Visioni contrastanti: Blish versus Lewis

Blish versus Lewis
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In fantascienza l’elemento religioso, dopo Lewis, diviene rilevante solo a partire dagli anni Cinquanta, con prevalente ispirazione protestante o ebraica, data la preponderante concentrazione dei maggiori scrittori di fantascienza negli Stati Uniti, benché vi sia rappresentata anche una piccola ma agguerrita minoranza cattolica. E gli scrittori anglofoni devono essere affascinati dai gesuiti: ancora un gesuita infatti è il protagonista di uno dei romanzi fantascientifici più famosi del genere, A Case of Conscience (in italiano Guerra al grande nulla) di James Blish, scrittore americano di fantascienza e fantasy (1921-75) noto per aver curato la novellizzazione della serie classica tv di Star Trek e per le serie narrative Le città volanti e Dopo siffatta conoscenza. Così abbiamo il nascere di una polemica: Blish versus Lewis.

Blish versus Lewis: Guerra al grande nulla

Il romanzo di Blish (1958) è ambientato su un pianeta alieno che vive pacificamente e armoniosamente perché non conosce il male, ma al tempo stesso non conosce neppure Dio. Padre Ruiz-Sanchez ritiene che questo pianeta rappresenti una creazione del diavolo per persuadere gli uomini che un simile ideale è possibile. Per incarico del Papa compie perciò un esorcismo sull’intero pianeta, ma contemporaneamente un esperimento nucleare lo disintegra. Il gesuita è uno scienziato e ci insinua il dubbio: la scomparsa del pianeta è dovuta puramente ad un errore tecnico o questo è avvenuto grazie alla preghiera?

Come il tema dell’innocenza originaria, in parte simile alle situazioni che caratterizzano Lontano dal Pianeta Silenzioso e Perelandra, sia trattato in modo molto diverso da quello cui si era attenuto Lewis, è evidente; ed è evidente anche il richiamo che Blish fa alla fantateologia di Lewis per confutarla in tono almeno dubitativo. Il riferimento di Blish a Lewis si fa addirittura esplicito quando il protagonista Ruiz definisce hnau un essere corporeo dotato di anima razionale, utilizzando cioè il termine che nell’Antico Solare di Malacandra e Perelandra designa gli esseri intelligenti provvisti di corpo fisico (James Blish, Guerra al grande nulla, Editrice Nord, Milano 1975, 140).

Blish versus Lewis: Dio è morto?

La risposta di Blish alla fede di Lewis è lo scetticismo; ma intanto il tema della fede, anche troppo accantonato dalla fantascienza, viene rimesso in gioco. Di fatto, i romanzi di Blish costituiscono una risposta a Lewis, l’unica in cui un romanziere si sia sinora cimentato, salvo il caso di Philip Pullman, che negli anni 1995-2000 ha pubblicato una trilogia anti-Cronache di Narnia, la saga di Queste Oscure Materie.

Pasqua Nera

Non solo Blish coscientemente ricalca il tema dell’innocenza originaria in Guerra al Grande Nulla, ma in Pasqua Nera (Black Easter, 1970) riecheggia volutamente il racconto di diavolerie di Questa Orribile Forza, dedicando il libro a C.S. Lewis e apponendo tre ampie citazioni delle Lettere di Berlicche a introdurre l’ultima parte del romanzo, L’ultima evocazione (Pasqua Nera, Ed. Nord, Milano 1972, 135), quella in cui i diavoli irrompono sulla terra e la devastano, per concludere la loro missione con il conciso, desolante annuncio, un kerygma infernale: «Dio è morto» (Ivi, 180).

L’Apocalisse e Dopo

Nel seguito di Pasqua Nera, L’Apocalisse e Dopo (The Day after Judgement, 1971), Blish torna a citare Lewis, questa volta esplicitamente: «La cosa che si autodefinì “Berlicche” lasciò intendere a Lewis che i diavoli mangiano le anime» (Id., L’Apocalisse e Dopo, Longanesi, Milano 1978, 10). 

