C.S. Lewis maestro dello spirito

C.S. Lewis
C.S. Lewis fra le sue amate carte.
Fonte: https://www.cslewis.it/index.php/features-mainmenu-27/lewis-scrittore

Santo è solo chi fa miracoli fisici? In tal caso il numero, anche se grandissimo, è limitato. Ma il santo non è solo il taumaturgo. Il santo è il credente che cerca di vivere il rapporto con Dio e quindi anche con gli uomini; e qui la schiera si fa incalcolabile. Anche papa Francesco ha parlato dei santi della porta accanto, coloro che vivono la santità nella quotidianità e la testimoniano con la loro esistenza. In questo senso, C.S. Lewis, lo scrittore famoso di fantasy e fantascienza, il prestigioso intellettuale di Oxford, l’amico di Tolkien, è un santo.

«Santo» lo considera la Chiesa episcopale, l’analogo statunitense della Chiesa anglicana. La Comunione anglicana, infatti, celebra i santi intesi in un senso simile a quello della tradizione cattolica e ortodossa, benché enfatizzi la vita esemplare dei santi in quanto testimoni della fede e non ne chieda l’intercessione. 

In questo calendario, che annovera una nutrita schiera di cattolici come Elisabeth Ann Seaton, don Bosco, John Henry Newman,  Charles de Foucauld, Gilbert Keith Chesterton, Edith Stein, Thomas Merton, Giovanni XXIII, Oscar Romero,  insieme a protestanti come  Søren Kierkegaard, Karl Barth, Martin Luther King, Dietrich Bonhoeffer, ortodossi come Andreï Rublev, anglicani come John Donne, Florence Nightingale, Dorothy L. Sayers, il 22 novembre figura il nome di C.S. Lewis, «apologista e scrittore spirituale».

Ma anche il sito «Santi, beati e testimoni» ne parla diffusamente come di un grande difensore della fede cristiana (QUI).

C.S. Lewis, chi era costui?

C.S. Lewis con Tolkien
Tolkien e Lewis. Fonte: https://www.cslewis.it/index.php/features-mainmenu-27/la-conversione

Che cosa ha dunque fatto nella sua vita C.S. Lewis per essere considerato un testimone della fede? Niente di fuori dell’ordinario: è stato se stesso, semplicemente. Un grande intellettuale e docente di Oxford, i cui saggi di letteratura e cultura medievale e rinascimentale sono ancor oggi libri di testo nelle università; un grande scrittore che ha affascinato grandi e piccini; un grande credente che con le sue opere ha portato alla fede cristiana migliaia di lettori.

Conosciuto in tutto il mondo almeno a partire dal 1942 per aver pubblicato le immaginarie Lettere di Berlicche, best-seller nonché capolavoro della letteratura mondiale che ebbe otto ristampe lo stesso anno della prima edizione, si aggiudicò un posto di primo piano nella letteratura per l’infanzia con il ciclo delle Cronache di Narnia, il cui primo romanzo, Il Leone, la Strega e l’Armadio, spicca fra i primi 10 libri più venduti al mondo, avvicinandosi ai 100 milioni di copie.

Ma sono in particolare i saggi religiosi, come Mere Christianity (dal brutto titolo italiano «Il Cristianesimo così com’è», ma vale la pena di leggerlo), a fare di lui un apologeta che ha totalizzato un numero vertiginoso di conversioni al cristianesimo, per la pacata ragionevolezza delle sue argomentazioni. Cito fra tutti lo scienziato americano Francis Collins, scopritore del genoma umano, il quale si definiva un ateo di ferro finché non si imbatté in un libricino di Lewis, Mere Christianity, appunto. Racconta:

«Nei giorni successivi, sfogliandone le pagine e sforzandomi di assorbire nella loro ampiezza e profondità le argomentazioni intellettuali di questo leggendario studioso di Oxford, mi resi conto che i tutti i miei costrutti contro la plausibilità della fede erano degni, al massimo, di uno scolaretto […]. Lewis pareva conoscere tutte le mie obiezioni, talvolta anche prima che fossi riuscito a formularle con precisione, e le risolveva invariabilmente nell’arco di una o due pagine. In seguito, quando scoprii che anche lui era stato ateo e si era proposto di confutare la validità della fede sulla base di argomenti logici, riconobbi quanto sarebbe potuto essere illuminante sul mio percorso, perché era stato anche il suo»

(F. Collins, Il linguaggio di Dio, Sperling & Kupfer, Milano 2007, pag. 14).

