Questa volta la parola spetta principalmente al Diletto, che tesse con grande spiegamento di immagini l’elogio della bellezza dell’Amica: «Come sei bella, amica mia!».
Nel Cantico la corporeità è presente con il massimo dello splendore e del vigore… Il corpo non è demonizzato ma esaltato per essere reciprocamente goduto nella più grande innocenza creaturale. Il canto che lo celebra è racchiuso dall’esclamazione iniziale e finale: «Come sei bella, amica mia, come sei bella»; «Tutta bella sei tu, amica mia e in te non vi è difetto».
Il corpo dell’amata è presentato, per così dire, in ordine discendente, partendo dalla testa per fermarsi al seno… Attraverso sette immagini: due colombe, un gregge di capre, pecore che salgono da un torrente, un nastro di porpora, uno spicchio di melagrana, la torre di Davide, due cerbiatti… Il corpo dell’amata è una vera opera d’arte alla quale l’amato rivolge il suo sguardo d’amore.
«Come sei bella, amica mia!»
4 1Come sei bella, amica mia, come sei bella!
Gli occhi tuoi sono colombe,
dietro il tuo velo.
Le tue chiome sono un gregge di capre,
che scendono dalle pendici del Gàlaad.
2I tuoi denti come un gregge di pecore tosate,
che risalgono dal bagno;
tutte procedono appaiate,
e nessuna è senza compagna.
3Come un nastro di porpora le tue labbra
e la tua bocca è soffusa di grazia;
come spicchio di melagrana la tua gota
attraverso il tuo velo.
4Come la torre di Davide il tuo collo,
costruita a guisa di fortezza.
Mille scudi vi sono appesi,
tutte armature di prodi.
5I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano fra i gigli.
6Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
me ne andrò al monte della mirra
e alla collina dell’incenso.
7Tutta bella tu sei, amica mia,
in te nessuna macchia.
«Come sei bella!». Le immagini
L’elogio della bellezza di Lei, che era stato fatto prima attraverso immagini regali, adesso si serve di immagini naturali che descrivono il corpo di lei.
Le immagini, desunte da una civiltà pastorale, possono risultare per noi sorprendenti, sconcertanti o persino sgradevoli. Belle le immagini delle colombe e della melagrana, ma non è molto di moda, oggi, paragonare i capelli di una fanciulla ad un gregge di capre che scendono dai monti, o la sua dentatura perfetta a pecore bianche splendenti che hanno attraversato il torrente per lavare la loro lana, a due a due, senza che nessuna manchi all’appello! Particolare realistico: è la cosiddetta «lana saltata», cioè lavata addosso alla pecora prima della tosatura, facendo passare la pecora stessa attraverso l’acqua di un torrente…
Troviamo qui anche l’attributo Torre di David («Migdal David») che nelle Litanie Lauretane sarà riferito alla Vergine Maria: «Turris Davidica». Il collo, paragonato ad una torre, è di una bellezza scultorea, ma la torre di David richiama anche la discendenza davidica da cui doveva provenire il Messia. Nei Vangeli, è Maria il tramite dal quale l’atteso discendente di Davide si concretizza in Gesù di Nazareth: «Figlio di David» sarà un titolo che gli sarà rivolto popolarmente.
Nel Targum
Nel Targum, Israele è bella agli occhi del Signore, con i suoi sacerdoti e leviti.
3 Come nastro di porpora le tue labbra,
la tua bocca è piena di fascino;
come spicchio di melagrana è la tua tempia
dietro il tuo velo.
«E le labbra del Sommo Sacerdote stavano pronunciando preghiere davanti a YHWH nel Giorno dell’Espiazione, e le sue parole cambiarono i peccati di Israele (che assomigliavano a un filo scarlatto) e li rendeva bianchi come lana pura [cfr. Is 1,18]. E il Re che era alla loro testa era pieno di precetti come la melagrana…».
La Torre di David evoca il mondo costruito dalla Parola del Signore, e i suoi scudi la vittoria di Israele, non con le armi della guerra ma con la conoscenza e l’insegnamento della Legge.
I due redentori
Riguardo al v. 5 si trova un’affermazione che si fa strada nell’ebraismo rabbinico solo dopo il 135, cioè dopo l’insurrezione messianica di Simone bar Kokeba col suo disastroso esito: l’attesa di due distinti Messia, uno ben David, il Messia Re della Casa di Giuda, e uno ben Joseph o ben Efraim, il Messia della Guerra destinato ad essere sconfitto e ucciso, ma la cui disfatta avrebbe spianato la strada al Messia vincitore.
Così infatti recita il Targum:
5 I tuoi seni sono come due cerbiatti,
gemelli di una gazzella,
che pascolano tra i gigli.
«I tuoi due redentori che sono destinati a riscattarti, il Messia ben David e il Messia ben Ephráyim, assomigliano a Mosè e Aronne, i figli di Yochebed (che sono paragonabili a due cerbiatti, gemelli di una gazzella). E per merito loro nutrirono il popolo della Casa di Israele per quarant’anni nel deserto con manna, uccelli carnosi e l’acqua del pozzo di Miryām» (lo stesso in Targ. Cant. 7,4).
È solo nella secondo metà del II secolo che si affaccia questa figura, totalmente sconosciuta nell’ebraismo del tempo di Gesù, che accentra su di sé gli aspetti guerreschi del messianismo, compresa una morte in battaglia, lasciando al Messia ben David gli aspetti regali e gloriosi. Data l’impossibilità di accostare al personaggio del Messia davidico l’idea della sofferenza e della morte, la figura messianica viene per così dire sdoppiata, creando una figura di combattente che muore per la causa del Signore, ma alla cui morte non è mai stato attribuito un valore redentivo: mai il Servo sofferente di Is 53 viene collegato al Messia ben Ephraim.
È la sconfitta delle attese messianiche con il fallimento della rivolta di Bar Kokheba a suggerire all’ebraismo una nuova linea di interpretazione per il messianismo. Così, la figura di un Messia umanamente fallito (e ucciso) si profila solo sul finire del II secolo E.V., e solo per quanto riguarda l’Unto di guerra ben Ephraim (Sukka. 52a, R. Dosa; Gen. R. 75,6); ma un Messia che muoia espiando i peccati del popolo, e che risorga, facendo irrompere attraverso la sua morte e resurrezione la vita del mondo nuovo nel seno del vecchio, non rientrerà mai nelle attese del giudaismo.