Sapevate che il Capodanno toscano non cadeva il 1° gennaio, ma il 25 marzo? La data di oggi, 25 marzo, è importante nella vita della Chiesa ma lo è – o almeno lo era – nella vita civile: infatti, secoli fa, l’anno civile in molti luoghi d’Europa iniziava proprio con la festa dell’Annunciazione, cioè l’anno si numerava ab Incarnatione. È una festa antica, non quanto la Pasqua ma quanto il Natale: ricorre, infatti, proprio nove mesi prima di questo.
Il video della conferenza tenuta nel 2021 sul Capodanno toscano: QUI.
Uno sguardo ai calendari e il Capodanno Toscano
L’anno romano
L’anno romano precristiano, quello del calendario di Numa Pompilio che datava gli eventi ab Urbe condita (753 a.C.), iniziava il primo marzo, cioè con il ritorno della buona stagione (stile repubblicano).
Poi Cesare nel 46 a.C. aggiunse i mesi di gennaio e febbraio e fece iniziare l’anno il 1° gennaio (stile imperiale).
Gli anni cristiani
Con l’avvento del cristianesimo, al termine dell’impero romano, si formularono varie datazioni che durarono fino al Settecento.
Lo stile veneto adottò il 1° marzo come data di inizio anno, fino al 1797.
Per il resto abbiamo tre stili fondamentali:
- Della Natività: 25 dicembre. Lo adottarono Roma e molte altre città, e stati europei come l’Austria.
- Della Pasqua, quindi con data di inizio variabile: fu lo stile francese fino al 1567.
- Bizantino, con inizio il 1° settembre – seguito anche da Russia, Sardegna e Italia del sud, cioè gli stati maggiormente legati alla cultura greca.
- Così veniamo a noi: lo stile dell’Incarnazione e il Capodanno toscano.
Stile dell’Incarnazione. Capodanno toscano: 25 marzo
A sua volta, lo stile dell’Incarnazione (data di inizio – Capodanno toscano – 25 marzo) adottato in Toscana si divideva in due stili diversi:
- Anticipato, quello tipico di Pisa e dei territori sotto la sua influenza (zona costiera); l’anno iniziava il 25 marzo, ma anticipando la numerazione di 9 mesi (ad esempio, il 17 settembre 1264 di Pisa corrispondeva al 17 settembre 1263);
- Posticipato, quello di Firenze e del resto della Toscana, seguito anche altrove come in Inghilterra.
Il Capodanno toscano era comunque fissato al 25 marzo, anche se, a Pisa e a Firenze, in anni diversi!
Il calendario toscano continuò ad essere in vigore anche dopo il 1582, cioè quando venne attuata la riforma gregoriana che fissava il Capodanno al 1° gennaio. Il Capodanno toscano fu abolito nel 1749 dal granduca Francesco III di Lorena, che fissò la data d’inizio anno al 1° gennaio (stile moderno o della Circoncisione).
Per il resto, i popoli non cristiani hanno mantenuto i loro calendari:
- Ebraico, dalla creazione (3760 a.C.)
- Islamico, dall’Ègira dalla Mecca (622)
- Buddista, dalla morte di Budda (486 a.C.)
- Cinese e giapponese, dall’ascesa al trono di ogni imperatore; in Cina fino al 1911; in Giappone fino al XIX secolo.
A parte gli stati extra europei, una notevole confusione regnava in Europa…
C’è, comunque, una costante: si parte da eventi storici. Cerchiamo dunque il perché di questa importanza della storia nei calendari cristiani, a partire proprio dal Capodanno toscano: lo stile dell’Incarnazione.
L’Annunciazione di Andrea della Robbia: l’attesa del Sì
Partiamo da una bella immagine che rappresenta l’evento a cui ci rifacciamo e a cui si richiama il Capodanno toscano, il capolavoro di Andrea della Robbia, datato 1474, alla Verna. Lo vedete in questa immagine.
