
Nella festa di Tutti i Santi mi ha colpito, come se la leggessi per la prima volta, una espressione delle Beatitudini: Beati i miti, perché erediteranno la terra (Mt 5,5). Mi ha colpito perché, sempre più gravemente, stiamo cadendo in una spirale di violenza, di aggressione, di uso della guerra come mezzo di risoluzione dei (propri, e solo propri) problemi. Sempre più gravemente: non perché oggi siamo più cattivi di prima, ma perché abbiamo nelle mani, o meglio i governi hanno nelle mani un potenziale distruttivo un tempo inimmaginabile. Questo mi ha fatto riflettere.
Secondo la Parola di Dio, che dovrebbe essere fonte di ispirazione per ogni cristiano, a chi sarà concessa la terra, intendendo con questa parola ogni bene desiderabile? Non a chi se la prende in nome della logica del più forte. Non la forza, ma la mitezza otterrà la terra, cioè la Casa degli uomini. La terra non sarà strappata a forza agli avversari più deboli, ma sarà ereditata, ricevuta in dono. Il verbo kleronoméo, che indica tale azione, contiene in sé la parola kleros, che indica primariamente la sorte e l’eredità che divengono possesso stabile: non perché vi sia stata un’assegnazione fatta a caso, ma neppure perché uno se lo sia guadagnato con la violenza.
Il senso prevalente è che la forza umana non può e non deve valere ad accaparrarsi alcunché. In una visione di fede è Dio il datore di ogni bene, e l’atteggiamento dell’uomo che corrisponde alla sua elargizione non è l’arroganza né la prepotenza né la sopraffazione armata. È, invece, l’atteggiamento di chi riceve con umiltà il dono e lo amministra con saggezza. Calpestare questo principio affermando il diritto del più forte non è, tra l’altro, consono a governanti che si appellano alla fede cristiana…
Beati i miti…
Per eccellenza, il mite protagonista dei Salmi, a cui si rifanno le Beatitudini evangeliche (cfr. in questo caso il Salmo 37), è il povero ed umile di cuore che affida a Dio la sua causa. Ma non è uno smidollato. Diceva papa Francesco, in una catechesi del mercoledì, che il mite
«Non è un codardo, un “fiacco” che si trova una morale di ripiego per restare fuori dai problemi. Tutt’altro! È una persona che ha ricevuto un’eredità e non la vuole disperdere. Il mite non è un accomodante ma è il discepolo di Cristo che ha imparato a difendere ben altra terra. Lui difende la sua pace, difende il suo rapporto con Dio, difende i suoi doni, i doni di Dio, custodendo la misericordia, la fraternità, la fiducia, la speranza. Perché le persone miti sono persone misericordiose, fraterne, fiduciose e persone con speranza » (19 febbraio 2020).
Ecco, essere miti non è semplicemente essere acquiescenti, remissivi, passivi, subire tutto contro ogni giustizia. La mitezza è una virtù attiva, costruttrice di rapporti giusti, ed anche combattiva, impegnata per raggiungere ciò che è necessario alla pace. La mitezza dell’Agnello si sposa, cioè, con la forza d’animo del Leone (cfr. l’Apocalisse, dove l’Agnello immolato è il Leone della tribù di Giuda).
E allora, in questa situazione di guerre che viviamo, in cui il possesso della terra si cerca di accaparrarselo con la forza delle armi, e non vince il più giusto ma il più forte, che cosa significa essere miti?