Lettura continua della Bibbia. Deuteronomio 6: Ascolta Israele!

Ascolta Israele!
Shema‘ Israel! Di Immanuel Giel – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=69154360

L’invito all’osservanza dei precetti divini si precisa nel comandamento fondamentale dell’amore a Dio. Troviamo qui il breve passo dello Shema’ Israel (Ascolta Israele! vv. 4-9), uno dei testi più famosi della tradizione ebraica, divenuto da millenni la preghiera che scandisce la giornata del credente e lo sostiene nel cammino.

Ascolta Israele!

L’imperativo Ascolta, Israele! e l’appello che segna l’inizio delle varie unità letterarie di cui si compone questa sezione (Dt 5-11), è il primo comando dalla cui osservanza dipende l’incisività di tutte le altre parole.

Per ascoltare, bisogna fare silenzio. Il rumore sommerge la parola. La parola si manifesta nel silenzio; soprattutto nel silenzio interiore. Ma ascoltare significa anche obbedire: lo stesso verbo ebraico (Shama‘) indica entrambe le azioni. L’ascolto ha senso pieno solo se diviene obbedienza.

L’interlocutore di questa parola è Israele, il popolo chiamato col suo nome “divino”

  • perché conferito da Dio a Giacobbe dopo la lotta notturna presso lo Jabbok (Gen. 32,27-30)
  • e perché nome teoforico, col significato originario “Dio mostri la sua forza”, mutato dal racconto di Genesi in “Forte con Dio”. “La forza di Dio è la forza di lasciarsi vincere dall’uomo per amore: è questo che ricorda continuamente il popolo di Dio pronunciando il proprio nome.

Chi impone il nome è padre. Il Signore infatti è il padre che parla a suo figlio Israele, servendosi della voce di Mosè. “Chiamare per nome suppone un rapporto personale; e poiché l’appello è collegato con un imperativo, la chiamata equivale a una vocazione” (BOVATI, Op. cit., p. 81).

Il Signore è Uno

“Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo”.

Alla lettera, questa frase suona:

JHWH NOSTRO DIO JHWH UNO.

Consideriamo che questo testo è stato scritto dopo una situazione di dolorosa scissione, avvenuta dopo la morte di Salomone nel X secolo a.C., fra le tribù del Nord e Giuda, una situazione in cui Geroboamo aveva valorizzato il culto in due santuari del Nord, Betel e Dan, per staccare anche religiosamente il regno di Israele da Gerusalemme. Il principale messaggio del Deuteronomio, perciò, è l’unicità di Dio, non tanto nel senso di un monoteismo teorico (che rimane implicito: infatti non si dice che solo JHWH è Dio, ma che JHWH è unico), quanto nel senso di opposizione strenua ad ogni sdoppiamento nel culto, come i cananei facevano per Baal (= Il Signore) che veniva adorato in una molteplicità di forme e di luoghi. JHWH non si moltiplica localmente come i Baal. Le tribù del Nord erano già state disperse dalla potenza assira (721 a.C.) e non ritrovarono mai più la loro unità politica e religiosa. La relazione con JHWH unico Signore, infatti, è l’unica fonte di vita per il suo popolo.

Ascolta Israele! Tu amerai il Signore tuo Dio

Tu amerai JHWH tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”.

L’amore assoluto, totalitario e totalizzante di Dio deriva da questa premessa e domina tutto l’uomo, senza riserve. Il tema dell’amore di Dio è caratteristico del Deuteronomio, è un ponte verso la rivelazione neotestamentaria, ed è desunto dalla sfera delle relazioni familiari; non siamo più, con il Deuteronomio, in una dimensione di vassallaggio, ma in una dimensione di relazioni interpersonali calde e profonde, come il rapporto fra padre e figlio. Questa relazione consistente nello ’Ahab = Amare sarà interpretato ancora più arditamente dai profeti, a iniziare da Osea, in termini di amore coniugale; ma, per la concretezza abituale al pensiero biblico, l’amore non si esaurisce in una dimensione sentimentale, ma si riversa nelle sue manifestazioni tangibili di rispetto, obbedienza, servizio, si concretizza nei fatti precisi prescritti dalla Legge (cfr. Gv 14,23: chi ama osserva i comandamenti). Così, amare e servire si equivalgono (Dt 10,12; 11,13).   

Queste parole OGGI

“Queste parole che oggi ti comando ti stiano fisse nel cuore”:

è l’interiorità il luogo dell’amore e dell’osservanza delle parole (il Decalogo, ma anche tutto il complesso delle parole deuteronomiche) donate OGGI: questo termine indica la validità permanente delle parole di Dio, ma anche l’importanza capitale del presente, in cui si gioca realmente l’opzione dell’uomo.

Dal cuore alla vita

“Le ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua,

quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai.

Te le legherai alla mano come un segno,ti saranno come un pendaglio tra gli occhi,

e le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte”.

Dal cuore, sede dell’intelligenza e della decisionalità, la parola passa alla vita, all’esistenza quotidiana, nella sua totalità

  • di tempo (la ripetizione ai figli, lo scrivere)
  • e di spazio (indicata con le antitesi sedersi / camminare, coricarsi / alzarsi, e con la porta che rappresenta la comunicazione interno / esterno),

nella sua concretezza (la mano è lo strumento dell’azione, gli occhi lo strumento del desiderio).

Tutto è occupato dalla Parola

Gli ebrei ortodossi quando pregano si legano sulla fronte e sul braccio i tefillîm (grecamente, le filatterie, teche di cuoio contenenti questo stesso testo insieme a Dt 11,13-21 ed Es 13,1-16), e pongono allo stipite della porta d’ingresso della propria casa la mezuzah, astuccio contenente una copia di Dt 6,4-9 ed 11,13-21.

Il passo 6,20-25 insiste sulla perenne attualizzazione dei precetti di Dio, mediata attraverso la catechesi familiare: “Schiavi fummo del faraone in Egitto, e JHWH ci ha fatto uscire dall’Egitto con mano potente…”.