione del cardinale Bergoglio a Papa non sarebbe valida.
Andrea Cionci ha svolto e continua a svolgere un lavoro suffragato, dice lui, da latinisti, storici della Chiesa, magistrati, canonisti, giuristi e filosofi, fornendo elementi per l’interpretazione giuridica della dichiarazione di Benedetto XVI.
Fernando Maria Cornet con il suo libro Habemus antipapam ha offerto ulteriori elementi.
Sentiamo dunque che cosa ne ha dedotto Giorgio Farè. Sintetizzo, ma le espressioni sono sue.

Farè: Le premesse

«Primo: riconosco tutti i sommi Pontefici a partire da San Pietro fino a papa Benedetto XVI e prendo le distanze da ogni forma di sedevacantismo.
Secondo: riconosco il Concilio Vaticano II. Io mi sono sempre impegnato a studiarlo e a denunciare le interpretazioni neomoderniste che ne sono state fatte. Esse hanno provocato dall’immediato postconcilio fino ad oggi applicazioni distruttive per la fede, la morale, la liturgia e la vita della Chiesa in generale.
Terzo: sottolineo che non ho mai parlato male di Bergoglio né quando lo consideravo Papa né successivamente né oggi quando ho cominciato a dubitare della validità della sua elezione. La mia predicazione degli ultimi 10 anni costituita da oltre 3.200 interventi è tutta reperibile e tutti possono verificare quello che sto dicendo. Sono e voglio rimanere cattolico fedele alla chiesa, al papato, al sacerdozio ed è per questo che sono qui ora a dire quanto segue per comprendere appieno le ragioni della mia affermazione».

Prima argomentazione di Farè:

Benedetto XVI non si sarebbe mai dimesso

Continuo a riportare le argomentazioni di Farè, che – sia chiaro – non condivido affatto.
«Benedetto XVI non si è mai realmente dimesso e quindi papa Francesco non è Papa: è essenziale esaminare i fondamenti giuridici che la sostengono. Ci tengo a sottolineare che la mia dimostrazione è di carattere canonistico e non immediatamente teologico.
Il punto di partenza della dimostrazione è la versione originale in latino della dichiarazione di papa Benedetto XVI pronunciata il giorno 11 febbraio 2013: è necessario considerare la versione latina perché la dichiarazione ufficiale è stata pronunciata in questa lingua. Il testo si può trovare sul sito ufficiale della Santa Sede.
Esistono diversi elementi nella dichiarazione di papa Benedetto che concorrono a renderla inesistente come atto giuridico.
Brevemente descrivo la differenza tra nullità e inesistenza di un atto. Nullo è un atto giuridico affetto da vizi che lo rendono incapace di produrre gli effetti giuridici che gli sarebbero tipici e che pertanto è come se non fosse mai stato posto in essere. Un atto inesistente invece è un atto nel quale mancano del tutto gli elementi costitutivi tanto da non poter nemmeno essere definito un atto giuridico».

Nella Declaratio mancherebbe la volontà di abdicare

«L’atto di rinuncia di Benedetto XVI è inesistente perché manca in esso la volontà di abdicare e lo si evince da diversi fattori.
Innanzitutto si tratta di una mera dichiarazione. La formula Dichiaro di rinunciare in gergo legale non è lo stesso che dire Io rinuncio. Il Papa avrebbe dovuto dire Dichiaro di rinunciare come in effetti rinuncio o forme simili. Così come è stata pronunciata la dichiarazione di Benedetto XVI è appunto solo una dichiarazione, non un atto giuridicamente valido, né alla dichiarazione è succeduta alcuna ratifica come evidenzia don Fernando Maria Cornet. Il titolo dato da Benedetto XVI al documento è Declaratio vale a dire dichiarazione e non rinuncia o abdicazione. La cosa colpisce a maggior ragione perché abitualmente gli atti dei Papi non hanno un titolo ma prendono il titolo dalle prime parole del testo stesso. In questo caso invece Benedetto ha deciso di apporre un titolo specifico».

Risposta alla prima argomentazione

Come si fa a dire che c’è differenza sostanziale tra “Dichiaro di rinunciare” e “Io rinuncio“? Non è ugualmente chiara la volontà espressa? Come si fa a dire che nell’affermazione Dichiaro di rinunciare manca la volontà di rinunciare? Come mi ha chiaramente confermato un esperto di diritto che ho consultato, «Non esiste differenza tra le due locuzioni “Io rinuncio” e “Io dichiaro di rinunciare”. È vero che temporibus illis in Tribunale e di fronte ai notai si sarebbe scritto qualcosa come: “Dichiaro di rinunciare ed effettivamente rinuncio”, ma ciò si faceva per un motivo molto banale, ossia perché più un atto era lungo, più lucravano sia gli scritturali, pagati a cottimo, sia il sovrano con la carta bollata».
Vediamo invece che cosa stabilisce il Codice di diritto canonico per quanto riguarda la rinuncia del Sommo Pontefice al Pontificato.