Caratteristica dell’arte di Andrea è la sobrietà delle linee, la purezza delle figure, che sono state chiamate sculture di luce: benché il materiale di cui sono fatte sia assai povero, terra, acqua e un po’ di colore, l’effetto è quello di un raggio di luce bianca catturato, scolpèito e fissato sul tipico blu robbiano.
Bene, nella scena dell’Annunciazione troviamo tutto questo, ma faccio notare un solo particolare. L’angelo ha appena dato l’annuncio, e tutti col fiato sospeso aspettano la risposta: il Padre, gli angeli, Gabriele e persino lo Spirito Santo rappresentato in forma di colomba… che frena il volo, proprio come fanno gli uccelli in aria quando si vogliono fermare. Frena, perché aspetta il libero Sì di Maria. Non violenta l’uomo, entra nella sua storia per così dire in punta di piedi, chiedendo il permesso. Il Divino sta entrando nella Storia, il Verbo si sta per fare carne, l’Eterno entra nella schiavitù del tempo, ma tutto è nel rispetto della volontà di una ragazza tredicenne di Nazareth di Galilea. La tirannia dei cicli naturali sta per essere infranta da un tocco di libertà umana.
La Parola di Dio assume i confini dell’uomo: uno di questi è il tempo, l’altro è lo spazio. L’Infinito si confina, l’Immortale si condanna a morte.
Carattere storico della religione biblica
Vedete, la religione biblica (ebraico – cristiana) ha questo di diverso rispetto alle altre grandi religioni del mondo: si presenta come una religione nella storia, con una storia della Salvezza che si snoda nel tempo.
Le altre grandi religioni si presentano come frutto di Illuminazione, pensate al buddismo, al confucianesimo e simili. C’è un Illuminato aperta al Trascendente che riceve o contempla nella sua mente una Rivelazione, una dottrina, e la comunica ai discepoli; c’è un saggio che apre la mente alla Sapienza. Nel mondo biblico, la Rivelazione avviene non solo con parole ma anche con gesti di salvezza, gestis verbisque dice la Dei Verbum, con un intervento che segue, insegue la storia dell’uomo ed entra in essa.
Possiamo anche non credervi, ma è così che la Rivelazione biblica si presenta. Nel tempo, nel tempo dell’uomo.
Nel tempo dell’uomo
C’è un’attesa lunga 1900 anni, dall’epoca storica (non mitica!) di Abramo al tempo del Messia che i cristiani riconoscono in Gesù di Nazareth con l’Annunciazione e con la Concezione di Maria; un’attesa più lunga per gli ebrei, che non ha ancora fine, ma l’aspetto dell’attesa è comune a entrambi.
La concezione del tempo per Israele è lineare, viene da un principio e va verso una fine, che è anche un fine, mentre gli altri popoli della Fertile Mezzaluna in mezzo ai quali Israele viveva, ma anche i greci, i romani, i celti, gli scandinavi… avevano una concezione circolare che seguiva le stagioni, un ciclo incessante di eterni corsi e ricorsi della natura che si riavvolge continuamente su se stesso: primavera, estate, inverno, primavera…
Sì, gli uomini di questi popoli avevano una storia, ma la loro religione no, era legata ai ritmi stagionali e non agli eventi storici. La Pasqua era la festa della primavera; Israele l’ha storicizzata, facendone la festa della liberazione dall’Egitto. E non è un mito, è un evento storico, comunque sia avvenuto.
Ecco perché la storia è così importante per la religione biblica, ed ecco perché si guarda agli eventi e non alle stagioni.
L’evento narrato da Luca
Quindi, di quale evento stiamo parlando? Niente di meno, dell’Incarnazione: Dio, l’Eterno, che si fa uomo nella persona del Figlio. Tutto si innesca da lì: assistiamo al Big Bang della Redenzione.
Vediamo come questo evento viene presentato, non a caso, dall’evangelista che più ha a cuore la dimensione storica, il greco Luca.
Luca non è un cristiano della primissima ora, non ha conosciuto di persona Gesù, non è stato un suo diretto discepolo, ma si è informato presso testimoni attendibili, e lo dichiara, da storico, nella sua introduzione al III Vangelo. Così leggiamo in Lc 1,3 s.:
«Ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, o illustre Teofilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto».
Naturalmente, la sua concezione della storia è quella di un uomo colto, greco, di duemila anni fa, e non corrisponde ai nostri parametri. Tutta la Bibbia è un testo che nella maggior parte dei casi ha carattere storico, ha radici nella storia (eccettuiamo i brani di riflessione sapienziale, ad esempio, e i racconti edificanti) ma non è un manuale di storia.
Risponde a domande sulla fede e non sulla cronaca dei fatti storici; procede per aneddoti ed ha lo scopo di trasmettere un messaggio di salvezza, non di documentarci sui fatti di cronaca e neppure di rispondere alle nostre curiosità.
Dunque Luca scrive da uomo della Bibbia e da storico antico e sicuramente è il più attento di tutti a cercare di fissare una cronologia in relazione alla storia profana.
Non «C’era una volta», ma «al tempo di…»
Il racconto che ci fa Luca non si muove al livello di un «C’era una volta», ma «al tempo di…». Al tempo di Erode, ecco la coordinata storica precisa che inquadra l’evento. Al tempo di Erode: morto, lo sappiamo storicamente con precisione, nel 4 a.C. Ne deriva anche la constatazione che il monaco Dionigi, che elaborò l’attuale calendario mettendo in relazione gli eventi biblici con la datazione ab Urbe condita – dalla fondazione di Roma, collocando questa nel 753 a.C., commise un errore di calcolo, stabilendo la nascita di Gesù cinque o sei anni dopo l’accadimento reale. Erode era divenuto re di Giudea nel 37 a.C.
Il racconto dell’Infanzia di Luca inizia con l’annuncio dell’angelo a Zaccaria e prosegue con l’Annunciazione dell’angelo a Maria: all’evangelista piacciono le simmetrie, per cui abbiamo una duplice narrazione, in parallelo, dell’infanzia del Battista e dell’infanzia di Gesù. C’è un solo episodio in cui queste due vite parallele si incontrano: quello della Visitazione, dove le due madri e i due bambini che portano in grembo si incontrano e si riconoscono in una danza di gioia.
Il tempo storico torna nel racconto della Natività: ci viene detto che essa avviene mentre regna Cesare Augusto e Quirinio è governatore della Siria; sappiamo già che era il tempo di Erode.
Publio Sulpicio Quirinio (45 a.C. – 21 d.C.) fu proconsole d’Asia dall’11 al 2 a.C. e dal 9 a.C. al 7 d.C. legato della Siria. Nel 6 d.C. indisse un censimento della Giudea in vista della tassazione degli abitanti, e ciò provocò la reazione di Giuda il Galileo, considerato per questo motivo il fondatore della corrente degli zeloti, il braccio armato della resistenza ai romani.
La storia profana non registra un censimento precedente, indetto verso l’anno 7 a.C., ma l’evento della Natività è comunque inquadrato nel tempo degli uomini, e nello spazio storico: dell’Impero, della provincia, del territorio, del paesino.
Da Gerusalemme a Nazareth
Nella narrazione lucana, l’obiettivo, come in uno zoom, si sposta dal grande tempio della grande città al paese più insignificante, Nazareth, del tutto marginale rispetto alla grande storia. La storia di Dio con gli uomini è una storia di piccolezza. Nazareth, benché abitata fin dall’età del bronzo, non è mai menzionata nell’Antico Testamento né mai sarà menzionata nel Talmud, tanto da far sorgere la folle idea che non sia esistita storicamente ma che se la siano inventata i cristiani… ma a quale scopo inventare che Gesù proviene da un luogo del tutto privo di interesse? A parte questo, l’insediamento era abitato in epoca biblica, e vi è stata trovata anche una moneta del tempo di Erode. Non siamo nel mondo del mito, siamo nel mondo della storia, anche se si può pensare ad un paese minuscolo, di forse un centinaio di abitanti.