Il libretto, precisa lo scienziato in una intervista, «fece cadere le mie argomentazioni «a tenuta stagna» sul fatto che la fede fosse semplicemente irrazionale, rivelandole piene di buchi. Di fatto rovesciò le mie posizioni, convincendomi che la scelta di credere era la conclusione più razionale se uno guardava alle evidenze attorno a sé. Fu una sorta di rivelazione scioccante, a cui ho cercato di resistere strenuamente per un anno, ma che poi ho deciso di accettare» (A. Galli, Dal genoma a Dio in «Avvenire» 20 ottobre 2006).

Due papi fra i suoi fans

Quanti libri… Fonte: https://www.cslewis.org/

Durante la seconda guerra mondiale, C.S. Lewis tenne alla BBC nella Londra bombardata dai tedeschi tre cicli di conferenze radiofoniche sul cristianesimo che resero la sua voce la più familiare agli inglesi dopo quella di Winston Churchill. Apprezzato conferenziere, Lewis trasfondeva in tutti i suoi discorsi, senza la minima retorica, anzi con un considerevole senso dell’humour, la forza della sua fede, e altrettanto faceva negli scritti.

La registrazione della viva voce di C.S. Lewis QUI:

I papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ne hanno letto e apprezzato le opere, dichiarandolo a più riprese. Nel 1984, dopo che in un discorso sull’amore terreno aveva citato, insieme a Dante e S. Agostino, anche I quattro amori di C.S. Lewis, Giovanni Paolo II fece sapere al segretario di questi, Walter Hooper, che lo avrebbe incontrato con piacere, e all’udienza gli confidò: «Ah, sai che anche a me piace il suo libro I quattro amori!”… C.S. Lewis sapeva qual era il suo apostolato… e lo portò avanti». Benedetto XVI si è rifatto spesso al pensiero dello scrittore anglicano, di cui si può trovare traccia persino nella sua enciclica Deus charitas est.

La conversione

Lewis sapeva essere così incisivo perché lui stesso aveva provato che cosa significasse perdere la fede e compiere un lungo e travagliato viaggio per ritrovarla. Era un convertito; ma la fede che aveva perso era una fede tradizionale, infantile, mentre la fede cui era approdato con tanta fatica e con tanta gioia (leggere l’autobiografia Sorpreso dalla Gioia, edizioni Jaca Book) era incomparabilmente più matura e capace di guidare gli altri per la medesima strada.

Alla sua conversione aveva dato il colpo finale una lunga conversazione notturna con Tolkien ed altri amici. Tuttavia, Lewis, contro il desiderio dell’amico Tolkien, non si fece cattolico: si fermò alla Chiesa Alta anglicana, dottrinalmente la più vicina al cattolicesimo. Il segretario di C.S. Lewis, Walter Hooper, che grazie agli scritti di Lewis dall’ateismo si era convertito all’anglicanesimo e che dopo la morte del maestro si era fatto sacerdote anglicano, dopo l’incontro con Giovanni Paolo II terminò di maturare la conversione al cattolicesimo, che raccontava così:

«Se Lewis fosse qui, oggi su questa terra, sarebbe certamente cattolico. Per me il punto di svolta fu una domenica di Pasqua, anni dopo la sua morte. Mi recai in cattedrale, e un vescovo anglicano iniziò l’omelia dicendo: “Cari fratelli, stamattina parlavo col mio gatto, e gli domandavo: ma tu, o gatto, sei davvero sicuro che Gesù sia risorto?”. Me ne andai via disgustato; a casa accesi il televisore e vidi a Roma un uomo vestito di bianco esclamare a gran voce “Cristo è davvero risorto!”. Dove mai sarei potuto andare?» (E. Rialti, L’anglicano scomodo. Storia di C. S. Lewis, lo scrittore convertito che piace a Benedetto XVI e imbarazza gli inglesi, «Il Foglio», 18.09.2010).

