Chiese vuote (per i pessimisti)… o piene per un quinto (per gli ottimisti)

Chiese vuote?
Foto di Bogdan Korneker da Pixabay

Chiese vuote? Beh, non si può negare: diminuisce ulteriormente il numero dei praticanti in Italia. Nel 2022 si è toccato il minimo storico, con solo il 18,8% degli italiani che partecipa settimanalmente ad un rito religioso. Sono invece il 31% coloro che lo scorso anno non hanno mai messo piede in un luogo di culto, se non per eventi sociali particolari, quali matrimoni o funerali (per chi vuole consultare la fonte Istat: QUI).

Anche se… leggo sui titoli allarmistici: Solo 1 italiano su 5 va a messa… e dove le abbiamo mai avute, noi livornesi, 20 persone su 100 che vanno in chiesa?

Praticanti e non praticanti

È innegabile: negli ultimi vent’anni la pratica religiosa degli italiani si è dimezzata, passando dal 36,4% della popolazione che nel 2001 affermava di essere praticante a neppure il 19% del 2022. È invece raddoppiata la percentuale dei «mai praticanti», che passa dal 16% del 2001 al 31% del 2022.

Il crollo più vistoso della pratica religiosa si è avuto dal 2019 al 2020, l’anno del Covid, con la perdita del 4% delle frequenze. Posso pensare – questo lo dico io, non l’Istat – che soprattutto i più anziani abbiano capito che la Messa si può seguire in televisione, e dopo l’emergenza molti non sono tornati in chiesa, preferendo vedersi la Messa dal divano. Infatti, con la fine dichiarata della pandemia la situazione non è tornata ai livelli precedenti; anzi, è ulteriormente peggiorata.

Chiese vuote? I numeri

Una precisazione: i dati Istat non si riferiscono specificatamente alla religione cattolica, ma poiché in Italia la maggior parte degli abitanti si dichiara appartenente al cattolicesimo, le risposte riguardanti la pratica religiosa si riferiscono essenzialmente a questo. A Milano, la cui diocesi ha diffuso i propri dati, i battesimi sono calati dai 37-38 mila degli anni 2000 agli attuali 20mila; i matrimoni religiosi dai 18mila annui degli anni Novanta ai 4000 attuali.

La riduzione più consistente riguarda i giovani (18-24 anni) e gli adolescenti (14-17 anni), che registrano un calo di due terzi anziché “solo” del 50%.

Situazione professionale

Fra quelli che non vanno mai in chiesa dominano senz’altro gli studenti (42,4%) e i giovani in cerca di occupazione (39,5%), seguiti dagli operai (36,9%). La pratica religiosa è maggiore nelle casalinghe (27,7%) e nei pensionati (26,9%).

Chiese vuote? Dati regionali

Neppure il Veneto si innalza ormai più sopra la media nazionale (nel 2001 era ancora al 44,8%!); bisogna scendere al Sud per trovare un 23,2% di frequenza settimanale alla chiesa, particolarmente in Campania (25%; ma nel 2002 era ancora al 44,5%) e Calabria (24,3%), o in Sicilia (24,2%).

La Toscana

Mi meraviglia assai, invece, la Toscana, con quel – per me insospettato – 13,5% di praticanti (26,4% nel 2001), accanto al suo bel 46,8% di persone che non vanno mai in chiesa, che la proclama la regione più irreligiosa d’Italia – di questo, no, non mi meraviglio. Ma dove sono le 13 persone e mezzo su 100 che vanno in chiesa tutte le settimane in Toscana? A Piombino, per esempio, la frequenza negli anni Novanta era del 2%, la percentuale più bassa d’Italia, probabilmente negli anni 2000 risalita verso il 7-8%… perché quando si tocca il fondo si può solo risalire.

Tra credenti non praticanti e praticanti non credenti

Ma non basta. Qual è la fede di questo esiguo numero di praticanti? Certamente non si può misurare la qualità della fede di qualcuno, però si possono rilevare alcuni dati. Se leggo, da un’indagine recente del periodico Il Timone, che ancora il 58,4% degli italiani continua a dichiararsi cattolico, ma il 66,7% delle persone che vanno alla messa la domenica non si confessa mai, neppure una volta l’anno… il 32% dei praticanti non conosce il significato dell’Eucaristia… i due terzi dei fedeli cattolici non sanno che cosa significhi la “resurrezione della carne”, solo un 20% dice di pregare tutti i giorni (il 96% dei praticanti asserisce di farlo almeno ogni tanto)… e così via … allora mi chiedo anche che cosa significhi essere praticanti e andare a messa la domenica, quando in molti casi si ignora persino il significato di ciò che si fa.

Le cause…

Dove possiamo individuare alcune cause di questa disaffezione verso la pratica religiosa, e della confusione di idee che la accompagna? Indubbiamente l’allontanamento è facilitato dal tipo di civiltà in cui viviamo, improntata al consumismo, ad un Carpe diem che dà poco spazio alla riflessione critica. La società non spinge più verso la religione, anzi, dissuade. Un’aggravante però è la mancanza di formazione dei battezzati: quel che si offre oltre alla pura tradizione è di solito un catechismo che è più che altro socializzazione religiosa e non fonda le ragioni della fede, e poi un vuoto di occasioni per gli adulti che si limitano più che altro a flash scattati qua e là senza connessione fra loro… pastori che continuano a fare appello alla fede quando i “fedeli” non sanno neppure in che cosa credono…

Per invertire la tendenza, bisognerebbe prima di tutto avere cristiani credibili che non diano controtestimonianze, e poi investire su opportunità formative serie, soprattutto in materia biblica. Il crollo della spinta sociale verso la pratica religiosa dovrebbe essere un’occasione per mettere a nudo il problema e riflettere sulle cause del distacco e sulle nuove necessità e opportunità che si aprono. Perché, come diceva qualcuno, dove c’è un problema c’è anche la soluzione.