Lettura continua della Bibbia. Quaglie… ma con moderazione

 Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Il capitolo 11 del libro dei Numeri si conclude con l’arrivo di quaglie in gran quantità… ma l’episodio non finisce molto bene, denotando ancora una volta le debolezze di questo popolo che cammina nel deserto.

Arrivano le quaglie!

11 31Un vento si alzò per volere del Signore e portò quaglie dal mare e le fece cadere sull’accampamento, per la lunghezza di circa una giornata di cammino da un lato e una giornata di cammino dall’altro, intorno all’accampamento, e a un’altezza di circa due cubiti sulla superficie del suolo. 32Il popolo si alzò e tutto quel giorno e tutta la notte e tutto il giorno dopo raccolse le quaglie. Chi ne raccolse meno ne ebbe dieci homer; le distesero per loro intorno all’accampamento. 

33La carne era ancora fra i loro denti e non era ancora stata masticata, quando l’ira del Signore si accese contro il popolo e il Signore percosse il popolo con una gravissima piaga. 34Quel luogo fu chiamato Kibrot-Taavà [Tombe del desiderio], perché là seppellirono il popolo che si era abbandonato all’ingordigia. 35Da Kibrot-Taavà il popolo partì per Caseròt e a Caseròt fece sosta.

Arrivano le quaglie! Ma attenzione…

Dio mantiene la sua promessa, ma, a quanto pare, Israele non trae gran vantaggio da questo adempimento; infatti suscita ancora una volta l’ira del Signore con conseguente punizione degli ingordi. Che cosa, dunque, era accaduto?

Mentre nel racconto della caduta della manna si precisa che gli israeliti ne raccoglievano quanta ne occorreva per la giornata, con un raccolto doppio nel giorno prefestivo, delle quaglie gli israeliti fanno man bassa, trascorrendo giorno e notte a raccoglierne quanto più possibile. Questa è una chiara manifestazione di sfiducia nella cura costante che Dio ha per il suo popolo, compresa la promessa che l’arrivo delle quaglie sarebbe durato ben 30 giorni.

Al dono di Dio, cioè, il popolo dà la risposta sbagliata: non la gratitudine, il ringraziamento e la lode, ma l’accaparramento, evidentemente col pensiero di approfittarne il più possibile nel timore che la grazia non duri a lungo. Come parafrasa il Targum Yerushalmi (Neofiti), “e a colui che diede loro questo, non offrirono alcuna benedizione”. Ammassano cibo e si abbuffano con voracità. L’ingordigia provoca ancora una volta il castigo divino. Non si specifica quale: manco di rispetto se arrivo a supporre che si potesse trattare di… indigestione?

Antropomorfismo

Torna qui, col tema del castigo divino, lo spiccato antropomorfismo della fonte Jahvista, che parla di Dio non solo come se compisse azioni umane come chiudere la porta dell’arca od odorare il profumo dei sacrifici, ma anche come se nutrisse sentimenti umani, come pentirsi del proprio operato, o adirarsi, vendicarsi… Teniamo sempre presente che di Dio abbiamo parlato sempre e sempre parleremo solo per analogia con la nostra esperienza umana: ci mancano altri termini per esprimere l’Inesprimibile e dire l’Indicibile. Se potessimo confinare Dio nel linguaggio umano, non sarebbe Dio colui di cui parliamo. In particolare, sul tema dell’ira di Dio, vedere QUI.

Quante quaglie!

La fornitura di quaglie, in realtà, viene narrata due volte nel ciclo dell’Esodo, in Esodo 16 oltre che in Numeri 11.

Nel libro dell’Esodo, è subito dopo aver lasciato l’Egitto che Israele si lamenta di non avere nulla da mangiare.  Dio risponde al suo lamento inviando loro sia manna che quaglie, ogni giorno, per tutti i quaranta anni di vagabondaggio nel deserto.

Nel libro dei Numeri invece si afferma che il popolo ha solo manna da mangiare, perciò ha fame di carne. Dio allora provvede alla discesa delle quaglie.

Perché Numeri presenta Israele come se chiedesse carne mentre il libro dell’Esodo aveva già affermato che riceveva quaglie ogni giorno?

Una doppia tradizione

La critica moderna, a queste incoerenze di testo, risponde che si tratta di uno stesso episodio narrato in modi diversi e in momenti diversi dalle diverse tradizioni (Sacerdotale, Jahvista e – forse – l’esile fonte Elohista).

Il problema se lo posero anche i commentatori ebrei, a partire dal Medioevo, offrendo una serie di soluzioni.

Vogliamo più carne!

Secondo il più famoso di tutti, Rashi (1040-1105), che non affronta questo problema nel suo Commento alla Torah ma nel suo Commento al Talmud, le quaglie continuavano ad arrivare ogni giorno, ma dopo un po’ gli israeliti volevano  più  carne. Questo spiegherebbe anche la punizione, non di un legittimo desiderio di cibo, ma di una voglia di eccesso. Questa interpretazione sembra da scartare in quanto il lamento di Israele suona “Se solo avessimo carne da mangiare! […] [Non abbiamo] altro che questa manna a cui guardare!”.

Vogliamo ancora quaglie!

Il rabbino Joseph Kara (circa 1065 – 1135), concittadino di Rashi, ritiene invece che le quaglie fossero scese sull’accampamento di Israele solo nel primo anno di permanenza nel deserto. Le narrazioni di Esodo, Numeri e Giosuè dimostrano nel complesso che solo la manna continuò per tutto il periodo del deserto. Tuttavia, il passo dell’Esodo non contiene alcun accenno al fatto che la quaglia scendesse solo temporaneamente, e il passo dei Numeri non implica che la gente una volta avesse avuto carne nel deserto e la chiedesse di nuovo.

Quaglia… a volte

Un altro importantissimo commentatore, detto Ramban (Moses Nahmanides, 1194–1270), ritiene invece che la quaglia fosse stata fornita per tutti i quarant’anni nel deserto, ma non costantemente, per cui era possibile che le persone nel racconto di Numeri potessero avere un desiderio insoddisfatto di carne. Questa spiegazione non è supportata dai testi: Esodo non indica mai che vi fosse differenza di frequenza tra l’elargizione della manna e delle quaglie, e Numeri non indica mai che gli Israeliti erano già abituati a mangiare carne seppur occasionalmente.

Quaglia… per la prima volta

Secondo Bekhor Shor di Orléans (XII secolo), nell’Esodo Dio diede agli Israeliti solo la manna e non le quaglie: il passo dell’Esodo fornirebbe una descrizione anticipata di come Dio provvide alla scarsità di cibo e bevande nel deserto procurando pane, carne e acqua. I passi successivi descriverebbero ciascuno di questi eventi in modo più dettagliato e li collocherebbe nella corretta cronologia. Questo spiegherebbe lo smarrimento di Mosè, che se non avesse mai visto in opera l’intervento divino come avrebbe potuto mostrarsi così incredulo?

«La gente che è con me è di seicentomila uomini; eppure tu dici: “Darò loro carne sufficiente da sfamare per un mese intero”. Potrebbero essere macellati abbastanza greggi e armenti perché siano sufficienti? Oppure si potrebbero raccogliere tutti i pesci del mare perché siano loro sufficienti?

Quindi, sostiene Bekhor Shor, tutto questo scetticismo da parte di Mosè implica che i Numeri abbiano registrato la prima volta che Dio promette l’arrivo delle quaglie, mentre la menzione in Esodo 16 (vv. 8,12-13) sarebbe quello che noi oggi chiamiamo un inserimento editoriale.

Con questo approccio geniale, che per molti secoli resterà unico, sembra che secondo Bekhor Shor Mosè avesse avuto un certo margine per organizzare le varie rivelazioni ricevute da Dio, distribuendole come meglio credeva.

In questo modo geniale, Bekhor Shor ha in un certo senso anticipato i metodi contemporanei di esegesi biblica. Ad esempio, è dopo un balzo di otto secoli che Umberto Cassuto (1883–1951) suggerisce che due tradizioni separate siano state combinate in un’unica storia nell’Esodo per ragioni tematiche, mentre gli eventi a cui si riferiscono non dovrebbero essere intesi come avvenuti nello stesso momento.

Pensate un po’ dove ci hanno portato… le quaglie!