
«Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: Capisci quello che stai leggendo? Quegli rispose: E come lo potrei, se nessuno mi conduce per la via? E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui» (8,30-31).
Compagni di viaggio
Quello che chiede l’Etiope è di essere condotto per la via: concetto espresso col verbo hodegéo. Divenire compagni di viaggio. Non semplicemente essere istruito. Il prefisso “hode-” significa “strada”, unito al verbo ago / condurre, sottolinea l’aspetto di guidare qualcuno lungo un percorso, fisico o spirituale. Non si tratta solo di fornire una direzione, ma di entrare nel vissuto di coloro che vengono guidati, facendosene compagni di viaggio.
La frase dell’Etiope, Come potrei se nessuno mi guida, mi sembra tanto il grido di dolore delle tante persone che vorrebbero conoscere le S. Scritture, ma che sono lasciate a se stesse…
Invece Filippo, dato che le Scritture sono importanti per l’Etiope, trova un modo per inserirsi nella sua vita. La sua è una evangelizzazione rivolta alla persona. Si è messo sulla strada, lo ha aspettato, lo ha affiancato. Adesso sono compagni di viaggio.
La Parola
«Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: Come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, ma la sua posterità chi potrà mai descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita. E rivoltosi a Filippo l’eunuco disse: Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro? Filippo, prendendo a parlare e partendo da quel passo della Scrittura, gli annunziò la buona novella di Gesù» (8,32-35).
La Parola viene in un secondo momento di questo tratto di strada percorso insieme. Stabilito il rapporto, la Parola viene facile anche se è molto difficile, invece, da comprendere.
Il brano che l’Etiope legge era interpretato, ai suoi tempi, in relazione ad un Giusto sofferente e orante, ad esempio Mosè. Nessuno lo interpretava in relazione al Messia, che era, nelle aspettative comuni, un vittorioso. Quando lessi questo passo per la prima volta da bambina, mi meravigliai della perplessità dell’Etiope: era per me evidentissimo che il passo di Isaia parlava di Gesù, come faceva quest’uomo a non sapere che quel Sofferente era il Messia? Ho dovuto approfondire molto, da adolescente e da giovane adulta, per capire che nel mondo ebraico nessuno aveva dato questa interpretazione messianica, che era una totale novità evangelica. L’incomprensione da parte di un uomo degli anni Trenta del Primo secolo era perfettamente reale. Solo chi avesse fatto l’esperienza del Cristo Gesù crocifisso e risorto avrebbe potuto dare questa spiegazione. Ed è quello che Filippo fa, e l’Etiope è convinto.
Il Battesimo
Ecco il terzo momento della vicenda, il sacramento. «Proseguendo lungo la strada, giunsero a un luogo dove c’era acqua e l’eunuco disse: Ecco qui c’è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?» (v. 36). Non c’è impedimento se c’è la fede.«Fece fermare il carro e discesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. Quando furono usciti dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo» (8,39).
Filippo è compagno di viaggio dell’Etiope finché questi ne ha bisogno per essere evangelizzato e battezzato, poi lo Spirito, che lo aveva condotto da lui, lo conduce altrove perché prosegua la sua opera. Il pastore, il ministro, il Santo stesso non deve fermare il discepolo a se stesso. Noto certe pastorali, o certe devozioni ai Santi, che, molto incentrate sulla persona del pastore o del Santo, arrestano su questa la crescita spirituale del fedele. Il pastore o il Santo devo condurre a Cristo, non bloccare l’attenzione su di sé. Si fa torto ad un Santo se la devozione a lui indirizzata diviene fine a se stessa. Si rende un cattivo servizio ad un pastore se la sua influenza concentra le persone sulla sua leadership.
«L’eunuco non lo vide più e proseguì pieno di gioia il suo cammino. Quanto a Filippo, si trovò ad Azoto e, proseguendo, predicava il vangelo a tutte le città, finché giunse a Cesarea» (8,39-40).
L’etiope si immerge nella comunione con Cristo: la sua gioia non è sminuita se non vede più colui che era stata la sua guida. Filippo se ne va ad evangelizzare altri che hanno bisogno di lui: Azoto (Ashdod) a nord, le località costiere, Cesarea. Filippo torna alla città, è lì che lo Spirito lo vuole. Questo Spirito non è una forza cieca, un semplice attributo che promana da Dio: compie azioni di Persona, parlando, dirigendo. Le sue azioni divine si armonizzano con quelle della persona che interiormente lo accoglie: non è una marionetta, non è un automa, ma si lascia guidare dai suoi suggerimenti e talvolta dai suoi ordini…