Cosa dice il Diritto canonico

Can. 332 – §2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti.
La rinuncia deve, quindi, essere libera e chiaramente manifestata. Non occorre che il Papa motivi la sua decisione, è sufficiente che questa sia manifestata in modo chiaro. Più in generale, la legge canonica prevede che chiunque sia responsabile dei suoi atti possa per giusta causa rinunciare all’ufficio ecclesiastico (can. 187). Tale atto è nullo se fatto per timore grave, ingiustamente cagionato, per dolo o per errore sostanziale oppure con simonia (can. 188): è essenziale, infatti, che la manifestazione di volontà di rinuncia sia fatta liberamente.
Il can. 189 prevede che la rinuncia debba essere indirizzata all’autorità superiore: se si tratta del Sommo Pontefice, ovviamente, questa condizione non si pone in quanto il pontefice si trova al vertice delle istituzioni della Chiesa e nessuna autorità ecclesiastica gli è superiore. Per lo stesso motivo non è richiesta nessuna forma particolare per la sua rinuncia. Riporto nuovamente quanto confermatomi da un esperto in diritto: «Inoltre, il Pontefice, anche qualora la forma di un suo atto fosse disciplinata da una norma di diritto positivo, rimarrebbe libero di sostituirla con una a lui più gradita senza compromettere l’efficacia dell’atto stesso. Difatti, come è noto a qualsiasi studentello minimamente accorto, il Papa è soggetto soltanto al Diritto divino». 

Quanto alla mancanza di una ratifica di quanto espresso nella Declaratio, riporto la risposta di esperti canonisti:

«I criteri sovrintendenti un’attività di ricerca che davvero possa ritenersi scientifica, per converso, esigono in primo luogo la piena padronanza della materia investigata, poi l’analisi neutrale delle prese di posizione espresse sulla quæstio disputata e, da ultimo, l’elaborazione di un ragionamento che confuti punto per punto le asserzioni che si reputano meno attendibili. Tutte queste sono “qualità” che non connotano la ricostruzione di Faré, ove in alcuni passaggi sono presenti veri e propri macroscopici ‘scivoloni’ canonistici: come quando si sostiene che la rinuncia sarebbe giuridicamente inesistente poiché a essa non «è succeduta alcuna ratifica» (p. 5).

Eppure, il can. 332 § 2 CIC, in linea di continuità con quanto previsto nel can. 221 del Codice pio benedettino del 1917, ma invero con l’intera tradizione canonica, dispone che l’atto del papa non è richiesto sia accettato da qualcuno («non vero ut a quopiam acceptetur»): una precisazione ancorata all’assetto costituzionale della Chiesa e volta a riaffermare le prerogative di governo del successore di Pietro, titolare di una potestà suprema (can. 331 CIC), che non può essere astretta da v incoli prescritti da norme di diritto umano (cfr. Geraldina Boni, Sopra una rinuncia. La decisione di Papa Benedetto XVI e il diritto, Bononia University Press, Bologna, 2015, p. 82 ss., e la vasta dottrina ivi citata).

Di conseguenza, non si può imporre l ’accettazione delle “dimissioni”, poiché si abiliterebbe il soggetto o l’autorità che le riceverebbe a poterle respingere, ciò che non è ipotizzabile; né tanto meno si può costringere il papa a ratificare la sua decisione, avendo già manifestato inequivoca bilmente la sua volontà a tutta la Chiesa e non essendo peraltro tenuto a un adempimento che indebitamente limiterebbe quel potere supremo di cui ha la piena disponibilità. Per questi motivi, dunque, né la legge positiva né la prassi potranno mai imporre un obbligo di ratifica, superando i confini invalicabili tracciati dallo ius divinum»

(Boni – Ganarin, Ancora sulla pretesa invalidità della Declaratio di Benedetto XVIhttps://lanuovabq.it/storage/docs/boni-ganarin-versione-integrale-def.pdf).

In sintesi

Che cosa se ne deduce? Che la dichiarazione di rinuncia di papa Ratzinger, chiara e decisa, manifesta apertamente la volontà di rinunciare. Poiché tale documento non è privo di alcun elemento essenziale, ovvero della manifestazione della decisione liberamente assunta, e dell’oggetto dell’atto medesimo, cioè la rinuncia al Pontificato, è evidente che sostenere che tale atto è inesistente equivale ad una farneticazione.