Animali immaginari… Ma chi è il drago?

Stemma di Terni

Quanti draghi… ma chi è il drago? Dà da pensare l’elemento costante che il drago, almeno in Europa, sia legato ad ambienti acquatici, malsani.

Ad esempio, Thyrus o Tiro di Terni è una viverna che dai terreni paludosi affliggeva il comune umbro finché un giorno nel XII secolo un cavaliere la affrontò e la uccise. Il comune da quel giorno pose la bestia nel proprio stemma con la scritta: «Thyrus et amnis dederunt signa Teramnis» (il Tiro e il fiume diedero le insegne a Terni). Un altro drago minacciava i luoghi intorno al paese di Fornole in Umbria. S. Silvestro, il papa, liberò la popolazione dal drago, rendendolo docile. Leggende simili sono molto diffuse soprattutto nelle zone in cui i corsi d’acqua ristagnavano formando delle zone paludose, con la conseguente diffusione della malaria o comunque di un clima malsano. Veniva facile attribuire il malanno ad un drago che abitasse la palude, mentre il gesto della sua sottomissione corrisponde alla bonifica degli acquitrini.

Il drago Tarantasio

La figura del drago è collegata infatti ai quattro elementi, all’aria (se è alato), alla terra (se abita in caverne sotterranee), al fuoco (se lo sputa), ma soprattutto all’acqua, un mondo inquietante e incontrollato con le sue profondità oscure. La stessa cosa si verifica con Tarantasio, un mostro che dal melmoso lago Gerundo nella zona di Lodi terrorizzava gli abitanti. Si riteneva che divorasse i bambini e che il suo alito mortifero ammorbasse l’aria e causasse una malattia chiamata febbre gialla. Sarebbe stato sconfitto da San Cristoforo, se non, addirittura, da San Colombano, vincitore anche del drago del torrente Leno affluente dell’Adige.

Drago Tarantasio del lago Gerundo. Di Ulisse Aldrovandi – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=106385697
Marchio Eni, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=605593

Una curiosità: il drago del lago Gerundo ispirò lo scultore Luigi Broggini nell’ideare il cane a sei zampe, simbolo dell’Eni, dato che proprio nella zona di detto lago nel 1944 furono trovati grandi giacimenti di metano, che spiegano anche il particolare dell’alito mefitico.

I nostri draghi

Venendo alla Toscana, troviamo la marròca (specie di serpente d’acqua) che vive nelle zone umide della campagna della Val di Chiana, e il regolo in cui si trasforma una vipera che abbia superato i 100 anni e che è un grosso rettile con squame luminose come di metallo e due piccole ali. La Toscana è piena di draghi, come è piena di santi, e spesso le due figure vanno insieme: San Donato ad Arezzo, San Giorgio a Montorgiali, San Guglielmo di Malavalle a Castiglione della Pescaia, prima ancora San Mamiliano a Montecristo; a Seggiano, è un’apparizione mariana a sgridare un temibile drago e rimandarlo nella fessura da cui era uscito.

Terra di draghi, poi, la Maremma.

IL DRAGO DEGLI APPIANI

Populonia, il drago degli Appiani

Il drago, ancorché immaginario, è l’animale che insieme al leone e all’aquila più compare nell’araldica. Negli stemmi rivela la sua natura polimorfa: ha qualcosa del rettile (corpo e coda), del rapace o del leone (zampe e unghie), del pipistrello (le ali) … Può essere bipede o quadrupede, alato o attero, monocefalo o bicipite. È di solito rampante, col corpo rivestito di scaglie, bocca ruggente, lingua dardeggiante, coda aguzza terminante a dardo. Nonostante che il drago nei bestiari medievali sia sempre una figura negativa, nei blasoni rappresenta invece fedeltà, vigilanza e valore militare, le virtù patrizie.

Appare già come emblema di una coorte romana di stanza in Britannia nel tardo impero, formata dai cavalieri sarmati che si unirono alla Legio VI Victrix in cui serviva come ufficiale quel Lucio Artorio Casto che forse rappresenta la base della leggenda di re Artù, detto Pendragon.

