La sostanza del racconto è chiara: Giuseppe viene venduto in Egitto come schiavo (siamo ancora nel cap. 37 di Genesi). Ma chi ha venduto Giuseppe a chi? Perché se ci si sofferma sui particolari balza agli occhi come il racconto risulti incoerente.
Ben due fratelli si fanno un loro progetto di salvataggio per Giuseppe, l’uno all’insaputa dell’altro, ma dopo che su proposta di Ruben Giuseppe è stato gettato in una cisterna, e dopo il suggerimento di Giuda di venderlo ai mercanti ismaeliti, il ragazzo viene invece preso dai madianiti che lo vendono loro agli ismaeliti.
Ma non basta: secondo il versetto conclusivo, sono invece i madianiti a portare Giuseppe in Egitto ed a venderlo a Potifar, salvo essere smentito da 39,1 in cui sono stati gli ismaeliti a fare la stessa cosa. Non c’è che dire, un deserto abbastanza trafficato…
E il povero Giuseppe chi l’ha venduto in Egitto? Tanto più che egli stesso, quando si farà riconoscere dai fratelli nelle vesti del viceré di Egitto, dirà loro: «Io sono Giuseppe, il vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto». Ma insomma, chi ha venduto Giuseppe a chi? C’è da perderci la testa.
Tradizioni diverse
Una soluzione all’enigma, favorita da molti critici moderni, è che la confusione sia il risultato del fatto che il capitolo 37 è un testo composito: secondo una tradizione, prima che Ruben possa estrarre Giuseppe dalla cisterna e metterlo in salvo, i commercianti madianiti lo trovano e lo portano via. Secondo un’altra tradizione, Giuda suggerisce che Giuseppe venga venduto agli Ismaeliti, e questo è ciò che i fratelli fanno. Due fratelli, due diverse carovane di mercanti.
Nel combinare insieme queste due storie, il redattore ha mantenuto la formulazione originale di ciascuna fonte, producendo così l’ambiguità. Il v. 28 («Passarono alcuni mercanti madianiti; essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d’argento vendettero Giuseppe agli Ismaeliti») sarebbe un collage da due fonti diverse che raccontano due storie diverse e inconciliabili: una termina con i Madianiti che portano Giuseppe in Egitto (37,36), l’altra con gli Ismaeliti che fanno la medesima cosa (39,1).
Interpretazioni rabbiniche
Secondo R. Menachem ben Shlomo (Sekhel Tov, 1139), i fratelli vendettero Giuseppe ai Madianiti mentre era ancora nella cisterna, dopodiché i Madianiti tirarono fuori Giuseppe dalla fossa e lo vendettero agli Ismaeliti:
«E il versetto si riferisce ai Madianiti stessi quando dice “e tirarono fuori Giuseppe dalla fossa”. Ma una volta che lo tirarono fuori, si pentirono dell’acquisto. Poi, quando arrivarono gli Ismaeliti, i Madianiti lo vendettero, di fronte ai suoi fratelli, agli Ismaeliti per venti pezzi d’argento, quello che loro stessi avevano pagato per lui…».
Il testo però non dice che i fratelli vendettero Giuseppe ai Madianiti.
Un’altra soluzione fu proposta dal nipote di Rashi, Rashbam (R. Samuel ben Meir, c. 1080-c. 1065), il quale suggerisce che mentre i fratelli stavano pranzando, i Madianiti trovarono Giuseppe e lo vendettero da soli: mentre i fratelli mangiavano in disparte, aspettando l’arrivo degli Ismaeliti, passarono dei madianiti che trassero Giuseppe dalla cisterna e lo vendettero loro agli ismaeliti. Quanto alla frase (Gen 45.4), “[Io sono … colui] che avete venduto all’Egitto”, deve essere intesa nel senso che le loro azioni portarono indirettamente alla sua vendita.
Un’interpretazione moderna
L’interpretazione di Rashbam fu adottata dal rabbino Hizqiah ben Manoah (c. 1250 – c. 1310), poi rimase sconosciuta per secoli. Fu rimessa in luce da Samuel David Luzzatto (1800–1865), sulla base delle intuizioni del rabbino Shmuel Chaim b. David Loli (1788–1848).
Quando Giuseppe incontra i suoi fratelli, tuttavia, dice che sono stati loro a venderlo: «Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché fosse condotto in Egitto» (Gn 45,4).
Giuseppe può riportare la narrazione in estrema sintesi; inoltre, un parlante può anche descrivere l’evento in modo impreciso.
In ogni caso, Giuseppe può benissimo affermare che la causa di tutto sono le azioni dei fratelli, cioè che la responsabilità della sua riduzione in schiavitù ricadeva su di loro.
Perché i fratelli non si difendono da tale accusa?
Luzzatto scrive:
«I fratelli di Giuseppe non gli dissero mai che non lo avevano venduto, perché il loro piano era anche peggiore di quello. Avevano intenzione di lasciarlo morire nella fossa. Come potevano dirgli: “Non pensare che ti abbiamo venduto. In realtà, il nostro piano era che tu morissi nella fossa. In seguito, abbiamo accettato il suggerimento di Giuda di venderti, ma i Madianiti sono arrivati prima e ti hanno venduto loro stessi!”».
Venduto dai fratelli?
Date tutte queste complessità, perché la maggior parte delle persone crede semplicemente che siano stati i fratelli di Giuseppe a venderlo? Le semplificazioni sono all’ordine del giorno per quello che la gente è disposta a credere. Ma in questo caso, nel mondo ebraico, la persistenza della credenza che i fratelli di Giuseppe lo abbiano venduto si basa, in parte, sul fatto che questa interpretazione è stata praticamente canonizzata attraverso il poema martirologico Elleh Ezkerah recitato dagli ebrei ashkenaziti come parte della preghiera di Yom Kippur e dagli ebrei sefarditi durante il digiuno di Tisha Be’av.
In questa poesia, basata sui midrashim altomedievali, il tiranno romano decide di punire dieci grandi rabbini per compensare il grave peccato dei dieci fratelli di Giuseppe:
«Egli [il tiranno] disse: Che dire dei vostri antenati che vendettero il loro fratello e lo vendettero a una carovana di Ismaeliti?».
Poi, nelle generazioni successive, alcuni esegeti tradizionali hanno rivisto il testo e hanno proposto una lettura che mostra una maggiore sensibilità per l’obiettività di ciò che dicono i versetti.