Berlicche e il possesso del tempo: una tematica importante per la tattica della tentazione. La sensazione di padroneggiare il proprio tempo, infatti, influenza pesantemente i comportamenti umani. L’uomo, invece, non “possiede” proprio nulla, tanto meno una cosa che gli sfugge continuamente.
Il possesso del tempo
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Alle origini di un fantasy
Così, una mattina, uscendo di chiesa…
È opinione diffusa che C.S. Lewis abbia scritto i suoi romanzi allo scopo diretto di fare teologia, ma non è vero. Le sue sono vere opere letterarie nate spontaneamente sotto la spinta di una ispirazione, e lui l’ha ribadito più volte. Lontano dal pianeta silenzioso nacque per una specie di scommessa con Tolkien; le Cronache di Narnia sono nate dall’immagine di un fauno che porta pacchetti in un paesaggio innevato, immagine scaturita dalla sua fantasia fin da quando era ragazzo; Perelandra è venuta da sogni ricorrenti di isole galleggianti, come Aslan da sogni frequenti di leoni che lo perseguitavano da tempo; A viso scoperto da un desiderio adolescenziale di rivisitare il mito di Amore e Psiche. Così, anche l’idea di Screwtape gli venne all’improvviso, una domenica mattina, uscendo di chiesa. Il fatto è che Lewis aveva un’immaginazione biblica, per cui qualunque storia iniziasse prendeva spontaneamente quella direzione.
Dalla fantasia alla teologia (e non viceversa)
Lewis non era un fondamentalista che volesse intraprendere crociate; i suoi progetti letterari si muovevano in un ambito culturalmente più ampio, e dietro di essi stava piuttosto l’ispirazione: immagini che gli danzavano nella fantasia, magari dopo averle sognate; le idee teologiche venivano in seguito, spontaneamente, e sostanziavano le immagini.
Lo confessa Lewis più volte, l’ultima forse in una conversazione da lui tenuta a Cambridge il 4 dicembre 1962 con gli scrittori e appassionati di fantascienza britannici Kinglsey Amis e Brian Aldiss e registrata su nastro: «Io non sono mai partito da un messaggio o da una morale […]. La storia stessa vi impone una sua morale, che si scopre mentre si scrive il racconto… Il punto di partenza del secondo romanzo, Perelandra, fu una mia rappresentazione mentale di isole galleggianti […]». ALDISS – «Mi sorprende che la mettiate in questi termini. Avevo creduto di capire che Perelandra era stato ideato con un intento didattico». LEWIS – «Sì, lo pensano tutti, e sbagliano». Altri Mondi. Saggi e racconti a cura di W. Hooper, Edizioni Paoline, Alba 1969, 142 s.
«Lewis non parte dal messaggio cristiano per poi decidere che la fantascienza era un buon modo per contrabbandarlo […] Come racconta lo stesso Lewis nella sua autobiografia e in molte lettere, è vero piuttosto il contrario […]. Lewis non si limitò a ricamare su un tema cristiano; è vero, piuttosto, che il suo pensiero era così coerente, e il suo impegno cristiano così profondo, che sarebbe risultato artificioso e superficiale, se avesse cercato di tenere la sua fede fuori delle sue storie» (W. Martindale, Narnia e l’addio alla Terra delle Ombre, 73 s.).
L’illusione del possesso del tempo. Lettera XXI
(I titoli sono miei)
Mio caro Malacoda…
Gli uomini non s’arrabbiano per la semplice sfortuna, ma per la sfortuna che viene concepita come un’ingiuria. E il senso dell’ingiuria dipende dalla sensazione che una richiesta legittima è stata negata. Quindi, più saranno le pretese sulla vita che riuscirai a far reclamare dal tuo paziente e più spesso si sentirà ingiuriato, e, di conseguenza, di cattivo umore.
Ora, avrai notato che nulla riesce a farlo tanto facilmente andare in collera quanto il vedersi portar via, senza che se l’aspettasse, un periodo di tempo che egli faceva conto di avere a sua completa disposizione. È una visita inaspettata (mentre aveva una gran voglia di passare la serata tranquilla) oppure la linguacciuta moglie dell’amico (che gli capita fra i piedi mentre s’aspettava di godere un tête-à-tête con l’amico), che lo fanno andar fuori dei gangheri. Ora, egli non è ancora così privo di carità né così pigro che, per la sua cortesia, tali piccole esigenze siano in se stesse troppo pesanti. Esse lo fanno andare in collera perché egli considera il suo tempo come sua proprietà e ha la sensazione di essere derubato. Devi perciò custodire molto gelosamente nella sua mente questa strana pretesa: « Il mio tempo è roba mia ».
