
È inevitabile che il giovane maestro Gesù di Nazareth, che usa nelle sue parole e nei suoi gesti una autorità mai vista, entri in urto con i benpensanti. Marco ci mostra questo scontro iniziare con cinque controversie già in Galilea, dove Gesù svolge il suo primo ministero. In queste cinque controversie in Galilea, che fanno seguito ad altrettanti gesti di guarigione, Gesù si presenta come colui
- Il quale può rimettere i peccati (facoltà solo divina),
- che chiama ed ammette alla comunione con sé i pubblicani e i pagani,
- che è lo Sposo atteso per le nozze,
- e che agisce anche di sabato
- e del sabato è Signore.
Cinque controversie in Galilea. Marco 2,1-12: La guarigione del paralitico. Gesù rimette i peccati
Di solito chi vuol essere guarito lo chiede esplicitamente; sembra invece che qui Gesù accolga una richiesta che non gli è stata rivolta. Questo uomo non dice nulla, e neppure parlano coloro che lo portano: è il loro gesto ad essere eloquente, a parlare di una fede che, se proprio non smuove le montagne, almeno è capace di smontare un tetto. Non che occorresse l’opera di muratori: le case palestinesi, ad un solo piano, costruite in un ambiente assai poco piovoso, erano sormontate da una terrazza che correva lungo i muri perimetrali e che era coperta al centro da cannicci.
Gesù dichiara con il proprio gesto di salvezza e con le proprie parole che la guarigione fisica, quella richiesta silenziosamente dagli accompagnatori del paralitico, non è che il segno esterno della guarigione di tutto l’uomo. E il soggetto che opera tale guarigione è il Figlio dell’uomo: con questo nome Gesù designa se stesso in quanto mediatore celeste del Regno di Dio fra gli uomini (cfr. Dn 7).
Solo il Figlio dell’uomo, sulla terra, ha il potere di rimettere i peccati: potere divino reso visibile dal potere di guarigione esercitato in prima persona da Gesù. Solo Dio può operare in profondo la rigenerazione dell’uomo, che passa per il perdono dei peccati, e questo perdono e questa rigenerazione vengono a noi nella persona di Gesù. Il passo è molto chiaro.
2,13-17 La vocazione di Levi: Gesù mangia con i peccatori
Non meno prodigiosa infatti è la «guarigione» spirituale del pubblicano chiamato a seguire Gesù mentre siede al banco della gabella. Marco e Luca lo chiamano Levi, mentre Matteo, nella tradizione del suo Vangelo, non teme di chiamarlo con il suo stesso nome, identificandosi umilmente con lui.
Questa vocazione, in realtà, è veramente scandalosa: i pubblicani facevano un mestiere infame riscuotendo le tasse per conto degli oppressori romani e frequentando per questo motivo i pagani (qui chiamati, per antonomasia, peccatori, in quanto non osservanti della Legge), il cui contatto rendeva impuri.
Gesù viene seguito assiduamente da una grande folla, ma personalmente sceglie di entrare e mangiare in una casa impura insieme a una piccola folla di peccatori dichiarati. Gli scribi lo osservano, ma per coglierlo in fallo; il loro atteggiamento è statico, mentre coloro che accettano il contatto con Gesù, dice il narratore, «si alzano» (2,11-15). Per questo egli è venuto: per sanare i malati, per farli rialzare.
San Paolo ha detto di più, con un’espressione durissima e assai azzardata: «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21). Non «lo trattò da peccato», come recitano alcune traduzioni per attutire lo scandalo, ma «lo fece peccato», assumendo egli la nostra carne così pienamente da «divenire peccato», lui che con il peccato non ha niente a che fare, e raggiungere l’uomo nell’abisso della corruzione, pur essendo esente da ogni macchia e da ogni possibilità di peccare anche nella sua natura umana.
2,18-22 La festa del Regno: Gesù è lo Sposo
Altro motivo di scandalo è lo scarso ascetismo non solo di Gesù, ma anche dei suoi discepoli, che non praticano i digiuni volontari come fanno invece i discepoli del Battista e gli stessi farisei. Ma è giunto il tempo delle nozze, ribatte Gesù, e in tempo di nozze non si digiuna.
