Lettura continua della Bibbia. Briciole di pane (Marco 7,24-30)

Cristo e la Cananea. Di Pieter Lastman (1533) – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=34313403

Briciole di pane. Sembrano poca cosa, ma hanno la loro importanza, anche in questa sezione del Vangelo secondo Marco detta Sezione dei pani.

7 24Partito di là, andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. 25 Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. 26 Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. 27 Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». 28 Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». 29Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia». 30 Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato.

I discepoli erano stati accusati di mangiare il pane con mani non debitamente purificate, come i pagani. Adesso è una pagana che viene a chiedere pane a Gesù.

Gesù è di nuovo in terra straniera, in Fenicia, ed è qui, in una terra in cui la purità di Israele non è osservata, che una donna di lingua greca – Marco evidenzia anche questa forma di estraneità linguistica – viene a chiedergli la liberazione della figlia. Rovesciando la normale situazione, è lei che chiede pane al forestiero, non pane da mangiare, però: pane per la sua anima amareggiata, guarigione, liberazione, salvezza.

Briciole di pane

Fra tutti i personaggi del vangelo secondo Marco, proprio questa donna straniera e pagana è la sola a chiamare Gesù con l’appellativo «Signore», che per la Chiesa primitiva è titolo divino. La sua è una richiesta che parte dalla fede.

La risposta di Gesù però sembra un totale rifiuto: il pane è per i figli, non per i cani. Il cane, animale impuro, ha una valenza negativa nella Bibbia (tranne che nel libro di Tobia), e qui simboleggia l’impurità dei pagani. Ma il rifiuto di Gesù, in realtà, suona come una provocazione alla fede della donna, che vi coglie, con un notevole senso di humour, un’apertura. Gesù non ha parlato, nel greco di Marco, di «cani», ma di «cagnolini», che non sono i cuccioli ma, distinti dai cani selvatici, i cani domestici che fanno in qualche modo parte della famiglia. Se è per questo, ribatte la donna, anche i cagnolini sono ammessi alla casa, alla mensa, e ne mangiano le briciole.

Gesù, come sembrava insensibile alla paura dei discepoli quando si era scatenata la tempesta, adesso sembra insensibile al dolore di una madre. Dov’è finito, ora, il fremito delle viscere? Ma la sua è una sorta di sceneggiata, una “finta” che provoca ulteriormente la fede, tanto più che Gesù aveva dichiarato puri tutti gli alimenti (7,19), annullando le discriminazioni fra ebrei e pagani.

Non ha valore l’ipotesi interpretativa che vorrebbe Gesù convertito proprio da una donna ad allargare la sua missione verso i pagani. Gesù infatti si trova in terra pagana, e già vi è stato, il che denota una sua scelta. Inoltre non può ignorare quello che asseriscono i profeti, cioè che Dio vuole la salvezza anche degli stranieri. Egli si è già seduto a mensa con loro, a partire dalla vocazione di Levi il pubblicano collaborazionista con i romani. Nel paese dei Geraseni ha già liberato l’indemoniato dalla sua legione di demoni, e lo ha inviato alla propria casa ad annunciare la misericordia del Signore. Non è per lui una novità annunciare e portare la salvezza ai pagani.

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