
Berlicche: bombardamenti e letteratura. Che attinenza ci può essere? Se ci si chiama C.S. Lewis, l’attinenza c’è. Il grande scrittore cristiano compose l’epistolario fantastico di Screwtape (31 lettere indirizzate dall’arcidiavolo Berlicche ad un suo nipote alle prime armi, incaricato di fungere da “diavolo custode” ad un giovanotto con lo scopo di fargli dannare l’anima), proprio nel periodo in cui Londra veniva duramente bombardata dall’aviazione tedesca. Quale capolavoro ne sia uscito, giudicatelo da voi.
Le Lettere di Berlicche

C.S. Lewis: una vita fra i libri?
Una vita tra i libri: questa è l’impressione che si ricava a prima vista dalla biografia di C.S. Lewis. E, per la maggior parte della sua esistenza, ciò è stato vero: dall’infanzia piena di letture agli studi secondari e universitari, alla docenza ad Oxford e Cambridge.
Anche la sua clamorosa conversione al cristianesimo, merito in buona parte di Tolkien, fu essenzialmente un fatto di libri: dapprima la sorpresa di accorgersi che gli autori cristiani gli piacevano non ostante il loro cristianesimo, poi che gli piacevano a motivo del loro cristianesimo; infine una conversazione notturna con Tolkien e Dyson che gli fece comprendere come i racconti mitologici del dio del grano che muore e risorge, che dilettavano tanto gli amici di Oxford, non avevano fatto altro che preannunciare da lontano quello che nel Cristo Gesù era diventato storia, carne, realtà. Da quel momento, Lewis diviene un acclamato scrittore cristiano che fa della sua scrittura una continua opera di evangelizzazione.
La Grande Guerra
Ma questo non descrive l’intera esperienza di vita del grande scrittore cristiano.
Prima di tutto, Lewis aveva fatto la guerra, e guerra di trincea, in Francia, e nel 1918 fu addirittura ferito presso Arras. Di questa sua esperienza riferisce pochissimo, perché, dice, è troppo diversa dal resto della sua vita per doverne parlare, come se fosse «accaduto a un altro», benché abbia frasi mirabili nella loro essenzialità:
«La guerra – con la paura, il freddo, l’odore degli esplosivi, gli uomini orribilmente maciullati che ancora si muovevano… – altro non è che un raro e pallido ricordo…. Di tutto ciò che seguì, oggi per me conta più l’impressione del primo proiettile che sentii fischiare: così lontano da me che “sibilò” come il proiettile di un giornalista o di un poeta del tempo di pace. In quel momento non provai nulla che somigliasse neppure da vicino alla paura, e tantomeno all’indifferenza: un piccolo segnale tremolante che diceva: “Ecco la Guerra. Ecco la cosa di cui scriveva Omero”» (Sorpreso dalla gioia, Jaka Book, p. 144).
Solo un piccolo accenno umoristico ad un episodio che altri avrebbero esaltato forse come eroico: come abbia «preso» una sessantina di prigionieri, avendo scoperto con sollievo che «la folla di figure grigiastre che all’improvviso sbucarono dal nulla avevano tutte le mani alzate» (Ivi, p. 145).
Rientro in patria
Al suo rientro in patria, inoltre, Lewis aveva preso con sé la madre di un suo commilitone e coetaneo caduto in combattimento, la signora Moore, una donna vivace ma volubile e superficiale che aveva 25 anni più di lui e con la quale convisse fino a che ella non dovette ricoverarsi in una casa di cura, nel 1950. È dubbia la natura della sua relazione, almeno inizialmente – con la signora in questione, ma la stessa reticenza in proposito di Lewis (che in quel periodo era divenuto ateo) lascia supporre che il rapporto fosse molto intimo. In ogni caso, questo non è il quadro esistenziale di un professore avulso dalla vita, e imbranato davanti ai problemi più sciocchi, come è stato delineato nel film (peraltro bellissimo e magistralmente interpretato da Anthony Hopkins) Viaggio in Inghilterra del 1993.