Per di più, finge che Berlicche – Screwtape esista davvero e che vi sia veramente un sodalizio tra lui e l’estensore del suo epistolario, il professor Lewis; come, del resto, Blish dà per vera quella che per lui è una finzione, la realtà dell’inferno e dei diavoli, che fanno da protagonisti in questo libretto e nel precedente, assumendo forme dantesche con tanto di autentica città di Dite, porte infernali, barbacani e mura turrite a mo’ di moschee al gran completo, con Erinni annesse, capelli serpentini compresi e diavoli svolazzanti. Non si tratta per lui di una convinzione religiosa sulla vita soprannaturale, naturalmente, ma solo di umorismo nero e di narrativa dell’assurdo.

Il realismo dell’irrealtà

Come lo scrittore, al modo di Lewis, intenda entrare egli stesso, per suo divertimento, nel proprio mondo fantastico e lo presenti come reale (Tolkien inorridirebbe) lo dimostrano alcuni particolari: l’osservazione realistica sul volo a cavalcioni di una scopa («solo uno sconsiderato volerebbe a cavalcioni di un manico di scopa con la spazzola sul di dietro, per quanto l’iconografia convenzionale sulle cartoline mostri il contrario») e la collocazione nel romanzo, nelle vesti di personaggi minori, i monaci di Monte Albano, di veri autori di fantascienza, A. Boucher, J. Vance, R.A. Heinlein e lo stesso Blish con lo pseudonimo, da lui usato come recensore di letteratura fantascientifica, di W. Atheling Jr.

In questo sequel di Pasqua Nera non si capisce se Dio è morto davvero, in ogni caso ha lasciato vacante il suo trono e forse, pur non volendo, un sofferente Satana sarà costretto ad occuparne il posto. Lo scontro fra il Bene e il Male, tema dell’intera trilogia After Such Knowledge (dal poema Gerontion di T.S. Eliot: «Dopo tale conoscenza, quale perdono?»), sembra terminare con uno smacco. Sotto la metafora della magia e della diavoleria, in cui Blish non crede, trapela un più radicale scetticismo, sulla linea di Misalliance di G.B. Shaw in cui un personaggio, a chi chiede giustizia, risponde:

«Nessuno l’ha mai avuta, da che mondo è mondo […]. Be’, non è questo il negozio giusto; qui non possiamo darvi la giustizia: è un articolo che non teniamo. Tutto quel che abbiamo è la natura umana. Nient’altro » (Cit. in Pasqua Nera, XIII).

Il solito complesso quotidiano di disastri

L’unico passo apertamente ironico di Pasqua Nera, infatti, si ha quando il committente dell’irruzione diabolica, ascoltando la radio per avere riscontro delle distruzioni prodotte dalla sua richiesta, non riesce a distinguerle dalle solite catastrofi naturali e storiche che affliggono normalmente l’umanità: disastri ferroviari, bufere di neve, dighe che cedono, terremoti, bombe H, incidenti in Israele, massacri in Africa e Vietnam…

«Insomma, il solito complesso quotidiano di disastri naturali o quasi […]. Tutto perfettamente regolare, tutto che procedeva come al solito, dimostrando ciò che qualunque persona di buon senso sapeva già, che cioè sulla Terra non c’era nessun luogo sicuro, né in quella stanza né all’esterno».

Blish versus Lewis: l’apprezzamento

Nonostante le differenze ideologiche, Blish ha stimato grandemente Lewis per la sua produzione letteraria e per la sua visione etica, ritenendo Questa Orribile Forza un romanzo quasi perfetto. Ai critici che preferivano la sua Pasqua nera a Questa Orribile Forza e Guerra al Grande Nulla a Perelandra, Blish ribatteva:

«Sono totalmente in disaccordo con questo nonsenso. Non ho posto sui problemi un decimo del pensiero che vi ha profuso Lewis; io penso che in particolare Questa Orribile Forza sia quasi un modello di cosa dovrebbe essere un romanzo perfetto, tutti i personaggi vivi e a tutto tondo (persino le caricature come Wither, Frost, e Fairy Hardcastle, che per quanto personaggi allegorici si possono quasi sentir respirare), tutte le strade esplorate, ogni pezzo della trama al suo posto.

