
Di solito si pensa al Medioevo come ad un periodo anche troppo sacrale e serioso. Ricordate il motivo degli omicidi del Nome della Rosa? Evitare che venisse riscoperto lo scritto di Aristotele sulla Commedia, cioè sulla capacità umana di ridere… Ma nel Medioevo si rideva, eccome, e il grottesco dissacrava quello che si sarebbe potuto prendere troppo sul serio, il Male ed i suoi accoliti.
Così, nelle chiese medievali non troviamo solo angeli e santi, ma anche animali in funzione simbolica di bene o di male, animali… di pietra.
Animali di pietra: un intero bestiario

Un intero bestiario scolpito nella pietra era a disposizione dell’intelligenza e della fantasia dei fedeli che si recavano negli edifici sacri.
Il nostro Medioevo è pieno di creature fantastiche, spesso mostruose. Esse sono state ereditate dal mondo biblico ma anche da quello pagano, e vengono sdoganate nella fede caricandole di sensi allegorici morali e religiosi. In qualche modo, sono anch’esse segni divini. L’universo intero è una manifestazione divina; la cattedrale o la pieve riproducono il cosmo con la propria arte ponendolo all’ammirazione ed alla comprensione dei fedeli (un approfondimento QUI).
Per le tante rappresentazioni scultoree di bestie mostruose si accampano ragioni di tipo didascalico e catechetico. Scriveva Gregorio Magno nel 600: «Ciò che la scrittura rappresenta per i dotti, le immagini lo sono per gli ignoranti, che vedono attraverso di esse quello che devono ricevere». Attraverso tali immagini passano in maniera emotiva e incisiva le paure del peccato, il potere del diavolo e la confortante onnipotenza divina.

Tanto diffuse erano queste immagini che San Bernardo di Chiaravalle vide nella loro proliferazione un motivo di distrazione del fedele piuttosto che un incentivo alla meditazione:
«Nei chiostri, sotto gli occhi dei monaci intenti alla lettura, che significato ha quella ridicola mostruosità, quella strana deforme formosità e formosa difformità? Quelle laide scimmie? Quei feroci leoni? Quei mostruosi centauri? Quegli esseri semiumani?» (Apologia ad Willelmum).
Leone, drago, cinghiale

Il portale laterale della pieve di San Giovanni a Campiglia Marittima mostra la figura di un leone che afferra un drago. I due animali sono simboli rispettivamente di Cristo (il Leone della tribù di Giuda) e del diavolo (il drago dell’Apocalisse). L’esistenza della pieve di San Giovanni è attestata fin dal 1075.
Il leone

Foto di Annovi.frizio , CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=105806093
Come spesso accade nella Bibbia, il simbolo del leone è ambivalente, perché rappresenta la forza e la regalità ma anche l’arroganza e la distruttività. È regale, ma è una belva; è figura del Messia, il leone di Giuda, ma anche del diavolo, «come leone ruggente che cerca chi divorare» (1Pt 5,8). D’altra parte, il ruggito del leone è simbolo della potenza della parola divina, ad esempio in Amos (1,2; 3,8), Osea (11,10), Gioele (4,16).
Nelle mitologie della Fertile Mezzaluna il leone simboleggiava una grande forza, quindi si rappresentavano gli eroi in atto di sconfiggere i leoni (si pensi a Gilgamesh ed Enkidu, ma anche al nostro Ercole e allo stesso Sansone e al giovane Davide). Il leone era esso stesso sacro a qualche dio, se non, addirittura, propriamente dio, come in Egitto la leonessa Sekhmet la dea, sorella del resto di Bastet, la dea gatta (come recita un detto famoso, «Dio ha creato il gatto per dare all’uomo il piacere di accarezzare la tigre», J. Mery).
Inter leones
Gli antichi attribuivano al leone il senso della giustizia: il leone non attaccava gli altri animali se non per fame e, nobilmente, non si scagliava mai sull’avversario caduto a terra. Questa tradizione fece sì che nel medioevo le sentenze venissero pronunciate sui sagrati delle chiese fra i due leoni scolpiti ai lati del portale, tanto che il verdetto canonicamente valido era quello enunciato «inter leones et coram populo» (fra i leoni e davanti al popolo). La credenza che il leone dormisse ad occhi aperti ne ha fatto anche il simbolo della vigilanza: ecco un altro motivo per cui troviamo leoni scolpiti alle porte delle chiese.
Simbolo cristologico