Nell’Antico Testamento lo sposo di Israele, secondo un’immagine molto frequente dal profeta Osea in poi, è esclusivamente Dio. Qui lo sposo è Gesù, che assume anche questo titolo divino. Tuttavia è uno sposo doloroso, che sarà tolto ai suoi amici. È già questo il preludio alla passione, in una forma velata che non si apre neppure sull’orizzonte della resurrezione: lo Sposo sarà rapito lasciando nel lutto gli invitati alle nozze.
L’immagine festosa delle nozze, così familiare ai contemporanei di Gesù, diviene improvvisamente tanto drammatica quanto paradossale: quando mai lo sposo dovrebbe essere rapito alla gioia dei suoi amici?
Eppure uno strappo deve avvenire, come suggeriscono le immagini del vino nuovo e della stoffa nuova di zecca: nessun compromesso può essere accettato ormai.
Cinque controversie in Galilea. 2,23-3,6: Due controversie sul sabato. Gesù è Signore
L’impossibilità del compromesso viene subito in evidenza: Gesù si scontra con le autorità morali del popolo sulla questione del sabato. Infatti
- I discepoli di sabato colgono le spighe (2,23-28)
- Gesù di sabato guarisce un uomo dalla mano inaridita (3,1-6).
I discepoli colgono le spighe
Il racconto ci pone di fronte ad una interpretazione estremizzata della legge sul riposo del sabato: infatti, Dt 23,25-26 permette di cogliere di sabato uva e spighe per placare la fame (anche se non per vendemmiare e mietere). Anche secondo i rabbini «un uomo deve vivere per la pratica dei precetti divini, e non morire a causa di essi». La salvezza della vita umana è una priorità che può richiedere di trasgredire i precetti formali della legge, tranne quelli centrali: «un uomo può violare tutte le leggi per salvarsi la vita, tranne queste tre: divieto di idolatria, fornicazione e omicidio».
Il comandamento deve liberare l’uomo, e non schiacciarlo. Gesù quindi non fa altro che richiamare e restituire gli astanti allo spirito genuino della Legge, che ha come proprio cuore l’amore di Dio e dell’uomo, in nome del quale si può passare oltre ai precetti rituali, come fece Abiatar quando nutrì Davide e i suoi con i pani riservati ai sacerdoti (1Sam 21).
Per salvare una vita, dunque, anche i dottori della Legge ammettevano che si dovesse violare il riposo del sabato: l’uomo non è posto idolatricamente al servizio del sabato, è il sabato che posto è al servizio dei bisogni più profondi dell’uomo. «Il sabato è stato dato a voi, non voi al sabato», dicevano anche i rabbini.
Guarigione di sabato
Ci si può chiedere quindi perché Gesù dovesse sfidare il pensiero comune risanando un uomo proprio di sabato: infatti, si riteneva che solo una questione di vita o di morte permettesse di agire; non si poteva aspettare, per compiere la guarigione, il giorno dopo?
Gesù respinge la domanda non formulata e la sostituisce esplicitandola con un’altra: «Si può in giorno di sabato fare del bene?». Non deve servire, il sabato, a fare il bene dell’uomo? Anche di sabato il male deve essere sconfitto.
Gesù si guarda intorno con ira: è un dato divino quello di adirarsi, ma attenzione: l’ira di Dio non è il contrario dell’amore ma il contrario dell’indifferenza, Dio si adira perché ama e desidera la conversione del peccatore. La durezza di cuore degli astanti, la sclerocardia (il cuore è biblicamente la sede dell’intelligenza, l’ottica con cui si guarda e si comprende il mondo e si decide l’azione), non consente di accogliere le istanze liberatrici del Vangelo, ma riduce l’uomo ad essere schiavo della legge. Ma ecco la parola straordinaria, la novità cristiana, con la rivelazione di un’autorità ancora una volta inaudita: il Figlio dell’uomo è Signore anche del sabato (2,28). Al centro di questa novità, di questa salvezza, sta la persona di Gesù.