«Nel mezzo, vile meccanico! o ch’io t’insegno una volta come si tratta co’ gentiluomini». La Cancel Culture, se avesse sufficienti strumenti culturali, potrebbe avere da ridire sull’insulto «Vile meccanico» lanciato da un nobile arrogante contro il giovane Lodovico, figlio di un mercante arricchito ma anche affetto da manie signorili e da un malinteso senso di giustizia che lo condurrà al duello, all’omicidio preterintenzionale e, per un profondo ripensamento della vita, alla risoluzione di farsi frate e divenire… Padre Cristoforo.
Sì, siamo nei «Promessi Sposi». E, sì, la Cancel Culture potrebbe risentirsi di questa frase in cui la parola «Meccanico» è usata come un’offesa rivolta a un giovane spavaldo ma plebeo. Forse dovrebbero offendersi i gestori di autofficine? Macché. Siamo nel cap. IV dei «Promessi Sposi», opera manzoniana che ambienta le vicende nella Lombardia del Seicento dominata dalla Spagna, e «meccanico», evidentemente, non ha niente a che fare con i poveri riparatori di autovetture. «Meccanico», all’epoca, era comunque una sorta di insulto, perché significava «Uomo che lavora con le proprie mani», «Persona addetta a lavori manuali», quindi – beninteso, secondo la mentalità dei Signori dell’epoca – persona rozza e volgare; in definitiva, «Plebeo».
Parole che cambiano significato
Il Manzoni (anche se vi sono pressioni perché si eviti di premettere l’articolo ad un nome proprio di persona, quindi se voglio essere politicamente corretta non posso dire il Manzoni, come non posso dire la Deledda; è offensivo anche questo, vai a sapere perché; per tutta la vita sono stata chiamata «la Giorgi» prima dai miei insegnanti, poi dai miei colleghi e dai miei studenti) – dunque, il Manzoni scriveva parlando di persone che non si offendevano più di tanto, e che, nei vari stati e regioni, non consideravano un insulto usare parole come «libertino» (fautore della libertà di pensiero), «cafone» (contadino), «villano» (abitante della campagna) e simili. Prima ancora, neppure le parole «masnadiero» (uomo d’armi a servizio di un signore), «idiota» (persona che fa vita privata, poi illetterato) e persino «cretino» (povero cristiano) avevano un valore propriamente offensivo. Il tempo pesa molto sul significato di una stessa parola.
La Cancel Culture
Dunque, tutto da correggere e riscrivere secondo la sensibilità odierna? Ma no: quando mi avvicino ad un’opera del passato sono io che devo contestualizzarla e cercare di comprendere il linguaggio per i significati che aveva all’epoca – altrimenti non ci capisco niente e non mi serve a niente. La Cancel Culture non lo fa: pretende di riscrivere l’opera con un linguaggio che ritiene accettabile e dovuto oggi, ma accettabile secondo i parametri del Politicamente corretto, di fatto secondo i parametri di una dittatura culturale.
Cito in merito a tutto questo i commenti del Presidente dell’Accademia della Crusca, in un’intervista rilasciata il 26 marzo scorso a «Il Giornale»:
«A scuola ci sono bambini che hanno paura a scrivere “vecchio” e non sanno come chiamare un uomo col bastone. Avere paura delle parole che esprimono cose normali, che nella vita esistono… Quelle di chi sogna una lingua ripulita da quello che non mi piace sono posizioni pericolose».
«Un principio autoritario e livellatore produce sempre conformismo: se mi adeguo, spero di passare inosservato. Oltretutto, chi irrigidisce queste norme poi deve fare i conti con la coerenza, che è difficile da mantenere…».
Vediamo allora qualche esempio degli effetti, spesso comici, sempre irritanti, della Cancel Culture. Un bersaglio di questi giorni: Agahta Christie.
Agatha Christie
Vittima illustre del Politicamente corretto è in questo momento la regina del Giallo Agatha Christie: i custodi del linguaggio inclusivo hanno ripulito i suoi libri per adattarli a quella che chiamano «sensibilità moderna». I romanzi gialli che hanno per protagonisti Hercule Poirot e Miss Marple, scritti tra il 1920 e il 1976, sono stati censurati nelle nuove edizioni pubblicate da HarperCollins.
Censure
In queste edizioni sono stati omessi attributi o appellativi che i lettori di oggi potrebbero trovare offensivi, come alcuni riferimenti all’etnia: nero, ebreo o zingaro; persino orientale.
In un romanzo che ha per protagonista miss Marple, un nativo dei Caraibi non può più dire che Miss Marple ha i denti «belli e bianchi»: denoterebbe una mentalità affetta da colonialismo e razzismo. Anzi, non si può più dire nemmeno la parola nativo, sostituita con un più neutro «gente del luogo»: altrimenti ci si macchia degli stessi reati.
Dopo di questo, saranno cancellati anche i maggiordomi? Se lo chiede l’articolista Annalisa Teggi su «Tempi» del 28 marzo 2023. Sanno troppo di servitù e di distanza sociale oggi inammissibile.
Anche paragonare una persona a una «statua di marmo nero» è considerato offensivo. Ma i lettori sanno in quale epoca e società le opere della (no, non dovrei dirlo: via l’articolo davanti al nome proprio, anche in preposizione articolata!) – di Christie (come vi suona?) sono contestualizzate. E il bello è che viviamo in una società in cui sta montando senza freni una inflazione di volgarità, oscenità e blasfemia (leggi: bestemmie) che può ferire la sensibilità di tutti, ma contro questo nessuno sembra insorgere! Limitare questo tipo di linguaggio sarebbe, forse, politicamente scorretto perché lederebbe la libertà di parola? Vi sembra coerente tutto questo?
Povera Christie…
Pare comunque che la celebre scrittrice inglese sia proprio destinata alla riscrittura.
Il suo capolavoro Dieci piccoli indiani, originalmente intitolato Dieci piccoli negri (1939), uscì invece nel 1940 negli Stati Uniti col titolo E poi non rimase nessuno, per evitare di offendere la sensibilità afroamericana.
Il titolo, che è passato anche in italiano, era semplicemente ispirato ad una filastrocca in dieci strofe che l’assassino pare seguire nel commettere i propri delitti.
Il suo sensazionale record di 110 milioni di copie, all’undicesimo posto nella classifica mondiale dei best seller con più incassi della storia, ha fatto sì che questo sia tuttora il libro giallo più venduto in assoluto. Ciò non gli ha risparmiato la censura: addirittura, il titolo originale contiene la parola impronunciabile, la «N-Word» o «Parola che inizia per N», che non si può nemmeno citare per criticarla; ne riparleremo.
In Italia, anche peggio
Quando i primi romanzi della Christie (scusate, è proprio un vizio il mio: si offenderà qualcuno?) uscirono in Italia, nel Ventennio di triste memoria, furono censurati e riscritti. A quell’epoca la censura si riferiva a espressioni della letteratura straniera considerate denigratorie nei confronti degli italiani, per cui se c’era qualche personaggio italiano che nel romanzo veniva presentato sotto una luce non perfetta era certo che sarebbe stato rimosso.
È accaduto con il famoso Assassinio sull’Orient Express, dove la vittima designata, un gangster, nell’originale è italoamericano e porta un nome italiano, subito riciciclato e camuffato sotto un’etnia anglosassone. Ma nello stesso romanzo accade anche con uno dei personaggi minori, che da italiano si ritrova ad essere brasiliano. Anche descrizioni e intercalari sono stati rimossi, onde evitare rischi: ad esempio, i famosi intercalari francesi del piccolo investigatore belga (belga, mi raccomando, non francese!) sono stati eliminati o ridotti in virtù dell’ideologia xenofobica e autarchica del periodo.
In un altro celebre romanzo, Se morisse mio marito, invece, si è fatto peggio, si è aggiunto qualcosa: di un’attrice che per denaro gioca un ruolo importante nella trama gialla, nell’edizione italiana (1935) si legge che è ebrea e che porta le stigmate della sua razza, particolare assolutamente inesistente nell’originale inglese e totalmente inventato dal traduttore.
Ma a quell’epoca tutto questo si poteva imputare ad una dittatura politica che pretendeva di controllare la cultura e le menti. Oggi si assiste ad una dittatura culturale invisibile, quella del Politicamente corretto, che in nome della tolleranza ci vorrebbe spingere all’idiozia per un malinteso buonismo: o così, o non siamo inclusivi… Di questo, la vittima eletta è sempre lei: la grande Dame Agatha. Ma non basta.
Cancel culture: non si può dire «vecchio»
Per non incorrere nel peccato di Politicamente scorretto, le case editrici si sono fornite di «sensitivity readers», che filtrano i manoscritti non per valutarne il valore artistico, ma per controllare che non contengano traccia alcuna di idee che potrebbero urtare qualcuno. E finché si parla di produzione contemporanea, passi. Ma questo vale, come abbiamo visto, anche sui capolavori del passato. Una bufera si è abbattuta perciò anche sulle storie per ragazzi di Roald Dahl, ad esempio la «Fabbrica di cioccolato»: da cancellare o ritoccare, secondo l’editore Puffin Books, i termini sconvenienti del tipo «vecchio», «brutto», «grasso», «nano», «matto».
Poi è toccato alle spy-stories di Ian Fleming (scomparso nel 1964), il creatore dell’agente segreto 007. Il prossimo aprile Casino Royale, il primo romanzo della saga, compirà 70 anni e per l’occasione la Ian Fleming Publications Ldt che detiene i diritti d’autore ha deciso che le nuove edizioni verranno ripulite dai passaggi più razzisti. Negro, nero e africano diventeranno «persona di colore» o «uomo di colore». In molti altri libri, tra cui Thunderball (1961) e Goldfinger (1959), sono state eliminate le etnie.
Simile sorte per Mark Twain per Le avventure di Huckleberry Finn e molti altri come Uomini e topi di John Steinbeck e 1984 di George Orwell.
Il buio oltre la siepe
Ma particolarmente indigesto e incomprensibile, addirittura vergognoso, è il bando di cui è caduto vittima Il buio oltre la siepe (To Kill a Mockingbird, 1960) di Harper Lee, che è precisamente un libro contro il razzismo ed esplora in chiave critica il tema dell’ingiustizia razziale.
Un capolavoro contro il razzismo
Il romanzo ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 1961 ed ha fornito il soggetto per un bel film dello stesso titolo, interpretato da Gregory Peck e vincitore di tre Oscar (Miglior attore protagonista a Gregory Peck, inoltre Migliore scenografia e Migliore sceneggiatura non originale). James Steward, interpellato per la parte del protagonista prima di Peck, aveva rifiutato perché giudicava il film troppo progressista. Robert Duval, che interpretava il presunto mostro Boo, si tenne al riparo per un mese e mezzo dai raggi solari, per acquisire il colorito smorto caratteristico del personaggio.
Inoltre il film nel 1963 ha vinto il Golden Globe: non solo per il Miglior attore in un film drammatico (Gregory Peck) e per la Miglior colonna sonora (Elmer Bernstein), ma addirittura come Miglior film promotore di amicizia internazionale!
L’American Film Institute ha collocato il film al secondo posto nella lista dei 100 film statunitensi più commoventi, dopo La vita è meravigliosa, e ha giudicato il personaggio di Atticus Finch, interpretato da Gregory Peck, come il più grande eroe cinematografico del XX secolo.
Via dalle scuole!
Eppure il romanzo è stato bandito dalle scuole americane a causa dell’uso del linguaggio razzista, che non è dell’autrice ma dei personaggi negativi che intervengono nella trama. Gli si imputa un «complesso da salvatore bianco» (l’avvocato bianco che si rende impopolare ai suoi stessi concittadini per difendere da un’ingiusta accusa un operaio nero) e l’uso continuo della parola N (attenzione: la parola «negro» non si può più scrivere neanche per denunciare il razzismo di chi la usa. Al suo posto si deve usare la perifrasi «la parola che inizia per N», e si dovrebbe scrivere «ne**o»).
Tanto varrebbe eliminare tutti i film sulla Shoah perché presentano gli ebrei in una condizione miserrima, insultati dai nazisti e dai collaborazionisti. Non sarebbe un fatto da dimenticare quanto e più della schiavitù degli afroamericani? No, qui c’è qualcosa che proprio non torna.
La correzione dei titoli dei capolavori letterari (è uno scherzo, per ora)
Ecco allora, sulla Cancel Culture, i commenti ironici, dalla Gran Bretagna, ma anche da noi.
Gli effetti più eclatanti e goliardici sono sui titoli. Così «Biancaneve e i sette nani» diventerebbe «Biancaneve e i 7 uomini non altissimi» (si può dire «uomo»? Magari sarebbe più politicamente corretto così: «Biancaneve e sette persone non altissime». Ma «Biancaneve», a sua volta, non è razzista?). «Il brutto anatroccolo» potrebbe diventare «L’anatroccolo che era un tipo». Il «Gobbo di Notre Dame» può trasformarsi in «Il diversamente dritto di Notre Dame». E «Guerra e pace»? Di questi tempi, non sarebbe meglio dire «Operazione militare speciale e pace»? Ernest Hemingway potrebbe vedere «Il vecchio e il mare» modificarsi ne «Il non più giovanissimo» oppure «Il diversamente giovane e il mare». Un momento: «mare» non sarà discriminatorio nei confronti dei laghi, che sono più piccoli?
Sapete che non si dovrebbe neppure più dire «maschio» o «uomo», «donna» o «femmina»? Bisognerebbe sostituire questi termini con Amab (acrostico di Assignated Male at Birth) e Afab (Assignated Female at Birth), cioè persone cui alla nascita è stato assegnato il genere maschile o femminile, ma dovranno poi decidere loro se essere maschi o femmine o entrambi o nessuno dei due. Qualcuno lo definisce «follia». Io ci devo riflettere. Al momento, preferisco parlare di «moda».
(Continua)