Il drago diviene il simbolo del Galles, poi si diffonde nel nord Europa. Ricordiamo però che la tradizione di un drago sconfitto da un cavaliere si ricorda a Montorgiali, e che una spada nella roccia esiste davvero, a San Galgano. Ma per chi abita a Piombino non occorre andare tanto lontano per trovare il nostro drago: infatti, il drago è l’emblema degli Appiani, prima signori, poi principi del piccolo stato – piccolo, ma strategicamente importante.

L’antica porta a terra della città, detta anche di Sant’Antonio, si apre nel Torrione, il monumento più antico tra quelli rimasti in Piombino, edificato nel 1212. Nel 1447 vi fu costruito per volere di Rinaldo Orsini, marito di Caterina Appiani, il massiccio rinforzo semicircolare detto Rivellino. Nella facciata rivolta verso il Corso compare il drago alato degli Appiani.

Il primo stemma degli Appiani

L’asino, primo stemma degli Appiani

La cosa curiosa è che non è questo il primo stemma degli Appiani, benché sia l’unico popolarmente noto: il primo fu l’asino, sfrontatamente assunto ad emblema dopo che il capostipite Iacopo, per giustificare una sommossa che aveva portato alla morte di Piero Gambacorti, come scrive lo storico Mauro Carrara,

«mise in giro la voce che il Signore, in un diverbio, dopo averlo schiaffeggiato gli avrebbe dato dell’asino, insulto ripetuto poi anche dai suoi sostenitori. Per questo mise sul suo stemma (a mandorle bianche e rosse) un somarello con l’arrogante motto Asino sono e con il mio sapere gli altri stan ritti ed io sto a sedere. L’unico esemplare di questo stemma si trova nel fianco della cassa del monumento funebre sito nella controfacciata della concattedrale di S. Antimo martire a Piombino. Stile gotico in marmo, l’opera è stata giudicata del terzo decennio del Quattrocento» (M. Carrara, Araldica piombinese, 2016, p. 7, dal quale libro è stata desunta anche la foto).

Il drago degli Appiani sulle monete di Iacopo VII

Forse è con Iacopo III, nel 1465, che l’asinello viene sostituito dal drago, avendo egli ottenuto da Ferdinando re di Napoli di unire lo stemma aragonese al proprio. Uno stemma col drago, oltre che in città, è affisso alle mura del castello di Populonia, sopra la porta di accesso al paese. L’immagine del drago si trova anche sulle monete battute da Iacopo VII nel 1596.

IL LAGO DELL’ACCESA

Presso Massa Marittima, il lago dell’Accesa, piccolo e misterioso, stimola, evidentemente, la fantasia. Le leggende sulla sua nascita sono fosche: il lago si formò per lo sprofondamento del terreno causato dall’arroganza del proprietario di un campo che aveva osato far lavorare la terra nel giorno sacro a S. Anna nell’anno del Signore 1218, e si dice che il lago sia senza fondo e collegato all’inferno; da molti secoli vi si percepiscono rintocchi di campane, grida degli abitanti del villaggio, strani bagliori. Negli anni Novanta del Novecento, persino, vi si è avvistato un mostro lacustre, corpo squamoso, collo lungo e occhi gialli che brillano nel buio come tizzoni, un drago o piuttosto un coccodrillo.

Eh sì! Il lago dell’Accesa è niente meno che un Loch Ness nostrano. Nell’estate del 2000, un turista affermò di aver visto una coppia di giovani che gettavano un coccodrillo nel lago. Nonostante l’allarme e le spedizioni effettuate, nulla è stato trovato. «Birillo il coccodrillo», questo è il nome che fu dato all’animale, non si è più fatto notare da oltre vent’anni: sarà stata una leggenda metropolitana come quella degli alligatori nelle fogne di New York. Sulle sponde del lago, comunque, è presente il serpente Cervone, di cui parleremo. E non dimentichiamo che nei suoi pressi esercita il Mago dell’Accesa che continua a richiamare folle desiderose di sapere il futuro o di farsi togliere il malocchio…

Non ostante tutta questa tetraggine da cui è avvolto, il lago dell’Accesa ha continuato ad essere premiato con la bandiera blu di Legambiente e Tci, fra i laghi più belli e puliti d’Italia nella cui classifica occupa ben il sesto posto.

