
Finalmente convinto, Mosè parte con la moglie, i figli (che ora sono due: Gherson ed Eliezer) e l’asino. È una sorta di Sacra Famiglia ante litteram, compresa la frase che poi risuonerà nel vangelo dell’infanzia di Matteo: «Va’, torna… perché sono morti quanti insidiavano la tua vita!» (4,19). Mosè torna così al luogo di cui è nativo. Per la cronaca: nel midrash, l’asino è sempre lo stesso che aveva condotto Abramo sul monte Moria, e sarà lo stesso sul quale si presenterà il Messia facendo il suo ingresso glorioso in Gerusalemme.
Uno stranissimo episodio
Durante il viaggio, «il Signore gli venne contro e cercò di farlo morire. 25 Allora Zippora prese una selce tagliente, recise il prepuzio del figlio e con quello gli toccò i piedi e disse: «Tu sei per me uno sposo di sangue». 26 Allora si ritirò da lui. Essa aveva detto sposo di sangue a causa della circoncisione» (4,24-26).
Questo stranissimo episodio, in cui Dio sembra rimangiarsi tutto quello che aveva detto e promesso per scagliarsi contro il chiamato ed ucciderlo, va messo in parallelo con l’altro strano episodio in cui Giacobbe lotta con Dio nel suo viaggio di ritorno al luogo natio.
Un uomo solo incontro al suo contraddittorio futuro
La situazione è la stessa: un uomo solo, la notte, che va incontro al suo destino, forse incontro alla morte (Giacobbe perché deve vedersela con l’ira del fratello, Mosè perché deve affrontare il faraone). Forse alla base del racconto biblico c’è un episodio di malore improvviso che coglie il protagonista della vicenda. La vita di un intero popolo dipende dalla vita di quell’uomo: di Giacobbe perché è il capostipite, di Mosè perché è (o dovrebbe essere) il liberatore. Eppure Dio, che li ha scelti, contraddittoriamente li assale e quasi li uccide. È in fondo la stessa situazione del sacrificio di Isacco: Dio promette un figlio da cui dovrebbe nascere il suo popolo, lo fa nascere prodigiosamente, poi lo richiede a morte.
È, nel suo culmine, il mistero della sofferenza: Tu – sembra dire il chiamato – mi incarichi di qualcosa di molto difficile, di impossibile, e poi mi impedisci di farlo, anzi mi porti al limite della morte. O, peggio ancora: dici che farai una cosa e poi ne fai un’altra?
Un battesimo di sangue
Potremmo chiamarlo battesimo di sangue. Non nel senso proprio di adesione di fede mediante il martirio, ma nel senso traslato di investitura cruenta, l’affrontare per la prima volta una grave difficoltà da cui non si esce indenni. Appare come una sorta di purificazione, forse un apprendistato per prepararsi a battaglie più ardue…
Giacobbe ne esce azzoppato per un colpo basso del suo misterioso Avversario che lo sconfigge con le sue stesse armi, astuzia e slealtà. Ma ne esce anche benedetto per sempre.
Mosè ne esce illeso perché la moglie Zippora compie un atto sostitutivo dello spargimento del suo sangue, lo spargimento del sangue del figlio mediante la circoncisione, in una sorta di sposalizio mistico. Mosè diviene sposo di sangue: la sua missione inizia all’insegna della contraddittorietà, del mistero, della incomprensibilità delle azioni divine. Non si può capire fino in fondo, talvolta nemmeno in superficie la dialettica divina. A volte lineare, a volte (anzi, molto spesso) tortuosa e imperscrutabile. L’unica risposta umana possibile è la fiducia. E di fiducia ne occorre tanta. Se questo è il buongiorno, quali saranno gli sviluppi?