
La Cancel Culture o «cultura della cancellazione» è una forma moderna di ostracismo nella quale persone, aziende od opere diventano oggetto di proteste e vengono escluse dagli ambienti sociali o boicottate in quanto colpevoli di aver sostenuto o espresso idee contrarie alla parità di genere (o di non-genere), ai diritti delle minoranze, a ciò che appare «politicamente corretto», in nome di un estremo rispetto verso tutti. Il fenomeno è nato verso il 2017 e si è acuito dopo la morte di George Floyd, denunciando l’uccisione degli afroamericani da parte della polizia statunitense. Da qualche tempo, la Cancel Culture è sbarcata anche a tavola.
Non solo statue
La Cancel Culture iniziò distruggendo o imbrattando le statue dei grandi personaggi del passato, come quella di Cristoforo Colombo. In Italia, un esempio è la proposta di rimozione a Milano della statua raffigurante Indro Montanelli (perché in Eritrea aveva comprato una sposa bambina), dell’obelisco «Mussolini Dux» a Roma e della statua di Gabriele D’Annunzio a Trieste; a Cagliari, del monumento a Carlo Felice.
Poi si è diffusa alla letteratura, e adesso entra nel mondo del teatro, del cinema e della televisione, estendendosi alle persone degli autori. Entra anche in cucina e si siede a tavola… dove potrebbe contestare i nomi di Lacrima Cristi, Vinsanto, Sangue di Giuda e Inferno. Così invece non è, perché la Chiesa cattolica non sembra poi tanto suscettibile, quanto piuttosto provvista del senso dell’umorismo. Questo non accade su altri versanti.
Politicamente scorretti a tavola

I Kellog’s al cioccolato hanno una scimmia per immagine: stereotipo razziale?
Tutto inizia quando una ex deputata laburista inglese, Fiona Onasanya, chiede a Kellogg’s perché per i Coco Pops, che sono marroni essendo al cioccolato, sia stata scelta come mascotte una scimmia, mentre sulle confezioni dei Rice Krispies compaiono tre ragazzi bianchi: «Coco Pops e Rice Krispies hanno la stessa composizione (l’unica differenza è che CP sono marroni e al cioccolato). Mi chiedevo quindi perché i Rice Krispies hanno tre ragazzi bianchi a rappresentare il marchio e i Coco Pops hanno una scimmia?».
Kellogg’s replica: «Noi sosteniamo la comunità nera. Non tolleriamo la discriminazione e siamo convinti che le persone di ogni razza, genere, background, orientamento sessuale, religione, capacità e credo debbano essere trattate con la massima dignità e rispetto. Abbiamo una vasta gamma di personaggi che mostriamo sulle scatole di cereali, tra cui tigri, giraffe, coccodrilli, elfi, eccetera. È il nostro modo di portare la giocosità a colazione».
Costringere ad una simile precisazione è ridicolo, ma al giorno d’oggi diviene necessario.
Il gelato Eskimo è razzista
Un dietro front ha dovuto invece fare l’azienda danese produttrice di gelati Hansens, cambiando nome al suo gelato fino ad allora chiamato Eskimo (cioè eschimese) perché termine razzista e offensivo nei confronti degli Inuit e di tutte le popolazioni artiche e della Groenlandia. La motivazione è che il vecchio nome avrebbe ricordato agli antichi popoli artici «un passato di umiliazione e trattamenti ingiusti». Si chiamerà invece O’Payo, dal nome del tipo di cioccolato con cui viene prodotto. In Danimarca avevano protestato, con evidente successo, soprattutto gli esponenti della Groenlandia, territorio autonomo del regno. Avevano fatto notare che la parola «Eskimo» significa «mangiatore di carne cruda» e non è originaria della lingua Inuit.
L’espressione viene ritenuta molto offensiva, anche se originariamente significava «fabbricante di racchette da neve» e l’altra etimologia nasce solo per assonanza. Questi popoli chiamano invece se stessi col nome tradizionale di «Inuit», che significa «Uomini»: tipica forma di etnocentrismo che caratterizza i popoli dell’antichità.
Via le connotazioni etniche
In Francia, il celebre locale «Poussin Bleu» a Saint-Raphaël è stato investito dalle contestazioni a causa di due coppe di gelato i cui nomi trasmetterebbero pregiudizi razzisti. Il locale, fondato nel 1947 da un italiano sfuggito al regime fascista, non hanno avuto problemi per generazioni: ma adesso gusti come Africano e Cinese hanno fatto gridare al gastro-razzismo. Per il «White Lady», invece, nessun problema.
Trader’s Joe
Anche Trader Joe’s, catena di supermercati nata in California, è stata messa sotto accusa per razzismo da migliaia di persone che hanno firmato una petizione lanciata da un liceale californiano: classificare «Arabian Joe» i cibi della cucina mediorientale, «Trader Joe San» la cucina giappone, e persino «Trader’s Giotto» la cucina italiana rappresenta secondo loro «una narrativa di un esotismo che perpetua pericolosi stereotipi». Così il marchio Trader Joe’s sarà esteso anche a tutti i prodotti etnici.
Mohrenkoepfe (Teste di Moro o Moretti)

La catena svizzera di supermercati Migros risponde alle proteste anti razzismo in corso negli Stati Uniti e in Europa togliendo dagli scaffali i dolci chiamati «moretti» (in tedesco «Mohrenkoepfe», Teste di Moro). I moretti sono stati prodotti a partire dal 1946 dalla Dubler, azienda del Cantone dell’Argovia. Già in passato una petizione aveva chiesto di dare un nuovo nome ai moretti, ma il produttore è sempre rimasto fedele alla denominazione storica. Si chiede di ribattezzarli «Baci di cioccolato». E ci si domanda: sono ammissibili le liquirizie Morositas e Negritas e il vino Negroamaro?
Su Twitter, qualcuno commenta: «E dopo aver ritirato dagli scaffali dei supermercati i famosi cioccolatini “moretti” della Dubler, bisognerà far lo stesso con gli “strozzapreti”?».
Sostanza o forma?
Certamente, ingiustizie e discriminazioni verso le persone di colore e qualsiasi minoranza vanno combattuti, e su questo non si può ironizzare. Ma proprio per questo, per non screditare una causa seria, non si possono sferrare attacchi grotteschi, privi di ogni buon senso, a prodotti che di razzista non hanno niente. Gli estremismi lessicali, dove tutto si basa sulla forma priva di ogni sostanza, non sono ragionevoli. Altrimenti…
… Altrimenti, ci si può chiedere se, andando per il sottile, siano contestabili anche i cognomi dei produttori (birra Moretti) e altri prodotti: il salame Negronetto, l’amaro Montenegro e l’aperitivo Negroni: anche questi nomi da cambiare?
Sono sinceramente preoccupata per i Quattro Mori di Livorno, come si farà? Quelli sì che sono a rischio…