Parole e frasi bibliche: Aver talento

La parabola dei talentiHistoriae celebriores Veteris Testamenti Iconibus representatae, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=799591

Mi è capitato recentemente di pensare alla parabola dei talenti, ed ho realizzato che, se la parola «talento» evoca per noi l’immagine di un dono naturale, di una dote particolare, una capacità, un estro (avete presente? Talent scout…), è esclusivamente grazie alla parabola di Matteo 25,14 ss. Precedentemente, la parola talento, dal latino talentum e greco tálanton, ha in sé l’idea di peso, di bilancia, per poi passare all’idea dell’oggetto pesato e quindi alla moneta. Il talento era infatti un’antica unità monetaria, di valore variabile in relazione al tempo e al luogo.

Una grande somma

Nel Medio Oriente si usava il cosiddetto «talento babilonese»: al tempo di Gesù pesava 58,9 kg., un valore enorme. Di conseguenza, avere, dare oppure – come nella parabola di Matteo – ricevere un talento veniva a significare un grande dono.

Il talento era suddiviso in 60 mine (cfr. in Luca 19,12 ss. la parabola delle mine, di valore assai minore) e la mina si divideva in 60 sicli. Un siclo d’argento (le monete di Giuda) equivaleva alla paga di un giorno di un operaio, 30 sicli corrispondevano al prezzo di uno schiavo.

Matteo e il denaro

A questo punto voglio anche segnalare che in Matteo sono spesso presenti menzioni di monete di grande valore. Un dato singolare nel primo Vangelo è infatti la presenza di una grande quantità di monete, il quadrante, l’assario, il denaro, il didramma, il talento; i tipi di monete di maggior valore ricorrono in Matteo almeno 28 volte, mentre Marco menziona solo una volta il denaro e monete di infimo valore, e Luca solo otto volte. Questo spiccato interesse per le grosse somme sembrerebbe frutto di una deformazione professionale… Che il pubblicano Matteo, a cui risale la tradizione del primo Vangelo, abbia cambiato vita, ma una certa forma mentis, per così dire una certa inclinazione preferenziale per il denaro, gli sia rimasta?

Una rubrica

Mi è venuta allora l’idea di una piccola rubrica («Parole e frasi bibliche») che dimostri come il linguaggio europeo moderno sia stato rivoluzionato dall’impatto con il linguaggio biblico. Non parleremmo così come facciamo se non avessimo avuto i Vangeli e gli altri scritti del Nuovo e dell’Antico Testamento.

Quanti modi di dire vengono dalla Bibbia (che, tra parentesi, i ragazzi oggi non conoscono più o di cui non capiscono il significato)? Cosa significa «restare di sale», «essere il beniamino», «aspettare la manna dal cielo», «fare da capro espiatorio», «porgere l’altra guancia», «seminare zizzania», «chi è senza peccato scagli la prima pietra», «lavarsene le mani». ..?

Oppure, quante parole (per noi, in latino) hanno cambiato significato a contatto col cristianesimo? Un paio di rapidi esempi: captivus / cattivo in latino vuol dire «prigioniero»; come mai è passato a significare «malvagio»? Traditor /traditore in latino è «colui che consegna», non «colui che tradisce» (che sarebbe, invece, proditor); perché questa evoluzione semantica, questo passaggio di significato? Non sono cose da poco.

Alla prossima volta…