In un precedente articolo (QUI) abbiamo cercato di chiarire come non ci sia opposizione fra i due: il rapporto esistente fra Antico e Nuovo Testamento è invece quello di uno sviluppo organico. La Chiesa lo comprese subito, accogliendo nella loro interezza le antiche Scritture ebraiche. Cercheremo di spiegare questo rapporto secondo la visione cristiana. Ma, innanzi tutto, quali sono i libri che compongono le due parti della S. Bibbia?
Prima di tutto: che cosa significa «Testamento»?
La parola «Testamento», in ebraico berith, in greco diatheke, in latino Testamentum, ha ben poco a che fare con le ultime volontà di un defunto. In realtà, riguarda i viventi: berith significa «patto», «alleanza», e quindi descrive bene la realtà cui si riferisce, il patto tra viventi, cioè l’antica alleanza di Dio con il popolo di Israele, e la nuova alleanza nel Cristo Gesù.
Fu Tertulliano a tradurre per primo in latino il greco diatheke con Testamentum, con questa precisa accezione: il patto che Dio stabilisce con l’umanità. In italiano, la parola può essere fraintesa.
L’Antico Testamento
L’Antico Testamento, composto secondo il canone cattolico da 46 libri, è la testimonianza scritta dell’esperienza che il popolo di Israele ha fatto storicamente con il Dio della rivelazione biblica. Si può dividere in tre grandi parti, secondo il canone ebraico:
- Torah o Pentateuco, i cosiddetti cinque libri di Mosè, la parte essenzialmente legislativa;
- scritti profetici, che accompagnano tutta la storia della salvezza, da Giosuè al dopo esilio;
- scritti sapienziali, di riflessione sui grandi temi dell’esistenza.
In ebraico, le tre parti sono denominate Torah – Nevi’im – Kethuvim, e dalle iniziali di questi tre nomi deriva l’acrostico TNK, vocalizzato in TaNaK, che designa l’intera Scrittura ebraica.
All’interno del mondo cristiano ci sono differenze per quanto riguarda il canone veterotestamentario: oltre ai 39 libri condivisi da tutti come S. Scrittura (in ebraico se ne contano 24 perché Samuele, Re, Cronache, Esdra-Neemia sono computati come un unico libro, e così pure i 12 profeti minori), ci sono 7 libri, i cosiddetti deuterocanonici, che sono stati e sono oggetto di controversie. Ne parleremo a parte; per ora ci limitiamo ad elencarli: Siracide, Sapienza, Baruc, Tobia, Giuditta, 1 Maccabei, 2 Maccabei (e parti di Ester e di Daniele che sono scritte in greco).
Il Nuovo Testamento
Il Nuovo Testamento, composto da 27 libri, è la testimonianza scritta che la Chiesa apostolica ci ha lasciato della sua esperienza del Cristo Gesù e dell’azione dello Spirito nella primitiva comunità cristiana. È costituito
- dai 4 vangeli con gli Atti degli Apostoli che sono la prosecuzione del vangelo di Luca,
- dalle 21 lettere apostoliche, sia paoline che di altri autori,
- e dall’Apocalisse.
La Bibbia è un complesso unitario
La visione delle due parti della Bibbia è profondamente unitaria; eppure le differenze ci sono, e ad uno sguardo superficiale possono apparire anche stridenti. Quante immaturità, quante brutalità, quanti limiti nelle pagine arcaiche dell’Antico Testamento… Del resto questo è logico, perché se la prima rivelazione fosse stata compiuta e perfetta fin dall’inizio non ci sarebbe stata necessità di uno sviluppo né tanto meno della seconda rivelazione.
Mai nella Bibbia troviamo la Parola di Dio direttamente: sempre la troviamo nella mediazione di una persona, sempre al modo umano e in linguaggio umano, come scrive la Dei Verbum (n. 12): Dio ha parlato nella S. Scrittura per mezzo di uomini e alla maniera umana.
«Le parole di Dio infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’Eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile all’uomo» (Dei Verbum n. 13). Questa è la straordinaria bellezza ma anche il limite dell’Incarnazione.
