Buon Anno! Facile a dirsi, più difficile a viversi. Abbiamo alle spalle anni difficili, fatti di guerre, di malattie, di disastri naturali, di emergenze sociali. Penso alle atrocità che l’umanità ha commesso su larga scala, qua e là per il mondo, nei confronti di popolazioni civili inermi, di interi popoli, e singolarmente nei confronti delle creature più deboli: fra queste metto anche gli animali, indifese creature innocenti su cui la cattiveria umana pensa di potersi sfogare impunemente. Non basteranno certo gli auguri per il Nuovo Anno a dissipare la nube di violenza e di cinismo che grava sulla nostra terra. Le mie parole si arrestano di fronte a tanto dolore, rimane soltanto la pena, tanta pena… insieme alla preghiera. E forse a qualcosa di concreto.
Buon Anno! Un invito
Buon Anno! Il profeta invita:
«Ogni valle sia colmata,
ogni monte e colle siano abbassati;
il terreno accidentato si trasformi in piano
e quello scosceso in pianura» (Is 40,4).
Buon Anno! Sia spianato il terreno perché l’uomo possa incontrare Dio, e nella sua pace pacificarsi con l’altro uomo e con il Creato. È un desiderio e un sogno, ma tocca a noi cercare di concretizzarlo.
Buon Anno! Sia un anno di ascolto reciproco, di dialogo, di collaborazione, se non proprio di amore. Bastano anche solo la noncuranza, l’egotismo, il narcisismo a sfibrare quei fili di solidarietà che con tanta fatica si stanno tessendo. Né in passato è andata meglio. Mi viene in mente il Dialogo leopardiano tra il Venditore di almanacchi, che ad ogni nuovo anno vende calendari per la strada, e il Passeggere, un passante occasionale.
Dal pessimismo alla concretezza
«Passeggere: Credete che sarà felice quest’anno nuovo?
Venditore: Oh illustrissimo si, certo.
Passeggere: Come quest’anno passato?
Venditore: Più più assai…
Passeggere: Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore: Saranno vent’anni, illustrissimo.
Passeggere: A quale di cotesti vent’anni vorreste che somigliasse l’anno venturo?
Venditore: Io? non saprei.
Passeggere: Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore: No in verità, illustrissimo.
Passeggere: E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore: Cotesto si sa.
Passeggere: Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore: Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere: Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore: Cotesto non vorrei…
Passeggere: Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore: Speriamo».
Il passante filosofo vuol dimostrare all’ingenuo venditore che nessun anno passato è da rimpiangere, perché tutti sono stati ugualmente infelici, e che solo la speranza di un futuro migliore fa vedere bella la vita, il che non è né mai sarà. Questo è il pessimismo leopardiano. Ma noi possiamo avere una marcia in più, abbandonando il pessimismo di pensarci in balìa di una Natura matrigna e di un cieco Caso, e cercando invece di contribuire a realizzare il nostro desiderio di un mondo più bello con gesti di tolleranza e di concordia, di fraternità e di carità. Ogni piccolo passo in questa direzione è prezioso, niente è inutile, anche quello che cerchiamo di fare nella nostra modesta vita quotidiana; e se non lo facessimo, verrebbe a mancare qualcosa alla costruzione di un’umanità più giusta.
Buon Anno, allora: l’augurio di un anno di tanta serenità, ma anche di impegno per l’aiuto fraterno e per la pace.