La Seconda guerra mondiale in Inghilterra

Quando scoppia il secondo conflitto mondiale, Lewis è un affermato intellettuale ultraquarantenne che dedica la sua vita allo studio, all’insegnamento, alla scrittura e alle amicizie, in particolare a quel circolo informale, gli Inklings, che aveva fondato insieme a Tolkien. Ma non si disinteressa dei problemi dell’uomo. Ne sono testimonianza le conversazioni radiofoniche che tiene alla BBC per i soldati della Raf fra il 1941 e il 1944, ogni mercoledì di agosto nel 1941, il gennaio e febbraio 1942, nell’autunno del 1942, infine nel 1944. Lewis parla a soldati che potevano cadere in combattimento: una situazione drammatica. Ma non solo i soldati lo ascoltavano: la sua voce divenne familiare agli inglesi quasi quanto quella di Winston Churchill. Le sue conferenze saranno successivamente raccolte in un libro, Mere Christianity, un classico dell’apologetica cristiana.
Lewis inoltre ospitò nel suo villino di Oxford alcuni bambini sfollati da Londra, e questa fu l’ambientazione di partenza delle Cronache di Narnia. I bambini fuggiti dalla città per scampare alla guerra si ritrovano,nel mondo incantato di Narnia, nel mezzo di un’altra e più grave guerra, e per di più ne sono gli elementi risolutori.
Ma il libro di narrativa nato nei bombardamenti di Londra è rappresentato dalle Lettere di Berlicche, cui dedicheremo un po’ di tempo. Per ora basti sapere che si tratta di lettere (fittizie) scritte da un arcidiavolo, Berlicche, ad un nipote apprendista (in italiano Malacoda), allo scopo di fornirgli tutti i peggiori consigli per fare dannare l’anima ad un giovanotto, il paziente che il giovane diavolo è incaricato di portare sulla strada della perdizione.
Per il problema della sofferenza in C.S. Lewis: QUI.
Dalle Lettere di Berlicche: Lo scoppio della guerra (lettera V)
(I titoli sono miei)
Mio caro Malacoda, si rimane un pochino delusi quando ci s’attendeva un rapporto dettagliato sul tuo lavoro e si riceve invece una rapsodia vaga come la tua ultima lettera. Dici che sei «delirante di gioia» perché gli uomini europei hanno cominciato un’altra guerra delle loro. Vedo chiaramente ciò che t’è capitato. Non sei delirante; sei soltanto ubriaco.
Leggendo fra le righe del tuo squilibratissimo resoconto della notte insonne del tuo paziente, sono in grado di ricostruire con sufficiente accuratezza lo stato della tua mente. Per la prima volta nella tua carriera hai assaggiato quel vino che è la ricompensa di tutte le nostre fatiche – l’angoscia e lo smarrimento di un’anima umana – e t’è andato alla testa. Mi riesce difficile biasimarti. Non posso aspettarmi teste da vecchio su giovani spalle.
Il tuo paziente, dunque, reagì ad alcune delle tue raffigurazioni terrificanti del futuro? Sei riuscito a infiltrarvi qualche malinconico sguardo al felice passato, suscitando un sentimento di autocompassione? – c’è stato qualche ben riuscito tremito nel profondo dello stomaco? Hai saputo suonare il tuo violino delicatamente, vero? Bene! bene! è una cosa molto naturale.
L’eccitazione non distolga dal dovere
Ma, ricordati bene, Malacoda, che il dovere viene prima del piacere. Se una qualsiasi concessione che ti permetti ora ti condurrà alla perdita finale della preda, per tutta l’eternità sarai lasciato bruciare dalla sete di quel sorso del quale adesso godi con tanta voluttà il primo goccio. Se, invece, per mezzo di un’applicazione continua e a mente fredda, nel luogo e nel momento giusti, sarai alla fine in grado di assicurarti la sua anima, egli sarà tuo per sempre – sarà un vivente calice traboccante di disperazione e di terrore e di sorpresa, che potrai sollevare alle labbra tutte le volte che vorrai.