Maestro dello spirito

C.S. Lewis. Fonte immagine: https://www.cslewis.com/blog/

Con la sua adesione alla fede cristiana, C.S. Lewis non perse tempo: sapeva di dover portare agli altri quella gioia che egli aveva ricevuto. Lo fece con le conferenze e con gli scritti, sia nei saggi religiosi che nei romanzi, tutti ascrivibili alla letteratura fantastica, sette per gli adulti e sette per i bambini. La sua parola, orale e scritta, raggiunse milioni e milioni di persone, tanto che al termine della vita poteva trarre questo bilancio scrivendo ad un padre gesuita suo amico:

«Sì, Dio è stato molto buono con me ed ha permesso che la mia opera raggiungesse più gente di quanto io avrei osato sperare. Ma sempre mi ricordo che Egli può predicare qualunque sia lo strumento. L’asino di Balaam è l’esempio che tengo in mente [Nm 22,24-31] – Non potreste farlo canonizzare?».

Al tempo stesso, scriveva migliaia di lettere in risposta alle altrettante lettere che i suoi lettori gli inviavano. Questa, oltre che di apostolato, era anche opera di direzione spirituale, anche se Lewis avrebbe riso sentendola qualificare in tal modo.

La preghiera

La spiritualità di Lewis, estremamente esigente, concede poco alle gratificazioni di tipo emotivo, e non riconosce loro valore alcuno nel cammino della preghiera, se non negli stadi iniziali, quando «fare esperienza» del Divino, in certo modo, si rivela importante per iniziare la strada. «Donde le preghiere offerte in uno stato di aridità – scrive – sono quelle che più gli sono gradite…».

A una corrispondente americana scriveva: «La presenza di Dio non è la stessa cosa del senso della presenza di Dio. Questa ultima può essere dovuta all’immaginazione; alla prima si può non partecipare con “consolazione sensibile”. Il Padre non è stato veramente lontano dal figlio quando questi ha detto: “Perché mi hai abbandonato?”. Voi vedete Dio stesso, come uomo, soggetto al senso umano dell’abbandono […]. È  la presenza reale, non la sensazione della presenza, dello Spirito Santo che genera Cristo in noi. Il senso della presenza è un dono in più per il quale ringraziamo quando ci viene dato, e questo è tutto».

La vita fisica

Lewis è un grande intellettuale, una persona di studio, un uomo dello spirito, ma è anche dotato di un grande senso della fisicità come componente imprescindibile dell’essere umano. Con uno sguardo retrospettivo, da anziano, riconoscerà in una lettera all’anziana amica americana:

«Nutro un sentimento amichevole per il vecchio macinino. Attraverso di esso Dio mi ha mostrato la parte completa della Sua Bellezza che è incarnata in colori, suoni, odori e forme. Senza dubbio questo mi ha sviato qualche volta, ma neanche la metà, temo, di quanto la mia anima abbia sviato lui. Perché i mali spirituali che noi condividiamo con il diavolo (orgoglio, ripicca) sono di gran lunga peggiori di quello che condividiamo con le bestie: e la sensualità in realtà nasce più dall’immaginazione che dagli appetiti; che se lasciati unicamente alla loro forza animale e non elaborati dalla nostra immaginazione, sarebbero abbastanza facilmente gestiti».

Il suo modo pieno di vivere la vita trova giustificazione teologica. Scrive nelle Lettere a Malcom:

«Ho tentato di trasformare ogni piacere in canale di adorazione […]. La gratitudine dice, correttamente: “Com’è buono Dio a darmi questo”. L’adorazione esclama: “Quale dev’essere la grandezza di quell’Essere, se questi sono i suoi riflessi più remoti e fugaci!”. E la mente risale dal raggio di sole al sole».

La spiritualità delle piccole cose

Non che Lewis, evidentemente esperto di preghiera contemplativa, riduca la spiritualità a questo suo vertice. Rimane sempre l’importanza delle piccole cose, in questo caso delle piccole preghiere, in una spiritualità realistica che guarda in faccia le difficoltà senza cercare di attenuarle o nasconderle.

«Noi vogliamo sapere non come dovremmo pregare se fossimo perfetti, ma come dovremmo pregare essendo quelli che siamo […]. Non ha senso chiedere a Dio con falsa serietà A, quando in realtà tutta la nostra mente è colma del desiderio di B. Dobbiamo deporre ai Suoi piedi quello che c’è in noi, non quello che dovrebbe esserci».

«Non dovremmo essere troppo superbi. Penso che talvolta a distoglierci dalle piccole preghiere sia il senso della nostra dignità, anziché di quella divina».

«Prima di poter correre, bisogna imparare a camminare. Lo stesso vale nel nostro caso: noi, o almeno io, non saremo capaci di adorare Dio nelle circostanze supreme, se non avremo imparato a farlo nelle più umili».

La preghiera di supplica

La preghiera di supplica può sembrare di basso livello, perché avanza delle richieste, anziché donare. Certamente noi non sappiamo neppure che cosa dobbiamo chiedere, e dopo aver pregato per ottenere dovremmo dire: «Non concedermi tutto questo, se prevedi che in realtà possano rivelarsi per me trappole o motivi di afflizione». Anche Giovenale suggeriva di stare in guardia dai numinibus vota exaudita malignis, le «preghiere esaudite da divinità maligne», cioè alla lettera. «In effetti», riconosce Lewis, «noi pronunciamo moltissime di queste preghiere. Se Dio avesse esaudito tutte le preghiere stupide che ho fatto nella mia vita, dove sarei adesso?».

Ma la preghiera di supplica ha una grande dignità, perché prende a modello la preghiera di Gesù nel Getsemani – una preghiera costata sudore di sangue, e tuttavia non esaudita. «Alla fine, lo so, ci è stato detto che comparve un angelo a “confortarlo”. Ma né comforting dell’inglese del XVI secolo né ένισχύων in greco significano “consolare”. Il termine più appropriato è “fortificare”, e dovette consistere nella conferma – un ben gelido conforto – che occorreva farsi forza per sopportare la prova».

La notte oscura

L’amore di Dio può rivelarsi spietato, come ben sa C.S. Lewis, nel perseguire il bene dell’uomo. «Sono i santi, non la gente comune, a sperimentare “la notte oscura”. Sono gli uomini e gli angeli, non le bestie, a ribellarsi. Le creature inanimate dormono nel grembo del Padre. La “natura ascosa” di Dio opprime forse in un modo più doloroso proprio quelli che in qualche modo sono più vicini a Lui, e quindi Dio stesso, fattosi uomo, dev’essere il più abbandonato da Dio di tutti gli uomini?». «Forse esiste un’angoscia, un’alienazione, una crocifissione implicita nell’atto stesso della creazione. Eppure il Solo che è in grado di giudicare giudica che ne valga ampiamente la pena». Chi si trova nella sofferenza non si trova su un sentiero non ancora battuto, ma sulla strada principale percorsa dal Maestro.

Nel suo rigore spirituale, Lewis evita tutte quelle versioni annacquate del cristianesimo che puntano sulle emozioni, riducendolo ad una religione consolatoria. «Nessuna fede autentica nelle versioni annacquate può durare […]. È nella natura stessa del reale avere angoli taglienti e bordi irregolari, essere resistente, essere se stesso. Gli unici mobili contro i quali non si inciampa mai e non si sbattono mai le ginocchia sono quelli dei sogni».

Il realismo spirituale di Lewis è portato all’estremo nella preghiera: «La preghiera che precede tutte le altre è questa: “Che possa essere il vero io a parlare. Che possa essere il vero Tu quello a cui mi rivolgo”. Infinitamente vari sono i livelli dai quali possiamo pregare, e l’intensità emotiva di per sé non è una prova di profondità spirituale […]. Soltanto Dio può lasciar sprofondare il secchio in fondo al pozzo che è in noi. E viceversa, egli deve agire costantemente da iconoclasta: ogni idea che ci formiamo di Lui, deve infrangerla per misericordia. Il risultato più benedetto della preghiera sarebbe alzarsi in piedi pensando: “Ma questo non lo sapevo. Non avrei mai sognato…”».