DRAGHI E SANTI: UNA STRANA COINCIDENZA

Serpente regolo. Da https://monstermovieitalia.com/2020/01/16/bestiario-italia-leggende-toscana/

Una curiosità particolare è rappresentata da due leggende toscane che danno ai serpenti – draghi due nomi che li avvicinano ai nostri santi: il Regolo e il serpente Cervone o Cerbone (!). Due santi approdati sulla spiaggia di Baratti non sono, appunto, San Regolo e San Cerbone?

Il serpente Cervone è il più grande fra i serpenti maremmani, anzi è il più grande dei serpenti italiani ed uno dei massimi in Europa: è, semplicemente, il serpente frustone, e pur essendo innocuo per l’uomo può quasi raggiungere i due metri di lunghezza. Sul suo conto circolano leggende le quali vogliono che il cervone, da vecchio, metta un corno sul muso e delle piume sulla sommità dal capo, trasformazione simile a quella che subirebbe la vipera diventando «regolo». Il «Regolo» è animale immaginario che, insieme al Cervone, potrebbe essere una sorta di «doppio» negativo del santo che porta lo stesso nome, un contraltare malefico della santità del luogo, che ammonisce a stare sempre in guardia dalle insidie nascoste.

E il drago di San Guglielmo, rappresentato in un quadro del Nasini a Massa Marittima?

SAN GUGLIELMO DI MALAVALLE

San Guglielmo di Malavalle e il drago (particolare). Tela di Antonio Nasini. Massa Marittima, chiesa di S. Agostino. Foto di Franco Ceccherini

I dati storici sulla vita di San Guglielmo sono, in verità, alquanto confusi, tanto che è talvolta difficile identificare, fra tanti, il Guglielmo di cui si parla (si contano 16 santi e 32 beati di questo nome).

In relazione al nostro santo di Malavalle si può trattare di Guglielmo X duca di Aquitania, di un più generico Guglielmo di Aquitania, o anche di un Guglielmo di Gellone (VIII secolo). Gli storici, basandosi sulla biografia redatta dal discepolo Alberto, lo dicono discendere da una stirpe nobile dell’Aquitania. Dopo aver condotto una vita peccaminosa, il cavaliere venne addirittura scomunicato dal papa. Si afferma che Guglielmo si sia convertito ad opera di Bernardo di Chiaravalle. Dopo aver compiuto i grandi pellegrinaggi medioevali (a Santiago di Compostella, Roma, Gerusalemme), si stabilì infine in Toscana dove si fece anacoreta, prima sul Monte Pisano, poi nel Lucchese, in Garfagnana, e finalmente a Castiglione della Pescaia.

I guglielmiti

Pochi sono i fatti tramandati dal biografo Alberto sul periodo tra lo sbarco a Pisa di ritorno dal pellegrinaggio in Terra Santa e l’arrivo a Malavalle. Guglielmo aveva cercato l’ideale di vita a cui aspirava presso alcune comunità, ma dopo qualche tempo si allontanò dalla vita comunitaria trascorrendo gli ultimi anni da eremita in preghiera, silenzio, digiuno e penitenza. Non istituito da lui, ma per opera dei discepoli nacque dopo la sua morte un vero e proprio ordine, detto dei guglielmiti, un ordine eremitico che nel XIII secolo insieme a tutte le realtà eremitiche venne fuso da Roma nell’Ordo eremitarum Sancti Augustini ma che non si sentì mai parte degli agostiniani: atteggiamento non ricambiato, perché gli agostiniani invece assunsero S. Guglielmo come loro protettore – infatti il quadro da cui siamo partiti era situato proprio nella chiesa di Sant’Agostino a Massa.

CAVALIERE DI CRISTO

La tradizione agiografica di San Guglielmo si sovrappone con quella di San Giorgio: tipica è infatti non solo la lotta con il drago, ma anche la presenza, sotto il saio da eremita, di una maglia di ferro. Difatti secondo la leggenda san Guglielmo, divenuto cavaliere di Cristo, avrebbe ucciso un drago che infestava le campagne di Castiglione della Pescaia. Guglielmo viene perciò rappresentato con l’abito grigio caratteristico dell’ordine fino al 1256, o con la veste nera adottata dopo l’unificazione con gli eremiti agostiniani, sotto la quale si intravede la maglia di ferro da cavaliere, sia in ricordo del suo passato sia perché fu poi portata dal santo come cilicio. Molte sue immagini riportano il drago e il bastone da pellegrino.

E il drago?

Molti miracoli il santo compì in terra di Maremma, e molti malati guarì, tanto che un’erba medicinale, l’agrimonia, qui è detta «pianta di San Gugliemo»; ma un episodio spicca fra gli altri: la lotta col drago di Malavalle, un mostro che occupava la grotta vicina ad una sorgente che dissetava tutte le popolazioni del territorio. Per consentire l’accesso alla fonte, la bestia pretendeva in cambio le più belle fanciulle dei paesi vicini. I poveri abitanti del luogo si rivolsero a San Guglielmo, il quale si diresse ad affrontare il drago passando indenne tra le fiamme del suo respiro infuocato e sconfiggendolo per sempre. Anche in questa leggenda il drago è legato al tema dell’acqua, rispetto alla quale originariamente raffigura l’inquinamento e la stagnazione, e viene domato dal cavaliere di Cristo, che mediante la sola fede sgomina le forze del male (il paganesimo, poi la superstizione, i culti magici o l’eresia).

MONTECRISTO: IL PAGANESIMO SCONFITTO

San Mamiliano di Montecristo, Protettore dei naviganti dell’Arcipelago Toscano. Marina di Campo, chiesa di San Mamiliano, quadro di fine Ottocento, autore ignoto 

Del drago di Montecristo, sconfitto o ammansito da San Mamiliano, riparleremo. Anche in questo caso, contestualizzato in un’isola che originariamente si chiama Montegiove e che sarà ribattezzata, non per niente, Montecristo, il drago dell’agiografia cristiana simboleggia il paganesimo, che viene sconfitto in nome della Croce.

Si ha la chiara impressione che inizialmente, in ambito pagano, il drago simboleggi una natura malsana che deve essere domata per consentire il trionfo della vita e della civiltà, e che in un secondo tempo avvenga un passaggio ad un altro livello, dall’aria mortifera della natura all’aria mortifera del paganesimo sgominato e sostituito dalla fede in Cristo e, più tardivamente, del veleno dell’eresia epurato dal santo. Utilizziamo qui una semplificazione, perché esistono anche più complesse interpretazioni che vedono nel drago il simbolo del mal governo di una classe dominatrice, della quale il santo rifiuta le lusinghe per scegliere la libertà della povertà.

C’è un futuro per i draghi?

Per concludere, la presenza dei draghi nell’agiografia, nell’epica, nella letteratura fantasy ma anche nelle tradizioni popolari è, oltre che affascinante, particolarmente insistente. Tanto insistente che ho avuto occasione di leggere un articolo di «Focus» intitolato «I draghi esistevano davvero. E stanno tornando», il cui autore presentava la sensazionale scoperta di tre studiosi, sulla base di manoscritti ritrovati presso la Oxford’s Bodleyan Library, che i draghi sono realmente esistiti nel Medioevo e non si sono estinti ma ibernati per ragioni climatiche, per cui potrebbero risvegliarsi nella nostra era a causa del riscaldamento globale. Scoperta strepitosa e assai intrigante… peccato che l’articolo portasse la data del primo di aprile!