Il cristianesimo riprese un’altra credenza, secondo cui il leone mostrava riconoscenza al suo benefattore, come ad esempio nell’iconografia di San Girolamo che vede il santo sempre accompagnato da un leone, da lui curato quando lo trovò sofferente per una spina conficcata in una zampa. In antico si riteneva che le virtù del leone risiedessero nella parte superiore del corpo, testa, collo, petto e zampe anteriori, mentre la parte posteriore fungeva solo da sostegno a terra, come scrive Pietro Valeriano: «Anterioribus partibus cœlestia refert, posterioribus terra» (con le parti anteriori si riferisce al Cielo, con quelle posteriori alla terra), per cui il leone poté divenire anche un simbolo della duplice natura, divina ed umana, del Cristo.
Nel Fisiologo (III secolo d.C.) vengono citate tre caratteristiche cristologiche del leone: la prima è che se si accorge di essere seguito, il leone cancella le proprie impronte con la coda, come Cristo ha nascosto la propria natura divina; la seconda è che il leone dorme con gli occhi aperti, come Cristo che appariva morto sulla croce e nel sepolcro, ma in realtà vegliava; la terza è che i cuccioli di leone nascono morti, e vengono risvegliati alla vita dopo tre giorni dal soffio del padre.
Il grifone

Quell’animale dalla testa d’aquila ed il corpo di leone, unendo la regalità nel cielo dell’una e sulla terra dell’altro, divenne nell’immaginario cristiano medievale simbolo del Cristo re del Cielo e della Terra.

Dante, nel canto XXIX del Purgatorio, descrivendo la processione mistica che rappresenta la vicenda storica della Chiesa, usa la figura del Grifone per raffigurare il Cristo.
La sirena bicaudata

Le sirene bicaudate sono spesso presenti, fra l’VIII e il XIII secolo, anche sui portali degli edifici sacri. Secondo il pensiero cristiano, le sirene costituirebbero un ammonimento a guardarsi dalle lusinghe del peccato; secondo altri, invece, testimonierebbero il persistere del culto della fertilità dionisiaca per cui la sirena rappresenterebbe la Dea madre, simbolo di fertilità.
Altro significato che vi si può ravvisare: la duplicità della tendenza umana, al bene e al male, a seguire la ragione come a seguire l’istinto. Si legge infatti nel Fisiologo, testo redatto ad Alessandria d’Egitto tra il II e il III secolo d.C. da autore ignoto:
«Ha detto il profeta Isaia: “Gli spettri e le sirene e i ricci danzeranno in Babilonia” [Is, 13.21]. Il Fisiologo ha detto delle sirene e degli ippocentauri: ci sono nel mare degli animali detti sirene, che simili a muse cantano armoniosamente con le loro voci, e i naviganti che passano di là quando odono il loro canto si gettano nel mare e periscono. Per metà del loro corpo, fino all’ombelico, hanno forma umana, per la restante metà, d’oca. Allo stesso modo, anche gli ippocentauri per metà hanno forma umana, e per metà, dal petto in giù, di cavallo.
Così anche ogni uomo indeciso, incostante in tutti i suoi disegni. Ci sono alcuni che si radunano in Chiesa e hanno le apparenze della pietà, ma rinnegano ciò che ne è la forza, e in Chiesa sono come uomini, quando invece se ne allontanano, si mutano in bestie. Costoro sono simili alle sirene e agli ippocentauri: infatti “con le loro parole dolci e seducenti”, come le sirene, “ingannano i cuori dei semplici” [Rm 16,18]. Perché “le cattive conversazioni corrompono i buoni costumi” [1 Cor 15,33]. Bene dunque il Fisiologo ha detto delle sirene e degli ippocentauri».
Insomma, gli animali, anche se mostruosi, hanno sempre qualcosa da insegnare agli esseri umani…