La scena
Protagonisti: Maria, l’angelo, lo Spirito Santo, il Padre, il Figlio.
La SS. Trinità
Non mi soffermo sui Protagonisti divini. È evidente il valore trinitario della scena: il Padre che invia, il Figlio che è inviato, lo Spirito che è pure inviato perché la sua potenza operi l’Incarnazione del Figlio nel grembo di una donna. Passiamo, invece, al messaggero celeste.
L’angelo
Non immaginatevi l’angelo con le ali, però: quel tipo di rappresentazione è solo simbolica, per immaginare una creatura spirituale pronta ad eseguire la volontà di Dio. Vero è che questo angelo non è un’entità astratta, ha un nome (Gabriele) ed è rilevante nella tradizione ebraica.
Anche se inizialmente la parola mal’ak (anghelos in greco) vuol dire solo messaggero, è un nome di funzione e non di natura (può essere messaggero anche un uomo mandato dal Signore), col tempo si sviluppa nella Bibbia un’angelologia (e di conseguenza una demonologia) in cui gli angeli sono esseri puramente spirituali a servizio di Dio. Ce ne viene detto molto poco, perché alla rivelazione biblica interessa il rapporto fra Dio e l’uomo, e la presenza angelica è solo incidentale. Comunque, nella tradizione ebraica si mettono in luce sette figure angeliche (che noi chiamiamo arcangeli) di particolare importanza e con particolari funzioni. Così abbiamo:
- L’angelo del messaggio, Gabriele (Dio è il mio Forte)
- L’angelo della potenza, Michele (Chi è come Dio?)
- L’angelo della guarigione, Raffaele (Dio ha guarito).
Seguono, non menzionati nella Bibbia, altri quattro arcangeli, con una certa variabilità secondo le diverse tradizioni. Riportiamo questi nomi: Uriele (Dio è la mia luce), Sariele (Dio è il mio principe), Zadkiele (Dio è la mia giustizia). Jophiele (Dio è la mia bellezza). L’avete capito, almeno, che il nome El vuol dire Dio?
Il luogo
Gabriele, il messaggero per eccellenza, è colui che porta la parola di Dio all’uomo e la porta dove meno si pensa, in un luogo molto umile, storicamente una grotta usata come abitazione e individuata dal padre Bellarmino Bagatti, sulla base di segni inequivocabili, a Nazareth come Casa della Madonna; la Santa Casa di Loreto è, presumibilmente, la parte esterna dell’abitazione, perché davanti alle grotte si costruiva con pietre un altro ambiente abitabile, proprio come oggi potremmo costruire una veranda davanti ad una casa.
Maria
L’interlocutore cui il Padre invia l’angelo è una umile ragazza, maggiorenne per la legge a 12 anni, probabilmente quattordicenne. Luca usa tre nomi per designarla:
- Myriam la chiamano gli uomini
- Ricolmata di grazia la chiama l’angelo
- Serva del Signore si riconosce lei stessa.
È una escalation alla rovescia, alla maniera dei paradossi divini, quella contenuta in queste denominazioni.
1. L’identikit umano
L’identikit umano, le coordinate anagrafiche:
- Il popolo – ebraico palestinese
- La città . paese insignificante di Galilea, Galilea delle genti, terra di confine
- Lo status civile: fidanzata (legata ad un uomo indissolubilmente da contratto)
- Non sappiamo neppure la casata, se di Giuda (tribù regale) o di Levi (tribù sacerdotale, visto che è questa l’appartenenza di Elisabetta sua parente)
2. Il piano divino
Nel piano divino Maria è proclamata kecharitoméne cioè ricolmata di grazia.
Questo participio è tutto un programma.
- Maria non è «piena» di grazia, il verbo è al passivo: non piena ma riempita. Questo esprime la sua disponibilità all’azione del Signore: per essere riempita, bisogna prima che si sia svuotata. Il segreto di Maria sta nella kénosi, quello che fa il Figlio entrando nel mondo: svuota se stesso, si priva della gloria divina per assumere la condizione dell’uomo anzi del servo, obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,7-8: «Essendo di natura divina non si appropriò come una rapina dell’essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso prendendo natura di servo…»). Maria riceve in pienezza la grazia di Dio perché si vuota completamente di sé – ma in questo modo non perde se stessa, anzi trova il suo vero sé.
Per essere riempiti bisogna prima essere svuotati – di che cosa? Di sé; per far posto a Dio. È esattamente quello che Luca dirà con la parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14): chi è pieno di sé non può essere riempito da Dio. L’angelo saluta dunque Maria come colei che ha fatto totalmente spazio a Dio.
- Il tempo del participio è al perfetto, indica cioè un’azione compiuta nel passato che continua ad avere i suoi effetti nel presente. Maria è stata riempita di grazia dal Signore e continua ad esserlo, con la sua disponibilità
3. L’autocoscienza: serva del Signore
Maria infatti non si fossilizza su di una posizione acquisita (riempita di grazia) ma si proclama serva (doùle) del Signore: la sua gioia è fare la volontà del Padre, per questo è la degna Madre del Figlio di Dio.
Bene dice Dante nel Canto XXXIII del Paradiso:
«Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio
Umile ed alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu sei colei che l’umana natura
nobilitasti sì che ’suo Fattore
non disdegnò di farsi sua Fattura»…
Maria è la Donna del Paradosso, nobile perché umile, Madre perché sterile.
L’impianto narrativo lucano
Notate come Luca metta la figura femminile in primo piano e in piena luce.
Procede per coppie:
- Di sposi anziani e sterili
- Di sposi giovani e vergini
- Di mistici: Simeone ed Anna.
La prima annunciazione è al sacerdote Zaccaria, ma lui non crede, e perde la parola.
Maria crede: la fede di Maria è lodata da Elisabetta nell’unica scena in cui le due madri si incontrano e il primo cantico è quello di Maria (il Magnificat), Zaccaria al solito verrà per secondo con il Benedictus. Maria è sposa di Giuseppe ma questi tace (come tace nel Vangelo di Matteo), Maria parla per entrambi.
La scena dell’Annunciazione
Possiamo dire che la scena dell’Annunciazione è l’antitesi e l’antidoto dell’antico racconto della tentazione della donna di Genesi 3.
C’è un parallelismo antitetico:
- In entrambi, un personaggio portatore di un dio (il serpente era sacro ad Astarte, dea della fertilità) reca un messaggio ad una donna (Eva per il male, Maria per il bene).
- La donna discute con il portatore della parola, mentre l’uomo è assente.
- In entrambi i casi, la donna acconsente: Eva per la morte, Maria per la Vita.
- In entrambi i casi questo colloquio produce un evento che cambia le sorti dell’umanità. Le cambia in male per Eva (piena di se stessa e serva di se stessa, della sua voglia di essere come Dio), in bene per Maria (che si svuota di sé e si fa serva del Signore).
Così abbiamo:
- In Genesi 3,15 il Protovangelo, il primo annuncio della salvezza realizzata dal seme della Donna
- In Luca, il Vangelo come adempimento di quell’antica profezia. Eb 1,1-2: «Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio».
Galati 4,4-5: «Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge…».
Ecco come Paolo esprime la realtà, la concretezza storica dell’Incarnazione.
Giovanni poi proclama che Cristo è Parola di Dio, in greco Logos, ma in ebraico Davar che vuol dire parola e vuol dire fatto, realtà. La realtà di Dio, e non solo la Parola illuminante, entra nella storia dell’uomo in un tempo e in un luogo precisi. Nella umile concretezza del tempo che è Chronos, quotidiano scorrimento dei fatti, e non solo Kairos, il tempo delle grandi occasioni. Tutto questo, per il Sì storico di una ragazzetta…
Il video della conferenza tenuta nel 2021 sul Capodanno toscano QUI.