Il mio tempo è roba mia
Fa’ in modo che provi la sensazione di cominciare ogni giorno come un legittimo possessore di ventiquattro ore. Fa’ in modo che senta come una tassa gravosa quella porzione di codesta proprietà che è costretto a concedere a coloro che lo tengono impiegato, e come donazione generosa quella porzione ulteriore che si permette di dare ai doveri religiosi. Ma non devi mai permettergli di dubitare che il totale dal quale sono state fatte queste decurtazioni era, in qualche senso misterioso, suo personale diritto innato.
Qui il tuo compito è delicato. La pretesa nella quale devi mantenerlo è tanto assurda che, se la si mette in discussione, neppure noi sappiamo trovare uno straccio d’argomento in sua difesa. L’uomo non può né fare né arrestare un attimo di tempo; gli giunge tutto per puro dono; sarebbe come se dovesse considerare il sole e la luna come sua proprietà.
Inoltre, in teoria, egli è legato a servizio totale del Nemico; e se il Nemico gli apparisse in forma corporale e gli chiedesse il servizio totale perfino per un giorno, non potrebbe rifiutare. Gli sarebbe di gran sollievo se quell’unico giorno non implicasse nulla di più difficile che ascoltare la conversazione di una donna sciocca; e si sentirebbe sollevato fin quasi al più alto grado del disappunto se, per una sola mezz’oretta di quel giorno, il Nemico gli dicesse: «Ora puoi andare a divertirti». Orbene, se si sofferma per un momentino a pensare alla sua pretesa, egli stesso è obbligato a comprendere che di fatto si trova in questa situazione ogni giorno.
Il senso di possesso
Quando dunque dico di mantenere nella sua mente questa pretesa, l’ultima cosa che voglio che tu faccia è di fornirgli argomenti in difesa di essa. Non ve ne sono. Il tuo compito è puramente negativo. Fa’ in modo che i suoi pensieri non le si avvicinino. Circondala d’oscurità, e nel centro di quell’oscurità lascia che giaccia in silenzio, inosservato, ed efficace, il senso di Possesso-del-Tempo.
Il senso del possesso deve in generale essere incoraggiato. Gli esseri umani t’inventano continuamente pretese di proprietà che suonano ugualmente ridicole in cielo e nell’inferno, e noi dobbiamo mantenerli su questa linea.
Gran parte della resistenza moderna contro la castità deriva dalla credenza che gli uomini hanno di «possedere» i loro corpi – quei possedimenti vasti e pericolosi, che pulsano con l’energia che fece i mondi, nei quali si trovano senza il loro consenso e dai quali vengono cacciati a piacere di un Altro! È come se un bambino di stirpe reale, che suo padre abbia posto, per amore, al comando titolare di qualche grande provincia, sotto il governo vero di saggi consiglieri, s’immaginasse di possedere veramente le città, le foreste, e il grano, nello stesso modo con il quale possiede i pezzi del gioco di costruzioni, sul pavimento della stanza dei giochi.
La confusione su ciò che è «mio»
Noi riusciamo a produrre questo senso del possesso non soltanto per mezzo dell’orgoglio, ma per mezzo della confusione. Insegniamo loro a non far caso ai diversi significati del pronome possessivo – alle differenze sottilmente graduate che vanno- dalle “mie scarpe”, attraverso “il mio cane”, “il mio servo”, “mia moglie”, “mio padre”, “il mio padrone”, e “la mia patria”, fino al “mio Dio”. Gli si può insegnare di ridurre tutti codesti significati a quello delle “mie scarpe”, al “mio” della proprietà.
Perfino nella stanza dei giochi si può insegnare al bambino dì voler dire, quando dice “Il mio orsacchiotto”, non quel caro oggetto sul quale egli immagina di riversare il suo affetto e con il quale sta in una relazione speciale (questo è infatti quanto il Nemico vuol insegnare loro a voler dire, se non stiamo attenti) ma “l’orso che posso fare a pezzi se ne ho voglia”.
E all’altro capo della scala, abbiamo insegnato agli uomini a dire “il mio Dio” in un senso non proprio molto diverso da “le mie scarpe”, cioè: “il Dio sul quale ho dei diritti per i miei segnalati servizi e che io sfrutto dal pulpito – il Dio che mi sono accaparrato”. E lo scherzo consiste nel fatto che per tutto il tempo il vocabolo “mio” in un senso possessivo completo non può essere applicato a nulla, da parte di un essere umano.
A chi appartiene tutto?
Alla fine, o Nostro Padre o il Nemico diranno “Mio” di qualsiasi cosa che esiste, e particolarmente di ogni uomo. Alla fine, non temere, s’accorgeranno a chi veramente appartenevano il loro tempo, le loro anime, e i loro corpi – certo non ad essi, qualsiasi cosa capiti. Presentemente il Nemico dice “Mio” di tutte le cose, per la ragione pedante e legalistica che le ha fatte lui: Nostro Padre spera di poter in fine dire “mie” di tutte le cose, per la ragione più realistica e dinamica della conquista.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche