
Il cortigiano che consiglia al faraone di chiedere aiuto a Giuseppe per interpretare i suoi sogni si riferisce allo straniero come “ebreo”, un termine spesso usato nella Bibbia ebraica quando un non israelita si riferisce a un israelita, mentre quest’ultimo più probabilmente si definirebbe “un figlio di Israele”. Il termine “ebreo”, analogo all’habiru usato nei documenti egiziani, era rappresentativo di una connotazione socio – economica piuttosto che etnica, designando nell’antico Vicino Oriente persone senza stato e marginali, predoni, mercenari e addetti ai lavori forzati. Quindi, il funzionario del faraone potrebbe riferirsi alla posizione sociale del giovane come habiru, straniero e marginale in Egitto. Qualsiasi persona del genere potrebbe essere “ebreo” per l’egiziano.
In ogni caso, per poter essere accolto alla corte, Giuseppe, come abbiamo visto, deve radersi e diventare come coloro che lo schiavizzano.
Cambio di status. Nome egiziano e moglie egiziana
Il faraone non si limita a fornire Giuseppe di una tunica di lino, del suo stesso anello e di una collana egiziani, ma gli dà anche un nuovo nome egiziano e una moglie egiziana: «Il faraone diede a Giuseppe il nome di Zafenat-Paneach e gli diede in moglie Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di On. Così Giuseppe emerse a capo della terra d’Egitto» (Genesi 41,45).
Per i lettori ebrei di Genesi 41, il matrimonio di Giuseppe non solo con una donna non israelita, ma addirittura con la figlia di un sacerdote egiziano può essere sembrato scioccante. Tuttavia, in Genesi 41 non viene offerta alcuna valutazione negativa né si segnala alcuna preoccupazione al riguardo. In effetti, prima dell’epoca di Esdra e Neemia (V secolo a.C.) in cui si condannano e si vietano i matrimoni misti, Asenath, come poi la moglie madianita di Mosè, sarebbe stata considerata una sposa accettabile.
Tribù nate in Egitto
Naturalmente, i figli di Giuseppe e Asenat, Efraim e Manasse, antenati eponimi delle due più grandi tribù del nord Israele, nascono in Egitto:
«Prima che venissero gli anni della carestia, Giuseppe generò due figli, che gli partorì Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di On. Giuseppe chiamò il primogenito Manasse, che significa: “Dio mi ha fatto dimenticare completamente la mia angoscia e la casa dei miei genitori”. E il secondo lo chiamò Efraim, che significa: “Dio mi ha reso fertile nella terra della mia afflizione”» (Genesi 41,50-52).
In questo brano, gli antenati eponimi delle tribù di Manasse ed Efraim rappresentano il superamento da parte di Giuseppe della sua vita come parte della famiglia di Giacobbe e la sua felice integrazione in quella del faraone. I loro stessi nomi rappresentano il cambio di status del padre, che attraverso essi dichiara di aver dimenticato, per grazia di Dio, le sue origini, e di essere divenuto fecondo nella terra che avrebbe dovuto solo vederlo schiavo.
Una storia positiva sull’assimilazione in Egitto?

Tutti questi dettagli esprimono una valutazione positiva della piena integrazione di Giuseppe nella società egiziana. Si rade come un egiziano, si veste come un egiziano, si adorna come gli egiziani, prende un nome egiziano e una moglie egiziana. I suoi figli nascono in Egitto. Le persone per cui si adopera sono gentili e sagge, e riconoscono il suo talento, sopratutto il faraone, che lo eleva al rango di braccio destro del re. L’egittificazione di Giuseppe appare come un aspetto positivo di tutta la vicenda.
Tutto cambia, solo Dio resta
L’unica cosa che Giuseppe non muta nel suo cambio di status è il suo Dio. Fin dall’inizio, la storia ci dice che il Signore stava vegliando su Giuseppe. Per tutta la storia, Giuseppe rende chiaro che ne ha la consapevolezza. La sua capacità di interpretare i sogni viene da Dio (40,8), come ripete anche al faraone nel capitolo 41 (vv. 16.25.28). Verso la fine della storia, quando i suoi fratelli avranno paura di una sua vendetta, Giuseppe affermerà che ciò che gli è successo è venuto da Dio (Gen 45,7-8; 50,19-20).
È anche vero che questa lealtà verso Dio è ciò che rende Giuseppe vincente e ammirato nella sua nuova terra. Nientemeno che il Faraone loda le capacità di Giuseppe come provenienti da Dio. Giuseppe è in grado di rimanere pienamente devoto al Signore mentre diventa quasi completamente egiziano… La sua storia, come altre nel Canone biblico, risponde ad una domanda non pronunciata: Si può essere al tempo stesso credenti fedeli e buoni cittadini? Sì, si può.