Riprendendo alcune riflessioni che feci lo scorso anno (QUI), voglio tornare a riflettere su alcuni aspetti della Veglia pasquale, la Madre di tutte le veglie e di tutte le liturgie cristiane. In particolare, mi soffermo sui riti iniziali: l’accensione del Cero pasquale, simbolo di Cristo Risorto, ed il canto dell’Exsultet.
La vittoria della Luce sulle tenebre
La notte non è più notte. Le tenebre non hanno speranza di fronte alla luce di Cristo Risorto. Però esistono, e vanno accolte con la fiducia che la luce verrà. Se non vi fosse la notte, non potremmo apprezzare la luce del giorno. Con espressione molto azzardata, la colpa di Adamo viene chiamata Felix culpa, colpa felice, perché ci ha procurato un così grande Redentore.
Spesso ci troviamo avvolti dalle tenebre, anzi talvolta ce ne lasciamo anche crogiolare per scelta. Egli ci lascia liberi, liberi di sbagliare, e di trascinare purtroppo anche gli altri nelle conseguenze della colpa. Tuttavia, non vi è peccato che resista davanti alla inarrestabile misericordia di Dio che si esprime nella luce della Pasqua. C’è solo una cosa da cui può essere respinta: la nostra libera volontà.
Il Cero e la Madre Ape
Il cero, simbolo del Cristo Risorto, è frutto di un lavoro, di una fatica, della madre ape. È una fatica nascosta, una maternità travagliata, e sicuramente una fatica condivisa, quella che permette alla luce di Cristo di risplendere per noi. È una luce che, spartita fra molti, non diminuisce mai, ma anzi aumenta il suo fulgore: così come, attingendo alla luce di Cristo, e poi ognuno alla luce dell’altro nella chiesa immersa nel buio, divampa una luce sfavillante. Questa luce è fatta anche del nostro impegno, palese o nascosto che sia.
Il cero, frutto del lavoro delle api, è anche un segno che unisce l’uomo alla natura. Nella redenzione dell’uomo, anche la natura è redenta. L’ape, nel suo indefesso, umile ed utile lavoro per la comunità, è un esempio – anche per l’uomo – di come tutte le creature contribuiscano al bene di questa nostra Casa comune.
Come scrive papa Francesco nella «Laudato si’», niente di questo mondo ci risulta indifferente; di fronte a Dio, tutti gli esseri viventi non umani «con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria»; «noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge ad un rispetto sacro, amorevole e umile»; «la persona umana tanto più cresce, matura e si santifica quanto più entra in relazione, quando esce da se stessa per vivere in comunione con Dio, con gli altri e con tutte le creature».