Comunque si numerino i Comandamenti, quelli successivi al rispetto dei genitori sono comandamenti riguardanti gli altri: il rispetto e la tutela della persona dell’altro, della sua famiglia, della sua onorabilità e dei suoi beni. Sono, nel loro senso originario, Comandamenti radicali, che riguardano casi gravissimi.
Comandamenti riguardanti gli altri. Non uccidere… chi?
Il quinto comandamento, Non uccidere, usa il verbo raro Razach che non designa la pena di morte né lo sterminio della guerra santa (Cherem) né l’applicazione della legge del taglione, ma solo la violenza su di una persona priva di difesa, come l’assassinio di Nabot da parte di Gezabele (1 Re 21).
Questo comandamento non appare perciò in contrasto con le numerose uccisioni descritte nella Bibbia: non proibisce ogni uccisione, ma l’assassinio di un innocente. Questo è il primo dei comandamenti che riguardano il rapporto con l’altro umano.
Non commettere adulterio… con chi?
Il sesto comandamento usa il verbo raro Na’af che non riguarda genericamente l’area sessuale ma solo l’etica matrimoniale, e si deve tradurre precisamente Non commettere adulterio. La donna commette adulterio quando viola il proprio matrimonio, l’uomo quando viola quello altrui; quindi, non è adulterio il rapporto di un uomo sposato con una donna nubile. La prospettiva è prevalentemente giuridica, come lesione dei diritti di proprietà dell’uomo sulla moglie. Ha un senso come tutela della famiglia, se si pensa che, come si dirà a Roma, Mater semper certa est, pater numquam! L’unico modo per garantire che i figli siano veramente del padre nominale è garantire la fedeltà assoluta della loro madre.
Comandamenti riguardanti gli altri. Non rubare… cosa?
Il settimo comandamento originariamente si riferisce non al furto di oggetti ma al sequestro di persona: “Chi rapisce un uomo e lo vende, se lo si trova ancora in mano a lui, sarà messo a morte” (Es 21,16). Si riferisce dunque al rapimento a scopo di lucro, e alla tratta di esseri umani, La proprietà difesa da questo comandamento è la libertà personale come bene fondamentale dell’essere umano.
Secondo la tradizione rabbinica, la violazione dei comandamenti del Decalogo comporta la pena di morte, ma appropriarsi di oggetti altrui non è un delitto capitale, perciò la portata di questo comandamento deve essere più grave. Questa interpretazione, se non è certa, è almeno probabile, e pone l’accento su quello che è un gravissimo fenomeno anche al giorno d’oggi: la tratta di esseri umani, che degrada l’uomo al livello di oggetto.
Non dire falsa testimonianza… dove?
L’ottavo comandamenti difende la verità nella prassi processuale, affinché non sia violato il diritto all’onore. Il verbo ‘Anah significa alzare la voce, prendere pubblicamente la parola. La chiamata a testimoniare in un giudizio è una attività essenziale per la convivenza organizzata e pacifica. Si può uccidere anche con una falsa testimonianza in tribunale…
Non desiderare… in quale modo?
Il nono – decimo comandamento difende il diritto alla proprietà. Desiderare, però, Chamad, non indica un vago desiderio o un’attrattiva istintiva, ma la macchinazione per realizzare un progetto, quindi una opzione di vita. Biblicamente, questo verbo appare seguito dal prendere, in circostanze cioè in cui all’intenzione fa seguito l’azione. Si riferisce dunque ad una forma di desiderio che si concretizza nel progetto e nel tentativo di appropriarsi di quanto si desidera. Si tratterebbe quindi, secondo gli estensori del Decalogo, di una pianificazione attiva per impadronirsi di quanto non ci appartiene.