Non permettere quindi che una qualsiasi eccitazione temporanea ti distragga dall’affare vero e proprio, quello, importante, di minare la fede e di impedire la formazione delle virtù. Non mancare di darmi nella tua prossima lettera un resoconto completo delle reazioni dell’ammalato alla guerra, così che si possa studiare se sarà meglio farlo diventare un estremo patriota oppure un ardente pacifista. Le possibilità sono molte e varie. Intanto mi preme avvertirti di non sperare troppo da una guerra.
Non speriamo troppo da una guerra, parola di esperto
Naturalmente, una guerra è divertente. L’immediato terrore e la sofferenza immediata degli esseri umani è un ristoro legittimo e piacevole per le miriadi dei nostri affaticati lavoratori. Ma qual beneficio permanente ci può dare, a meno che noi non ne facciamo uso per portare anime al Nostro Padre di Laggiù? Quando vedo la sofferenza temporale degli esseri umani che poi, alla fine, ci sfuggono, provo una sensazione come se mi fosse stato permesso di gustare la prima portata di un ricco banchetto, e poi mi fosse stato negato il resto. È peggio che non aver gustato nulla. Il Nemico, fedele ai suoi barbari metodi di guerra, ci permette di scorgere la breve sofferenza dei suoi favoriti soltanto per farci struggere e per tormentarci – per beffare la fame incessante che, durante la fase attuale del grande conflitto, ci viene imposta, bisogna ammetterlo, dal suo blocco.
Il pericolo fa volgere gli animi agli ideali
Quindi, pensiamo piuttosto al modo di usare che non al modo di godere di questa guerra europea. Poiché vi sono unite certe tendenze che, in se stesse, non sono per nulla favorevoli a noi. Possiamo sperare un bel po’ di crudeltà e di impurità. Ma, se non staremo più che attenti, dovremo vedere migliaia che in questa tribolazione si volgeranno al Nemico, mentre l’attenzione di decine di migliaia che non giungeranno a tanto, verrà tuttavia deviata dalla considerazione delle loro persone verso valori e cause che essi credono più alte del proprio io.
So che il Nemico disapprova molte di queste cause. Ma è qui dove Egli manca di lealtà. Egli fa spesso bottino di esseri umani che hanno dato la vita per ideali che Egli pensa cattivi, per la ragione mostruosamente sofistica che gli esseri umani li credevano buoni e che agivano nel miglior modo che sapevano.
Il pensiero della morte richiama al “Nemico“
Considera inoltre quali morti indesiderabili capitano in tempo di guerra. Gli uomini vengono uccisi in luoghi dove sapevano di poter essere uccisi, e dove si recano, se appena sono del partito del Nemico, preparati. Quanto sarebbe molto meglio per noi se tutti gli esseri umani morissero in case di salute costose, in mezzo a dottori che mentiscono, infermiere che mentiscono, amici che mentiscono, come io li ho educati a fare, promettendo la vita ai morenti, incoraggiando la convinzione che la malattia scusa ogni indulgenza, e perfino, se i nostri lavoratori sapessero bene il mestiere, tenendo lontano ogni accenno a un prete per tema che colui tradisca all’infermo la vera condizione in cui si trova!
Quanto è disastroso per noi il continuo richiamo alla morte che la guerra offre! Una delle nostre armi migliori, la mondanità soddisfatta, è resa inservibile. In tempo di guerra neppure uno degli umani può pensare di vivere per sempre. So che Draghignazzo e altri hanno veduto nelle guerre una grande occasione per sferrare attacchi contro la fede, ma io ritengo esagerato codesto punto di vista. Agli esseri umani partigiani del Nemico, è stato detto chiaramente da Lui che la sofferenza è una parte essenziale di ciò che Egli chiama Redenzione; e perciò una fede che viene distrutta da una guerra o da una pestilenza non valeva proprio la pena di distruggerla. Parlo di quella sofferenza diffusa per un lungo periodo quale la guerra produrrà.
Naturalmente, nell’esatto momento del terrore, del lutto, o del dolore fisico puoi catturare il tuo uomo mentre la sua ragione è temporaneamente sospesa. Ma anche allora, se egli si rivolge al quartier generale del Nemico, mi sono accorto che il posto militare è quasi sempre difeso.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche