Lettere di Berlicche: la paura della paura

Berlicche: la paura della paura. Foto di Patter Hill da Pixabay 
Foto di Patter Hill da Pixabay 

Le Lettere di Berlicche: la paura della paura. L’avvenire si fa minaccioso, in tempo di guerra. Una delle tentazioni più sottili è quella di indurre la persona ad immaginarsi tutta una serie di possibili futuri, anche contraddittori, uno peggiore dell’altro; e di indurla a vivere nell’inquietudine di temerli tutti anche se impossibili a realizzarsi. È quello che l’esperto Berlicche suggerisce all’apprendista Malacoda, insieme alla tentazione a vivere proiettati verso il futuro, quando ciò che esiste è solo il presente.

Da un diavolo a un altro: la sottile tattica della tentazione

Londinesi rifugiati nella Metropolitana durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale
Ieri come oggi: londinesi rifugiati nella Metropolitana durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale

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Un’idea geniale

Le Lettere di Berlicche: un'idea geniale

È proprio nel periodo dei bombardamenti di Londra della Luftwaffe che a Lewis viene un’idea improvvisa. Una domenica mattina, uscendo di chiesa, lo scrittore è colpito da un’idea per un nuovo libro. Ricorderà, poi, di aver pensato:

«Si potrebbe intitolare “As one Devil to Another”, e consisterebbe in una serie di lettere che un vecchio diavolo in pensione invia a un giovane diavolo che ha appena cominciato a lavorare sul suo primo “paziente”. L’idea sarebbe quella di mostrare tutta la psicologia della tentazione dall’altro punto di vista» (lettera al fratello del 20 luglio 1940).

Il libro fu terminato in pochi mesi e pubblicato a puntate su un settimanale cristiano nel 1941, una puntata a settimana da maggio a novembre; Lewis ricevette, per questo, 62 sterline. Poi The Screwtape Letters fu pubblicato in forma di libro nel 1942 e in quell’anno ristampato ben otto volte. Nel 1943 uscì un’edizione americana; in breve tempo il libro totalizzò una vendita di due milioni di copie; tanto che il prestigioso e autorevole settimanale americano «Time» gli dedicò la copertina dell’8 settembre 1947. Lewis del suo libro scrisse:

«Per quanto io non abbia mai scritto niente con più facilità, non ho mai scritto niente con meno piacere […]. Benché fosse facile piegare la mente ad assumere un atteggiamento diabolico, non fu divertente, o per lo meno non per molto. La tensione mi produsse una specie di crampo spirituale. Il mondo nel quale mi ero proiettato mentre parlavo per bocca di Screwtape era tutto polvere, rabbia, sete e prurito. Mi ha quasi soffocato prima di arrivare alla fine» (Il brindisi di Berlicche, in Le lettere di Berlicche e il Brindisi di Berlicche, Jaca Book, Milano 2001, p. 131).

In combutta col Maligno?

Un libro geniale e sofferto, quindi. Un libro di una finissima ironia, un manuale di spiritualità alla rovescia, ma così realistico ed efficace che un anziano parroco di campagna disdisse il proprio abbonamento al periodico che stava pubblicando le lettere, protestando che erano piene di consigli non solo sbagliati, ma addirittura diabolici.

Luigi Santucci, nella sua Introduzione, ricorda che quando lesse da ragazzo il libro ebbe l’impressione che l’autore in realtà fosse il diavolo in persona, e che C.S. Lewis fosse «solo il nome d’arte di quel fascinoso e neppure antipatico spiritaccio che è Berlicche, estensore per il nipote Malacoda di questo Manuale del Perfetto Tentatore che ci delizia e c’inquieta lungo le trentuno lettere», o che Lewis, «ove proprio non avesse prestato il suo nome e ceduta la sua penna al Maligno, in qualche modo fosse entrato in combutta con lui per averne subìto il plagio o per non so qual gioco di reciproci interessi, aventi come strumento codesta combinazione editoriale» (in C.S. Lewis, Le lettere di Berlicche, Mondadori, Milano 1996, p. V s.).

Questa impressione doveva del resto essere molto diffusa. Lewis stesso, in un discorso tenuto nel 1944 al King’s College di Londra in veste, come si qualifica, di «moralista di mezza età» chiamato a parlare ai giovani, dichiara, a proposito della classica triade «il Mondo, la Carne e il Diavolo»:

«Eviterò nella maniera più assoluta di sfiorare l’argomento Diavolo. L’associazione fra lui e me nella mente del pubblico si è già spinta oltre i miei desideri: in certi ambienti ha già raggiunto il livello della confusione, se non della identificazione» (La cerchia esclusiva, pubblicato in C.S. Lewis, Le lettere di Berlicche e il brindisi di Berlicche, p. 150).

La dedica

Tra l’altro, in uno slancio, come al suo solito, di ecumenismo, Lewis aveva dedicato Le Lettere di Berlicche a due cattolici: mons. Olgiati, cofondatore col P. Agostino Gemelli dell’Università Cattolica di Milano, e J.R.R. Tolkien, suo grande amico. Non sappiamo come l’avesse presa mons. Olgiati (fu proprio un anglicista dell’Università Cattolica, mons. Alberto Castelli, a tradurre il libro in italiano), ma sappiamo come la prese Tolkien: restò malissimo del fatto che il suo amico gli avesse dedicato proprio un libro sul diavolo…

In guerra: la paura della paura. Lettera VI

I titoli sono miei.

«Mio caro Malacoda,

godo nel sapere che l’età e la professione del tuo paziente rendono possibile, sebbene non certa, la sua chiamata a prestar servizio militare. Dobbiamo fare in modo che si trovi nel massimo dell’incertezza, sicché la sua testa si riempia di schemi contraddittori nei riguardi del futuro, ciascuno dei quali possa provocare paura o speranza.

L’importanza dell’ansietà

Non v’è nulla che equivalga alla sospensione e all’ansietà per barricare la mente di un essere umano contro il Nemico. Egli vuole uomini che si preoccupino di ciò che fanno: nostro compito è invece di farli pensare sempre a ciò che capiterà loro.

Il tuo paziente avrà senz’altro raccolto l’idea che bisogna sottomettersi con pazienza alla volontà del Nemico. Ciò che il Nemico intende dire con questo è, prima di tutto, che deve accettare con pazienza la tribolazione che gli viene di fatto accordata – l’ansietà presente e la presente sospensione dell’animo. È in relazione a ciò che egli deve dire: «La tua volontà sia fatta», e per il dovere quotidiano di sopportare ciò gli verrà dato il pane quotidiano. Il tuo lavoro deve consistere nel far sì che il tuo paziente non pensi mai che il timore presente è la croce che gli vien consegnata, ma che pensi unicamente a quelle cose delle quali ha paura.

Immaginarsi il futuro

Fa’ in modo che consideri quelle come sue croci; fa’ in modo che dimentichi che, dal momento che sono incompatibili tra di loro, non possono tutte capitare addosso a lui, e che tenti di praticare in anticipo la fortezza e la pazienza verso di esse. Una vera rassegnazione, in uno stesso momento, a una dozzina di destini tutti diversi e tutti ipotetici, è quasi impossibile, e il Nemico non assiste molto coloro che tentano di farlo. La rassegnazione alla sofferenza presente e reale, anche se tal sofferenza consiste nel timore, è molto più facile ed è di solito aiutata da codesta azione diretta.

La legge del ripiegamento su se stessi

Qui è in gioco una legge spirituale importante. Ti ho spiegato come tu possa svigorire le sue preghiere trasferendo la sua attenzione dal Nemico agli stati della sua mente intorno al Nemico. D’altra parte è più facile superare la paura quando la mente del paziente viene trasportata dalla cosa temuta al timore stesso, considerato come uno stato presente e indesiderabile della sua mente; e se considererà il timore come la croce a lui destinata penserà inevitabilmente ad essa come a uno stato della mente.

Si può perciò formulare questa regola generale: in tutte le attività mentali che favoriscono la nostra causa, incoraggia il paziente a non preoccuparsi di sé e a concentrarsi sull’oggetto, ma in tutte le attività favorevoli al Nemico fa’ che la sua mente si ripieghi su se stessa. Fa’ sì che un insulto o che il corpo di una donna attragga talmente la sua attenzione al di fuori che egli non abbia modo di far la riflessione: «Sto entrando nello stato che si chiama Ira – o nello stato che si chiama Lussuria». Al contrario, fa’ in modo che la riflessione: « I miei sentimenti diventano ora più devoti, o più caritatevoli », attragga la sua attenzione verso l’intimo, sì che egli non guardi più al di là di se stesso e non riesca a vedere il nostro Nemico o il suo prossimo.

Siamo concreti: malevolenza per i vicini e benevolenza verso i lontani

In merito al suo atteggiamento più generale nei confronti della guerra, non devi appoggiarti troppo su quei sentimenti di odio che gli esseri umani discutono con tanto gusto nei periodici cristiani e anticristiani. Nella sua angoscia il paziente può, naturalmente, venire incoraggiato a vendicarsi con qualche sentimento di vendetta contro i capi tedeschi, e questo, fino a un certo punto, va bene.

Ma di solito si tratta di una specie di odio melodrammatico e mitico diretto contro capri espiatori immaginari. Egli non ha mai incontrato in vita questi uomini – che sono fantocci modellati su ciò che ricava dai giornali. I risultati di un tale odio chimerico offrono spesso grandi disillusioni, e di tutti gli esseri umani, gli inglesi sotto questo aspetto sono i più deplorevoli tiremmolla. Sono creature miserabili che proclamano ai quattro venti che bisogna usare la tortura con i loro nemici, e poi finiscono con l’offrire tè e sigarette al primo pilota tedesco che si presenti ferito alla porta di servizio.

Qualunque cosa riuscirai a fare, nell’anima del tuo paziente ci sarà sempre un po’ di benevolenza, insieme a un po’ di malizia. L’importante è di dirigere la malevolenza verso i suoi vicini immediati, verso coloro che incontra ogni giorno, e di cacciare la benevolenza lontano, nella circonferenza remota, verso gente che egli non conosce. La malevolenza diventerà così perfettamente reale, e la benevolenza in gran parte immaginaria. È completamente inutile eccitare il suo odio per i tedeschi se, nello stesso tempo, fra lui e sua madre, fra lui e il suo principale, e il signore che incontra in treno si sviluppa una perniciosa pratica abituale di carità.

Volontà, intelletto, immaginazione

Immagina che il tuo giovanotto sia una serie di cerchi concentrici; il più centrale è la volontà, poi l’intelletto, e finalmente la fantasia. È quasi impossibile sperare di escludere subito, da tutti i cerchi, ogni cosa che abbia l’odore del Nemico. Ma tu devi continuamente fare in modo di spingere tutte le virtù verso l’esterno, finché si saranno fissate nel cerchio dell’immaginazione, e tutte le qualità desiderabili nell’interno, nella Volontà.

Le virtù sono per noi veramente fatali solo in quanto possono raggiungere la volontà per poi lì concretarsi in abitudini. (Naturalmente non mi riferisco a ciò che il paziente, sbagliando, crede che sia la propria volontà, vale a dire quell’irritazione nervosa di risoluzioni e di denti serrati della quale ha coscienza, ma il centro vero e proprio, ciò insomma che il Nemico chiama: Cuore.) Tutti i generi di virtù dipinti dalla fantasia o approvate dall’intelletto, o perfino, in qualche misura, quelle amate o ammirate, non riusciranno a tenere un uomo lontano dalla casa di Nostro Padre; lo possono anzi rendere più divertente quando vi giunga.

 Tuo affezionatissimo zio Berlicche