Lettura continua della Bibbia. Che cosa è un «Vangelo»?

San Marco nei mosaici di Ravenna. Di Paolo Monti – Disponibile nella biblioteca digitale BEIC e caricato in collaborazione con Fondazione BEIC. L’immagine proviene dal Fondo Paolo Monti, di proprietà BEIC e collocato presso il Civico Archivio Fotografico di Milano. CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=48075062

Il Vangelo secondo Marco, essendo il più antico tra i quattro Vangeli canonici e quello la cui tradizione (conosciuta anche da Giovanni) è servita di base anche a Matteo e Luca, dovrebbe essere letto per primo quando ci si accosta al Nuovo Testamento. Ma sbaglieremmo se pensassimo che si tratta di un vangelo «semplice»: in realtà è assai complesso, come avremo modo di vedere.

Nessun vangelo canonico è semplicistico, né è un raccontino buttato lì come memoria spontanea di fatti cui qualcuno ha assistito. Tutti e quattro i Vangeli, anche quello di Marco, nascono da un complesso di tradizioni orali che vengono utilizzate dal redattore secondo la particolare sensibilità e ottica cristologica della comunità. Ecco perché, prima di avvicinarci alla lettura, è necessario fare delle premesse. Occorre conoscerne il genere letterario e il contesto storico.

Affrontare una lettura non superficiale né intimistica del Vangelo secondo Marco significa infatti:

  • Comprendere preliminarmente il genere letterario cui fa capo un Vangelo.
  • Corredarsi di strumenti per la conoscenza del contesto storico, sociale, culturale e religioso del tempo in cui si svolge l’azione narrata e del tempo in cui il Vangelo prende forma scritta.
  • Fornirsi di mezzi adeguati per una corretta interpretazione del testo. Si ricorda che ogni testo biblico ha una ricchezza molteplice che può essere colta anche in modo personale, ma che non si può mai dare una interpretazione soggettivistica che vada contro il significato obiettivo delle parole e frasi.
  • Fare un percorso sistematico di lettura, possibilmente comunitario, in modo da acquisirne una conoscenza il più possibile completa.

Perciò, prima di tutto: che cosa è un «Vangelo»?

Un video introduttivo alla questione QUI.

Che cosa è un «Vangelo»?

Innanzi tutto, allora, che cosa è un «Vangelo», e – successivamente – perché ve ne sono quattro?

La parola «Vangelo», per molto tempo, non designa un libro. I quattro scritti che noi chiamiamo Vangeli non portavano originariamente titolo alcuno. L’inizio del Vangelo di Marco, «Principio del vangelo di Gesù Cristo», indica non lo scritto ma l’annuncio a viva voce della salvezza. In questa fase, il termine euanghélion non avrebbe mai potuto evocare l’immagine di un libro, ma solo di una buona Novella data a voce: perché è questo il Vangelo.

Un «vangelo» nel mondo classico

Euánghelos indica inizialmente il messaggero di una buona notizia; il termine euanghélion solo nel II secolo dell’era cristiana viene ad indicare un’opera scritta. Per i classici, da Omero a Plutarco, era il premio dovuto a chi recava una buona notizia, poi, solo in autori del II secolo d.C. come Appiano e Luciano, la lieta notizia stessa, spesso l’annuncio di una vittoria. Il senso è solamente profano.

Sembra che il primo testo in cui compare la parola euanghélion nel senso di buona notizia sia il romanzo Calliroe di Caritone di Afrodisia (fine I secolo / inizio II). Però un carattere religioso appare nel culto degli dèi salvatori (Esculapio, Serapide, Giove) e dei Cesari. La famosa Iscrizione di Priene (Asia Minore) del 9 d.C. celebra il giorno di nascita di Augusto, il 23 settembre, che era divenuto nelle città ellenistiche dell’Asia Minore il giorno di inizio dell’anno civile, come «l’inizio degli evangeli per mezzo di lui».

Nell’ebraismo

Anche in Filone di Alessandria, ebreo ellenizzato del I secolo, la parola ha lo stesso senso che nel greco classico. Nella traduzione greca detta dei LXX si trova al plurale come nei classici (euanghélia), ma anche al singolare, a tradurre l’ebraico besorah (בשרה) = premio a colui che reca una buona notizia (2Sam 4,10) e più spesso la buona notizia stessa (2Sam 18,20.22.25; 2Re 7,9). Il verbo evangelizzare, in questo tipo di greco, traduce l’ebraico bissar = annunciare una lieta novella, passando dal senso profano (1Re 1,42; Ger 20,15) al sacro (1Sam 31,9; Sal 40,68; 96,2; Nah 2,1), in particolare annunziare la lieta novella della salvezza escatologica.

Nel Nuovo Testamento

Nel Nuovo Testamento il sostantivo compare 76 volte, di cui ben 60 contenute nella letteratura paolina; 54 volte ricorre il verbo euanghelízo. Si tratta dell’annuncio della Buona Novella da parte di Gesù, poi dei suoi discepoli. In realtà l’oggetto primo della predicazione di Gesù fu il Regno di Dio (Mt 4,23; Mc 1,14 s.; Lc 4,43), mentre l’evangelizzazione degli apostoli ebbe per oggetto la persona e l’opera di Cristo (cfr. At 5,42: «non cessavano di insegnare e di evangelizzare il Cristo Gesù»). In questo modo l’evangelium Christi passa ad indicare la lieta novella che è il Cristo, la salvezza operata da Cristo, la forza che è in esso (Rm 1,16). E questo è fondamentale perché è questo che anche i Vangeli scritti intendono offrire ad una lettura credente, benché naturalmente i Vangeli possano essere letti da tutti, come testi della letteratura antica.

Nella Chiesa del II secolo

Per tutto il periodo della formazione del Nuovo Testamento, e dei Vangeli stessi, la parola Vangelo si riferisce non a uno scritto, ma ad una notizia annunciata a viva voce, Quando i nostri scritti hanno ricevuto il titolo di Vangeli?

La prima testimonianza inequivocabile è data da Giustino (Apol. 66,3; Dial. 10,2; 100,1), che afferma che le memorie degli apostoli sono chiamate euanghélia. Questo uso appare poi sempre più frequentemente e con sempre maggior sicurezza nei manoscritti (Papiro Bodmer II, ecc.). Gli altri scritti apostolici non vengono mai chiamati «Vangeli», ma Lettere, Atti (Práxeis) e Apocalisse. Il nome di Vangeli, poi, rimarrà per sempre ai quattro scritti che hanno per oggetto la Buona Notizia che è Gesù.