Persino le pochissime digressioni dell’onnisciente autore Lewis, come per esempio quando visita per la prima volta il Bosco, non disturbano minimamente la narrazione, sembrano perfettamente naturali e rendono tutta la storia ancor più reale. Della trilogia di Ransom, questo è quello che ho riletto di più, e ogni volta che lo faccio scopro qualcosa di nuovo da ammirare, il che penso sia il test finale (dopo il feedback estetico) di ciò che deve essere chiamato, dopotutto, un’opera d’arte: la ricchezza» [lettera dell’8 gennaio 1972 a Paul Shackley].

Lewis: risultati incredibilmente convincenti

Blish scrisse che i romanzi fantascientifici di Lewis partono per imporre al sistema solare una strana teologia e cosmologia anglicano-babilonese, con risultati incredibilmente convincenti nonostante la decisamente nebulosa visione di Lewis della astronomia e ancor più delle altre scienze che egli cerca di demonizzare (In William Atheling Jr., The Issue at Hand, Advent Publisher, Chicago 1964, 53).

Ma non manca neppure un suo apprezzamento per l’etica che Lewis esprime nei suoi romanzi:

«Concordo interamente con la posizione di Lewis sulla colpa, per esperienza personale e riflessione e senza necessità di adottare tutte le sue idee su ogni altra materia. I tabù variano da tribù a tribù, ma ogni persona sembra avere una coscienza che rende grigia la sua vita se ci si pone in guerra, ed io non posso credere che essa ci sia imposta o sia semplicemente la somma dei nostri tabù. Mi domando spesso perché stia così spesso zitta quando più ci serve, salvo poi farsi viva pesantemente in retrospettiva quando un’azione cattiva è diventata definitiva. Di tutte le funzioni del cervello sembra la più lenta ad apprendere dall’esperienza» [lettera di J. Blish a Paul Shackley del 6 novembre 1970].

Senza pervenire alle conclusioni religiose di C.S. Lewis sul valore probante della coscienza e della legge morale universale come indizio dell’esistenza di un Autore esterno all’uomo e al cosmo, Blish ne condivide comunque la visione etica, sia pur permanendo nel suo scetticismo di fondo.

Il Pianeta del Silenzio

Anche in un noto romanzo del polacco S. Lem, Il Pianeta del Silenzio (1986), si profila un dissidio tra la scienza degli astronauti e la fede dell’osservatore del Vaticano, in questo caso un domenicano, padre Arago. Così lo evidenzia lo scienziato:

«L’universo è un labirinto fatto di altri labirinti. Ciascuno porta a un altro. E dove non possiamo arrivare personalmente, arriviamo servendoci della matematica. Mediante la matematica costruiamo veicoli che ci portano nei regni non umani del mondo. E con la matematica è anche possibile costruire mondi esterni all’universo, indipendentemente dal fatto che esistano o meno.

E poi, naturalmente, si può sempre abbandonare la matematica e i suoi mondi, per avventurarsi con la propria fede nel mondo a venire. La gente della risma di Padre Arago si occupa appunto di questo. La differenza tra noi e loro è la differenza tra la possibilità che alcune cose succedano e la speranza di vederle succedere. Il mio campo si occupa di ciò che è possibile, di ciò che è accessibile; il suo, invece, di ciò che si può soltanto sperare, di ciò che diverrà accessibile, faccia a faccia, solo dopo la morte» (S. Lem, Il Pianeta del Silenzio, Mondadori, 125).