
«Consolatori molesti voi tutti!». Bersagliato dagli amici, Giobbe arriva a gridarlo loro in faccia. Il primo amico, Elifaz, si era presentato con mitezza, ma adesso, risentito dalla dura reazione di Giobbe, si dissocia dall’amico. Lo fa in due momenti, dapprima rimproverando puntigliosamente (15,2-16).
15 8«Hai tu avuto accesso ai segreti consigli di Dio
e ti sei appropriato tu solo della sapienza?
9Che cosa sai tu, che noi non sappiamo?
Che cosa capisci, che non sia chiaro anche a noi?».
Le parole di Giobbe, afferma Elifaz, sono frutto di orgoglio, che lo fa insuperbire persino di fronte a Dio, quasi si ponesse al livello della stessa sapienza divina. Anche il più santo degli uomini, davanti a Lui, è solo un essere abominevole e corrotto (15,2-16).
Gli rammenta poi la dottrina tradizionale sul destino tragico del peccatore: bisogna mettersi alla scuola degli antichi sapienti, per imparare che il peccatore è ineluttabilmente condannato (15,17-35). Lo punisce inizialmente il suo rimorso, poi sopravviene l’inesorabile rovina,
25 «perché ha steso contro Dio la sua mano,
ha osato farsi forte contro l’Onnipotente».
Elifaz continua, con una certa delicatezza, a non applicare direttamente a Giobbe le sue parole: sarà lui a trarne trarre le conseguenze.
La risposta di Giobbe: «Consolatori molesti voi tutti!» (cap. 16-17)
In questo nuovo discorso di risposta si fa più forte la constatazione della frattura totale creatasi tra Giobbe e i suoi sedicenti amici, ma anche con Dio stesso che appare nemico dell’uomo. Anche in questi capitoli possiamo distinguiamo tre momenti.
Dapprima Giobbe rinfaccia agli amici le parole campate in aria. A differenza dei suoi pseudo consolatori, che parlano in astratto, Giobbe soffre atrocemente e senza tregua (16,1-6).
Il secondo ordine di pensieri (16,7-22) è invece di sapore più giuridico. Dio tratta l’uomo implacabilmente come un avversario, ed anche i nemici umani gli danno man forte (16,7-14). Giobbe, per salvarsi da tanta rovina, si rassegna a trasformarsi in penitente nonostante la sua totale innocenza (16,15-17), appellandosi a Dio perché gli sia testimone e difensore contro se stesso!(16,18-22).
Nel cap. 17 leggiamo l’ultimo lamento in cui Giobbe torna ad esprimere la propria tragedia (17,1-4) nella quale gli amici non solo non gli offrono conforto, ma si rivelano insultatori e beffardi. Paradossalmente, solo Dio potrebbe fargli da mallevadore e proteggerlo…