Walter Hooper attesta che nell’ultimo periodo della vita Lewis, con espressione di serenità estatica, aveva esclamato più volte: «Questo non lo immaginavo, non lo immaginavo proprio…».

Un testo di approfondimento

Per approfondire la conoscenza di questo grande scrittore cristiano mi permetto di segnalare il mio saggio, «Clive Staples Lewis Maestro dello spirito», edizioni Messaggero, Padova 2013. Una presentazione QUI. Un articolo QUI.

22 novembre 1963

Con tutta la sua notorietà, quando C.S. Lewis morì, quel pomeriggio del 22 novembre 1963, solo pochi intimi se ne accorsero: perché tutto il mondo era pieno della notizia di un’altra morte, l’assassinio del presidente John F. Kennedy. Per Lewis tutto si svolse in sordina: certamente, avrebbe meritato di più.

Le esequie furono semplici, ma qualcuno notò qualcosa di molto significativo: un’immagine, come quelle che erano tanto care a Lewis, l’immagine di una fede che non vacilla. «Era una mattina molto fredda, con il gelo, ma il sole d’inverno che si intravedeva tra i tassi splendeva luminoso. Sulla bara era posta una candela. La fiamma bruciava fissa. Per quanto si fosse all’aria aperta, pareva non vacillare affatto» (Testimonianza di Peter Bayley, citata in H. Carpenter, Gli Inklings, Jaca Book, Milano 1985, pag. 276).

Quel giorno passò sotto silenzio, ma C.S. Lewis è stato tutt’altro che dimenticato; anzi, la sua fama – se possibile – è cresciuta sempre di più.

22 novembre 2013

Westminster, Poets’ Corner. Di Carcharoth (Commons) – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=30017980

A cinquant’anni dalla data della morte, C.S. Lewis ha ricevuto il più grande tributo che sia possibile rendere a uno scrittore britannico: un posto d’onore nel famoso Poets’ Corner dell’Abbazia di Westminster, la «Santa Croce» degli inglesi.

L’Angolo dei Poeti a Westminster custodisce le tombe di illustri scrittori inglesi, da Chaucer (+ 1400) a Dickens (+ 1870) a Kipling (+ 1936), e, in assenza di queste, iscrizioni commemorative: come per Shakespeare (iscrizione apposta nel 1740), John Milton (1737), Lord Byron (1969), Walter Scott (1897), Jane Austen (1967), L. Carroll (1982), Oscar Wilde (1995).

Ebbene, con la collocazione di un’iscrizione a sua memoria, C.S. Lewis ha ricevuto un onore che in vita sua non avrebbe mai immaginato o cercato. Quasi mille le persone presenti, la voce di CS Lewis che risuonava nell’aria dall’unica registrazione sopravvissuta delle sue trasmissioni radiofoniche della BBC, il figliastro Douglas  Gresham che leggeva brani dall’apocalisse di Narnia, «L’Ultima Battaglia», e soprattutto  il momento emozionante in cui Walter Hooper, segretario ed amico di Lewis, ha deposto i fiori sulla lapide. Walter Hooper, che dopo la morte del Maestro si è fatto sacerdote cattolico, ha curato le edizioni degli inediti di C.S. Lewis, comprese migliaia di lettere, e ha dato a milioni di lettori la possibilità di conoscerlo (è morto nel dicembre 2020 in età di 89 anni, vittima del Covid). 

Il bouquet commemorativo era composto da 64 rose bianche (una per ogni anno di vita di Lewis); 7 rametti di bacche di agrifoglio (uno per ogni libro di Narnia); 3 rametti di rosmarino (uno per ciascuno della trilogia interplanetaria); e un’unica rosa rossa (per il grande poema medievale ispiratore di Lewis, «Il romanzo della rosa»).

Le foto QUI.

L’iscrizione riporta solo il nome C.S. Lewis con le date, e una citazione da un suo discorso:

«Credo nel cristianesimo come credo che il sole sia sorto,

non solo perché lo vedo, ma perché da esso vedo tutto il resto».