Abbiamo già visto come la Bibbia non sia un libro edificante, non sia una storia di “santi”, ma una storia di uomini veri, proprio così come sono, con le loro acerbità, con le loro crudeltà, con i loro limiti, cui Dio si rivolge incarnando la sua Parola all’interno di questo orizzonte culturale.
Tutte le immaturità che riscontriamo, con occhi cristiani, nella Bibbia, possiamo leggerle in questa chiave, ricordando il motto di S. Agostino (Quaest. in Hept., 2,73): Novum Testamentum in Vetere latet, Vetus in Novo patet («Il Nuovo Testamento nell’Antico è latente, l’Antico nel Nuovo è patente») ossia «Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico, l’Antico si manifesta pienamente adempiuto nel Nuovo».
Una crescita organica
L’organismo rappresentato dal seme giunge a pienezza nel grande albero; l’embrione dispiega nell’essere adulto tutte le sue potenzialità; eppure non si tratta di individui diversi. Allo stesso modo l’Antico Testamento trova nel Nuovo la compiutezza della Rivelazione che già contiene in nuce, e il Nuovo Testamento manifesta in pieno la portata dell’Antico, senza rinnegarlo nella sua essenza.
Le crudezze dell’Antico Testamento, potremmo dire, rappresentano il guscio duro ed aspro in cui è involto il dolce frutto; il guscio è per noi immangiabile, ma se non vi fosse stato non avremmo neppure il cuore del frutto, giunto a maturazione. Esigenze storiche di ambientazione hanno fatto sì che la Parola di Dio parlasse il linguaggio degli uomini e si piegasse pedagogicamente alla loro immaturità (si parla, infatti, di due millenni), così come noi ci chiniamo sulla debolezza di un piccolo per aiutarlo a crescere dall’interno, secondo i suoi ritmi e possibilità, senza forzature.
La condiscendenza divina
Synkatàbasis, condiscendenza, chiamavano i Padri greci questa vera e propria pedagogia divina, che non ha schiacciato l’uomo sotto il peso di una Rivelazione indecifrabile, ma ha atteso con infinita Pazienza che l’uomo arrivasse a maturare la propria sensibilità morale e la propria comprensione nella pienezza dei tempi.
La Rivelazione è progressiva
La Rivelazione è progressiva in tutto l’arco storico in cui essa ci è data; c’è continuità e non contrapposizione fra i due Testamenti. La Chiesa ha sempre rifiutato le teorie dualiste degli eretici, come Marcione, che respingevano l’Antico Testamento come volto inammissibile di un Dio che ritenevano crudele e vendicativo e che secondo loro non era lo stesso Dio Padre buono e amorevole di Gesù Cristo.
Un passo dell’antico scrittore cristiano Origene, che evidentemente si era posto gli stessi problemi, ci può aiutare nel capire questa complessa situazione (Contra Celsum, IV, 71):
«Quando noi parliamo con bambini piccoli cerchiamo di non parlare con il linguaggio più esatto di cui siamo capaci, ma diciamo le cose in modo appropriato per la debolezza di coloro ai quali ci rivolgiamo… allo stesso modo il Logos di Dio sembra aver preparato le Scritture, un modo di parlare adatto alla capacità e all’utilità dei lettori».
Comprensibile nei modi umani
La Parola di Dio ci viene incontro nella parola dell’uomo, perché Dio che vuole rendersi comprensibile all’uomo si rivolge a lui nei modi umani. La lingua e il parlare umani sono sempre limitati, come sono limitate le idee rappresentabili dall’uomo. Quando noi parliamo di Dio come “Padre” ci sembra di dire una verità bene espressa, ma nella Sua infinita realtà Dio va al di là delle nostre immagini: Dio è Padre, Madre, Sposo, Amico, Signore e tante altre cose ancora che non possiamo neppure capire ed esprimere. Noi parliamo per analogia con la nostra esperienza umana, ma Dio è ancora al di là di tutto questo. Dio è Ineffabile: se non lo fosse, non sarebbe Dio, perché noi lo potremmo contenere nella nostra mente e nella nostra parola.
