Siamo al quarto giorno della Settimana Santa: la vigilia di Pasqua, giovedì.
«Colui che consegna»: il testo
14 12Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». 13Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. 14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. 15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». 16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
17Venuta la sera, egli arrivò con i Dodici. 18Ora, mentre erano a tavola e mangiavano, Gesù disse: «In verità io vi dico: uno di voi, colui che mangia con me, mi tradirà». 19Cominciarono a rattristarsi e a dirgli, uno dopo l’altro: «Sono forse io?». 20Egli disse loro: «Uno dei Dodici, colui che mette con me la mano nel piatto. 21Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».
Preparazione della Cena pasquale (14,12-16)
È il 14 Nisan e bisogna preparare la festa, che inizierà al tramonto. Gesù indica a questo scopo una sala grande e arredata, al piano superiore di una casa il cui padrone a quanto pare vive da solo, perché da solo va ad attingere l’acqua, mansione femminile per eccellenza.
«Colui che consegna» (14,17-21)
Alla Cena, rito familiare, Gesù partecipa con la fraternità dei Dodici, la nuova famiglia che lui ha istituito. Ma questa famiglia nasconde una debolezza: uno dei Dodici, che intinge nel piatto comune con lui, e che lo consegnerà.
La domanda sulla sua identità in Marco rimane ancora aperta: chiunque potrebbe essere colui che «consegna» Gesù. Il verbo paradidomi non dovrebbe essere tradotto con tradire ma con consegnare (analogamente al latino tradere): è solo in seguito, a partire dal latino cristiano, che il verbo ha assunto la sfumatura del tradimento.
Storia di una parola: dalla consegna al tradimento
Il significato originario del verbo tradere si riscontra ancora nella parola «tradizione». Il senso negativo gli è stato attribuito a partire dal gesto di Giuda, che a tradimento consegna Gesù in mano alle autorità, ma anche dalla designazione di «traditores», nella Chiesa antica, di quei cristiani che, per salvarsi la vita durante le persecuzioni, consegnavano i libri sacri alle autorità imperiali: i «traditores codicum», ovvero coloro che avevano consegnato i libri sacri, divengono così traditori della fede. «Tradire», in latino, si dice invece «prodere», da cui l’aggettivo italiano «proditorio»
Quel che conta nel gesto di Giuda non è la slealtà del tradimento ma il misterioso compimento del disegno salvifico divino in Gesù Figlio dell’uomo, «come è scritto di lui». Il riferimento scritturale, implicito in Marco, è a Sal 41,10: «anche colui che mangia il mio pane leva contro di me il suo calcagno». Anche se il significato del tradimento è implicito, Giuda non è definito come colui che tradisce, ma come «colui che consegna». Altrettanto faranno i capi di Gerusalemme a Pilato, Pilato ai soldati… ma dietro tutto questo, Chi prima di tutti consegna Gesù al mondo è il Padre.
Il ruolo di Giuda
Certo, la responsabilità di Giuda è enorme, tanto che «meglio sarebbe se non fosse nato» (14,21); ma non dobbiamo pensare che il suo gesto sia dettato dal destino. È, invece, un atto di scelta; Giuda ha un compito negativo, dovuto ad una sua scelta e non alla fatalità; da questa scelta passa la storia della salvezza di Dio, che scrive diritto sulle righe storte degli uomini, come diceva il grande predicatore Jacques Bossuet, e di un grande male può fare un grande bene.
Qualcuno avrebbe dovuto compiere tale disegno di fedeltà di Gesù fino alla morte: se non fosse stato Giuda, sarebbe stato un altro; non è fatalismo, ma libera scelta del gesto da compiere, con tutta la responsabilità che ne consegue. Ognuno di noi, piccolo e insignificante che sia, ha una parte in questo: «un sasso può determinare il corso di un fiume» (C.S. Lewis); se questa pietra non si trova al suo posto, ebbene, la salvezza, inarrestabile, prenderà un’altra strada; ma quella pietra non avrà svolto il suo compito.
La volontà salvifica di Dio si attua sempre, sta a noi attuarla come Pietro, col suo pentimento, o come Giuda, con la sua disperazione. Non confondiamo la Onniscienza, la prescienza di Dio, il suo sapere tutto prima che accada, con la predestinazione degli eventi come se fossero fissati da lui: proprio come chi ha già visto un film, e lo vede per la seconda volta, sa già come finisce, ma non è lui a dirigere gli attori.
Ma la parte di Giuda, in fondo, può essere quella di ciascuno di noi; lo stesso anonimato in cui Marco lascia «colui che consegna» ne favorisce l’identificazione con chiunque. Tutti noi possiamo «consegnare Cristo» tradendolo.