Millenni fa, il linguaggio degli uomini cui Dio si è rivelato era, inoltre, ancora più povero concettualmente di quanto sia oggi il nostro; non avrebbe potuto esprimere la categoria filosofica di «transustanziazione», ad esempio, né di «persona»; così come non si sapeva che la terra ruota intorno al sole e non viceversa.
La rivelazione cambia col tempo?
La storicità della Rivelazione implica che la parola di Dio ci giunga mediata dalla limitatezza della parola umana. Quindi è legata ad una cultura concreta, non solo, ma anche alla imperfezione della sensibilità morale dipendente da un tempo determinato.
Nella sua lunga storia, Israele ha fatto esperienze sempre nuove di Dio, e l’ha conosciuto sempre meglio. La Rivelazione, abbiamo detto, è progressiva. Lo esprime molto bene San Vincenzo di Lérins (Primo Commonitorio cap. 23), riferendosi sia ad una più completa e più profonda comprensione della Rivelazione nella Chiesa, sia all’offerta sempre più piena del dato rivelato nella storia della salvezza:
La legge del progresso organico
«Non vi sarà mai alcun progresso della religione nella Chiesa di Cristo? Vi sarà certamente ed anche molto grande… Bisognerà tuttavia stare bene attenti che si tratti di un vero progresso della fede e non di un cambiamento. Il vero progresso avviene mediante lo sviluppo interno. Il cambiamento invece si ha quando una dottrina si trasforma in un’altra.
È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto. La religione delle anime segue la stessa legge che regola la vita dei corpi. Questi infatti, pur crescendo e sviluppandosi con l’andare degli anni, rimangono i medesimi di prima. Vi è certamente molta differenza fra il fiore della giovinezza e la messe della vecchiaia, ma sono gli stessi adolescenti di una volta quelli che diventano vecchi. Si cambia quindi l’età e la condizione, ma resta sempre il solo medesimo individuo. Unica e identica resta la natura, unica e identica la persona.
Dal seme alla pianta
Le membra del lattante sono piccole, più grandi invece quelle del giovane. Però sono le stesse. Le membra dell’uomo adulto non hanno più le proporzioni di quelle del bambino. Tuttavia quelle che esistono in età più matura esistevano già, come tutti sanno, nell’embrione, sicché quanto a parti del corpo, niente di nuovo si riscontra negli adulti che non sia stato già presente nei fanciulli, sia pure allo stato embrionale…
Questa è la vera e autentica legge del progresso organico. Questo è l’ordine meraviglioso disposto dalla natura per ogni crescita. Nell’età matura si dispiega e si sviluppa in forme sempre più ampie tutto quello che la sapienza del Creatore aveva formato in antecedenza nel corpicciolo del piccolo.
Se con l’andar del tempo la specie umana si cambiasse talmente da avere una struttura diversa oppure si arricchisse di qualche membro oltre a quelli ordinari di prima, oppure ne perdesse qualcuno, ne verrebbe di conseguenza che tutto l’organismo ne risulterebbe profondamente alterato o menomato… Noi mietiamo quello stesso frumento di verità che fu seminato e che crebbe fino alla maturazione. Poiché dunque c’è qualcosa della primitiva seminagione che può ancora svilupparsi con l’andar del tempo, anche oggi essa può essere oggetto di felice e fruttuosa coltivazione».
La Rivelazione è compiuta ma si deve comprendere sempre meglio
La Rivelazione storica di Dio ad Israele e nel Cristo si è compiuta con Lui e con la Chiesa apostolica; e non può subire ormai né aggiunte né cambiamenti. Nel corso dei secoli la rappresentazione di Dio e delle realtà salvifiche è andata perfezionandosi, fino a raggiungere la pienezza in Gesù di Nazareth. Ugo di S. Vittore scriveva (De Arca Noe mor. II,8): «Tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e questo unico libro è Cristo, perché tutta la Scrittura parla di Cristo e trova in Cristo la sua pienezza».
Quello che è il nostro compito è comprendere sempre meglio la portata della Parola di Dio, non modificarla a nostro uso e consumo.